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Pericolosità sociale: quando scatta la sorveglianza?

La Corte di Cassazione ha confermato una misura di sorveglianza speciale per un soggetto condannato per traffico di droga. La sentenza stabilisce che la pericolosità sociale e l’abitualità possono sussistere anche se i reati sono stati commessi in un breve arco temporale, qualora la loro gravità e le modalità esecutive dimostrino una stabile dedizione al crimine. L’appello del ricorrente, basato sulla mancanza del requisito dell’abitualità, è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale e Misure di Prevenzione: L’Analisi della Cassazione

La valutazione della pericolosità sociale di un individuo è un tema centrale nel diritto penale, soprattutto quando si tratta di applicare misure di prevenzione come la sorveglianza speciale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito che tale valutazione non dipende necessariamente da una lunga carriera criminale, ma può basarsi anche su reati gravi commessi in un breve lasso di tempo. Analizziamo come i giudici sono giunti a questa conclusione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo a cui era stata applicata la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per due anni e sei mesi. La misura era stata confermata dalla Corte d’Appello di Palermo sulla base della sua pericolosità sociale, desunta da due procedimenti penali per traffico di ingenti quantitativi di cocaina.

In particolare, il soggetto era coinvolto in:
1. Un procedimento per due reati di traffico di droga commessi in un arco di tre mesi (novembre 2018 – gennaio 2019).
2. Una condanna definitiva a sei anni per il trasporto di oltre 4 kg di cocaina, avvenuto nel gennaio 2019.

La difesa ha impugnato il provvedimento sostenendo la mancanza del requisito dell'”abitualità” nel delitto. Secondo il legale, i fatti, essendo avvenuti in un periodo molto ristretto, avrebbero dovuto essere considerati come un unico episodio criminoso, non indicativo di una tendenza stabile a delinquere. Inoltre, si contestava la persistenza della pericolosità, essendo trascorsi quasi sei anni dai fatti.

La Valutazione della Pericolosità Sociale da Parte della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo inammissibile e confermando la decisione dei giudici di merito. Il punto focale della decisione non è stato il numero di reati o la loro distanza nel tempo, ma la loro intrinseca gravità e le conclusioni che se ne potevano trarre.

I giudici hanno sottolineato che il traffico di quantitativi così cospicui di sostanze stupefacenti (tre partite da 4 kg ciascuna) dimostrava una notevole capacità criminale e la disponibilità di ingenti somme di denaro. Questo, secondo la Corte, era un chiaro indizio che l’individuo viveva dei proventi di attività criminose, un elemento chiave per definire la pericolosità sociale ai sensi della normativa sulle misure di prevenzione.

Il Concetto di Abitualità e la Decisione della Cassazione

La difesa si era concentrata sull’assenza di abitualità, sostenendo che tre episodi in tre mesi non fossero sufficienti a configurarla. La Cassazione, tuttavia, ha adottato un’interpretazione più sostanziale. Ha stabilito che l’abitualità, nel contesto delle misure di prevenzione, non si misura solo in termini cronologici.

Anche una serie di reati commessi in un “significativo intervallo temporale”, sebbene breve, può dimostrare una dedizione al crimine. La gravità e la professionalità dimostrate nei singoli episodi sono state ritenute sufficienti per inferire una “proclività a delinquere” stabile e, di conseguenza, per soddisfare il requisito dell’abitualità previsto dalla legge.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la propria decisione di inammissibilità affermando che il decreto della Corte d’Appello era tutt’altro che apparente o illogico. I giudici di merito non si erano limitati a contare gli episodi, ma avevano correttamente inferito la proclività a delinquere del soggetto dalla natura stessa dei reati. L’importazione di quantitativi così elevati di cocaina presuppone un’organizzazione, risorse finanziarie significative e un inserimento stabile in circuiti criminali. Questi elementi, nel loro insieme, delineano un profilo di pericolosità sociale concreto e attuale al momento della valutazione, giustificando pienamente l’applicazione della sorveglianza speciale. La Corte ha quindi ritenuto che il ragionamento dei giudici di merito fosse in linea con i principi consolidati della giurisprudenza in materia di misure di prevenzione, respingendo le argomentazioni della difesa come infondate.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio importante: per l’applicazione delle misure di prevenzione, la pericolosità sociale è una valutazione qualitativa, non solo quantitativa. Non è necessario dimostrare una lunga sequenza di reati commessi nel corso di decenni. Pochi ma gravissimi episodi, concentrati anche in un breve periodo, possono essere sufficienti a rivelare una personalità incline al crimine e a giustificare l’intervento dello Stato per proteggere la collettività. La decisione chiarisce che la gravità e le modalità dei reati sono indicatori potenti della stabilità della scelta criminale di un individuo.

È necessario aver commesso reati per molti anni per essere considerati socialmente pericolosi?
No. Secondo la sentenza, anche reati gravi commessi in un breve arco temporale (in questo caso, tre mesi) possono essere sufficienti a dimostrare la pericolosità sociale di un soggetto, se la loro natura e gravità indicano una stabile dedizione all’attività criminale.

Cosa valuta il giudice per applicare la sorveglianza speciale?
Il giudice valuta la ‘proclività a delinquere’ del soggetto. In questo caso, non si è limitato al numero di reati, ma ha considerato la loro cospicua entità (ingenti quantitativi di droga), che denotava la disponibilità di molto denaro e uno stile di vita basato sui proventi di attività criminose, elementi sufficienti a provare la pericolosità.

Se diversi reati possono essere unificati dal ‘vincolo di continuazione’, questo esclude l’abitualità ai fini della misura di prevenzione?
Non necessariamente. La Corte ha ritenuto che, ai fini della misura di prevenzione, la gravità e la natura dei fatti (tre distinti episodi di importazione di ingenti quantità di cocaina) fossero sufficienti a configurare il requisito dell’abitualità, a prescindere dalla potenziale unificazione dei reati in sede di cognizione penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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