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Pericolosità sociale: quando non basta la buona volontà

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un soggetto condannato per associazione mafiosa che chiedeva la revoca anticipata della libertà vigilata. Secondo la Corte, una mera dichiarazione di voler prendere in futuro le distanze dal proprio passato criminale non è sufficiente a superare la valutazione di attuale pericolosità sociale, specialmente in presenza di informative di polizia che indicano un inserimento ancora attivo nel contesto malavitoso.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: Dichiarare di Cambiare Non Basta, Serve un Distacco Reale

L’intenzione di abbandonare un passato criminale è un passo importante, ma è sufficiente a dimostrare la cessazione della propria pericolosità sociale? Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione fornisce una risposta chiara, sottolineando come le dichiarazioni pro-futuro debbano essere supportate da un distacco attuale e concreto dal contesto criminale di provenienza, specialmente in casi di criminalità organizzata.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Revoca della Libertà Vigilata

Un individuo, già condannato per il grave reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), si trovava sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata. Tramite il suo difensore, presentava un’istanza per ottenere la revoca anticipata di tale misura. A sostegno della sua richiesta, evidenziava due elementi principali: l’aver intrapreso un’attività lavorativa e l’aver manifestato la volontà di allontanarsi definitivamente dalle condotte antigiuridiche del passato.

Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza rigettava la richiesta. La decisione si fondava sulla ritenuta insufficienza di tali elementi, considerata la gravità della condanna pregressa e, soprattutto, le informative di polizia che indicavano un suo persistente e stabile inserimento nell’associazione mafiosa.

I Motivi del Ricorso e la valutazione della Pericolosità Sociale

Contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza, l’interessato proponeva ricorso in Cassazione. La difesa lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione, sostenendo che il giudizio sulla persistente pericolosità sociale fosse basato su elementi generici, come le informative di polizia, e non tenesse in debito conto la relazione positiva dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE). Secondo tale relazione, il soggetto riconosceva la propria responsabilità passata e dichiarava l’intenzione di “prenderne in futuro le distanze”.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Le motivazioni della Corte sono nette e si articolano su più punti fondamentali.

In primo luogo, il ricorso è stato giudicato generico, poiché non individuava uno specifico vizio logico o giuridico nel provvedimento impugnato. La difesa, secondo i giudici, si limitava a sollecitare una nuova e diversa valutazione degli stessi elementi già esaminati dal Tribunale, un’operazione non consentita in sede di legittimità.

Nel merito, la Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente interpretato tutti gli elementi a disposizione, inclusa la relazione dell’UEPE. Proprio l’affermazione del ricorrente di voler prendere le distanze “in futuro” dalle logiche criminali è stata vista non come prova di un cambiamento avvenuto, ma come una conferma del suo attuale inserimento in quel contesto. Questa volontà futura, anziché smentire, rafforzava la tesi delle informative di polizia, confermando l’attualità della sua pericolosità sociale.

La Cassazione ha ribadito il proprio ruolo: non è quello di sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ma solo di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica della motivazione. In questo caso, la decisione del Tribunale di Sorveglianza è stata giudicata priva di manifesta illogicità o contraddittorietà.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa ordinanza offre un’importante lezione sulle condizioni necessarie per la revoca di una misura di sicurezza. Dimostra che, per vincere la presunzione di pericolosità sociale derivante da una condanna per reati di mafia, non è sufficiente una semplice dichiarazione d’intenti o l’avvio di un percorso lavorativo. È necessario fornire prova di un recesso effettivo, attuale e inequivocabile dal sodalizio criminale. La volontà di cambiare deve tradursi in fatti concreti e presenti, non in mere promesse per il futuro. Le informative degli organi di polizia mantengono un peso significativo in questa valutazione, e il giudice di merito ha il compito di compiere una sintesi ponderata di tutti gli elementi disponibili, senza che la Corte di Cassazione possa intervenire se tale sintesi risulta logicamente coerente.

Perché è stata negata la revoca anticipata della libertà vigilata?
La revoca è stata negata perché, nonostante lo svolgimento di un’attività lavorativa e una dichiarazione di intenti, il Tribunale ha ritenuto persistente l’attuale pericolosità sociale del soggetto, basandosi sulla gravità della condanna per associazione mafiosa e su informative di polizia che ne indicavano un ancora stabile inserimento nel contesto criminale.

Una relazione positiva dell’UEPE è sufficiente per dimostrare il superamento della pericolosità sociale?
No, non necessariamente. In questo caso, la Corte ha evidenziato come la stessa relazione dell’UEPE, menzionando una volontà di prendere le distanze solo “in futuro”, sia stata interpretata come una conferma dell’attuale legame del soggetto con le logiche criminali, e non come una prova del suo superamento.

Qual è il limite del giudizio della Corte di Cassazione in questi casi?
La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o sostituire la propria valutazione degli elementi a quella del giudice di merito. Il suo compito è limitato a verificare che la decisione impugnata sia legalmente corretta e non presenti vizi di motivazione palesemente illogici o contraddittori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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