Pericolosità Sociale: Dichiarare di Cambiare Non Basta, Serve un Distacco Reale
L’intenzione di abbandonare un passato criminale è un passo importante, ma è sufficiente a dimostrare la cessazione della propria pericolosità sociale? Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione fornisce una risposta chiara, sottolineando come le dichiarazioni pro-futuro debbano essere supportate da un distacco attuale e concreto dal contesto criminale di provenienza, specialmente in casi di criminalità organizzata.
I Fatti del Caso: La Richiesta di Revoca della Libertà Vigilata
Un individuo, già condannato per il grave reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), si trovava sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata. Tramite il suo difensore, presentava un’istanza per ottenere la revoca anticipata di tale misura. A sostegno della sua richiesta, evidenziava due elementi principali: l’aver intrapreso un’attività lavorativa e l’aver manifestato la volontà di allontanarsi definitivamente dalle condotte antigiuridiche del passato.
Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza rigettava la richiesta. La decisione si fondava sulla ritenuta insufficienza di tali elementi, considerata la gravità della condanna pregressa e, soprattutto, le informative di polizia che indicavano un suo persistente e stabile inserimento nell’associazione mafiosa.
I Motivi del Ricorso e la valutazione della Pericolosità Sociale
Contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza, l’interessato proponeva ricorso in Cassazione. La difesa lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione, sostenendo che il giudizio sulla persistente pericolosità sociale fosse basato su elementi generici, come le informative di polizia, e non tenesse in debito conto la relazione positiva dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE). Secondo tale relazione, il soggetto riconosceva la propria responsabilità passata e dichiarava l’intenzione di “prenderne in futuro le distanze”.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Le motivazioni della Corte sono nette e si articolano su più punti fondamentali.
In primo luogo, il ricorso è stato giudicato generico, poiché non individuava uno specifico vizio logico o giuridico nel provvedimento impugnato. La difesa, secondo i giudici, si limitava a sollecitare una nuova e diversa valutazione degli stessi elementi già esaminati dal Tribunale, un’operazione non consentita in sede di legittimità.
Nel merito, la Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente interpretato tutti gli elementi a disposizione, inclusa la relazione dell’UEPE. Proprio l’affermazione del ricorrente di voler prendere le distanze “in futuro” dalle logiche criminali è stata vista non come prova di un cambiamento avvenuto, ma come una conferma del suo attuale inserimento in quel contesto. Questa volontà futura, anziché smentire, rafforzava la tesi delle informative di polizia, confermando l’attualità della sua pericolosità sociale.
La Cassazione ha ribadito il proprio ruolo: non è quello di sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ma solo di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica della motivazione. In questo caso, la decisione del Tribunale di Sorveglianza è stata giudicata priva di manifesta illogicità o contraddittorietà.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione
Questa ordinanza offre un’importante lezione sulle condizioni necessarie per la revoca di una misura di sicurezza. Dimostra che, per vincere la presunzione di pericolosità sociale derivante da una condanna per reati di mafia, non è sufficiente una semplice dichiarazione d’intenti o l’avvio di un percorso lavorativo. È necessario fornire prova di un recesso effettivo, attuale e inequivocabile dal sodalizio criminale. La volontà di cambiare deve tradursi in fatti concreti e presenti, non in mere promesse per il futuro. Le informative degli organi di polizia mantengono un peso significativo in questa valutazione, e il giudice di merito ha il compito di compiere una sintesi ponderata di tutti gli elementi disponibili, senza che la Corte di Cassazione possa intervenire se tale sintesi risulta logicamente coerente.
Perché è stata negata la revoca anticipata della libertà vigilata?
La revoca è stata negata perché, nonostante lo svolgimento di un’attività lavorativa e una dichiarazione di intenti, il Tribunale ha ritenuto persistente l’attuale pericolosità sociale del soggetto, basandosi sulla gravità della condanna per associazione mafiosa e su informative di polizia che ne indicavano un ancora stabile inserimento nel contesto criminale.
Una relazione positiva dell’UEPE è sufficiente per dimostrare il superamento della pericolosità sociale?
No, non necessariamente. In questo caso, la Corte ha evidenziato come la stessa relazione dell’UEPE, menzionando una volontà di prendere le distanze solo “in futuro”, sia stata interpretata come una conferma dell’attuale legame del soggetto con le logiche criminali, e non come una prova del suo superamento.
Qual è il limite del giudizio della Corte di Cassazione in questi casi?
La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o sostituire la propria valutazione degli elementi a quella del giudice di merito. Il suo compito è limitato a verificare che la decisione impugnata sia legalmente corretta e non presenti vizi di motivazione palesemente illogici o contraddittori.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26967 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26967 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso contro l’ordinanza emessa in data 06 febbraio 2024 con cui il Tribunale di sorveglianza di Palermo ha rigettato l’appello contro il diniego dell’istanza di revoca anticipata della misura di sicurezza della libertà vigilata, ritenendo insufficienti, stante la condanna per la violazione dell’art 416 bis cod.pen., lo svolgimento di un’attività lavorativa e la dichiarazione pro futuro della volontà di allontanarsi dalle precedenti condotte antigiuridiche;
rilevato che il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio dell motivazione perché l’ordinanza ha affermato la attuale persistenza della sua pericolosità sociale sulla base di elementi generici, quali le informazioni degli organi di polizia secondo cui egli è tuttora stabilmente inserito nell’associazione mafiosa “RAGIONE_SOCIALE“, non fondate su alcun elemento oggettivo, e non ha tenuto conto della relazione dell’UEPE, secondo cui egli oggi riconosce la propria responsabilità per la condotta antigiuridica tenuta in passai:o, e ha dichiarato “l’intenzione di prenderne in futuro le distanze”;
ritenuto che il ricorso sia inammissibile per genericità, in quanto il ricorrente non indica alcuno specifico vizio del provvedimento impugnato, la cui motivazione, al contrario, riprende in maniera corretta anche il contenuto della relazione dell’UEPE e trae da questa, ed in particolare dall’aFfermazione di una volontà solo futura del ricorrente di allontanarsi dalle precedenti logiche criminali, la conferma del suo ancora attuale inserimento in un’associazione criminale, riferito dalle informative di polizia, e la conseguente persistenza della sua pericolosità sociale;
ritenuto che, di fatto, il ricorrente chieda a questa Corte una diversa valutazione dei medesimi elementi posti a base della decisione impugnata, senza che questa risulti viziata da manifesta illogicità o contraddittorietà, valutazion non consentita al giudice di legittimità, che è competente solo ad esaminare la correttezza del provvedimento impugnato e non a sostituire ad esso una propria, diversa opinione (vedi, tra le molte, Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Rv. 284556);
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art.
616 cod.proc.pen., al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06 giugno 2024
Il Consigliere estensore
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