Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21635 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21635 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORRE DEL GRECO il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 21/11/2023 della CORTE di APPELLO di NAPOLI udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
ricorsi trattati ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di appello di Napoli, con decreto del 21/11/2023, confermava il decreto emesso dal Tribunale di Napoli in data 10/5/2023 che aveva dichiarato persistente la pericolosità sociale di NOME COGNOME, già ritenuta con il decreto n. 20/2015 del Tribunale di Napoli del 18/1/2015.
RAGIONE_SOCIALE, a mezzo dei difensori, ha proposto due distinti ricorsi per cassazione.
2.1 II ricorso dell’AVV_NOTAIO.
Eccepisce il difensore la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. per essere inesistente o meramente apparente la motivazione del provvedimento impugnato sul punto della permanenza della pericolosità dell’odierno ricorrente. In particolare, osserva che il dato primario che è stato del tutto tralasciato riguarda la circostanza per cui dal maggio 2021 ad oggi il
ricorrente si è dato alla ricerca affannosa di una attività lavorativa, che ha dato risultati proficui, tenuto conto che attualmente il COGNOME ha un contratto a tempo indeterminato; che, pur menzionando i percorsi carcerari di socializzazione del ricorrente, ha poi bollato la condotta carceraria non idonea a dimostrare una rivalutazione delle scelte criminali passate, sicché la motivazione sul punto è apparente; che agli episodi di sparo avvenuti in Ercolano a giugno ed agosto 2021 è attribuita nelle stesse note della Questura di Napoli “probabile matrice camorristica”, che dunque avrebbe dovuto essere accertata dall’autorità giudiziaria; che, invece, la Corte territoriale del tutto apoditticamente h collegato quegli spari alla persona del COGNOME allo scopo di affermare la sua ritrovata presenza sul territorio e la sua rinnovata egemonia, nonostante i due episodi si fossero verificati distanza di mesi dalla scarcerazione dell’odierno ricorrente; che anche il fatto occorso durante la detenzione, dal quale era scaturito il procedimento disciplinare a carico del proposto, è stato del tutto travisato dai giudici di merito: gli avvisi recuperati nella bacheca della cas circondariale dove il COGNOME era detenuto i) erano relativi alla generalità dei detenuti e non ad alcuni detenuti nello specifico e il) furono utilizzati per una istanza proposta dal ricorrente per dimostrare che non venivano rispettate le norme anti Covid-19, dunque, non per avanzare istanze in favore di altri detenuti al fine di dimostrare la propria egemonia criminale; che in ogni caso non vi sono elementi da cui poter desumere la persistenza del vincolo associativo e, dunque, l’attualità della pericolosità; che la richiesta di integrazione probatoria e necessaria perché avrebbe consentito di avere cognizione dell’esito negativo della richiesta di aggravamento della misura cautelare.
2.2 n ricorso dell’AVV_NOTAIO.
Deduce il difensore la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 14, comma 2-ter, d.lgs.159/2011 e 125, comma 3, cod. proc. pen. Rileva che, ai fini della persistenza della pericolosità, la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare la presenza o meno di ulteriori condotte che si inserissero nel solco della direzione od organizzazione del clan camorristico, tenuto conto del ruolo rivestito dal COGNOME nel lontano passato; che comunque non è stato tenuto in debito conto il notevole iato temporale esistente tra la data di applicazione della misura (5/2/2015) e la decisione che ha ritenuto la persistenza della pericolosità (10/5/2023), intervallo nel quale si pone il consistente periodo di detenzione intramuraria e quello vissuto in libertà, durante il quale il ricorrente ha svolto attività lavorativa; viceversa, il ritorno nel comune di residenza costituisce elemento neutro, l’assenza di una espressa presa di distanza dal sodalizio camorristico è elemento non richiesto dalla elaborazione giurisprudenziale, l’illecito disciplinar
rappresenta un elemento lontano nel tempo, risalendo all’aprile 2020 e, infine, l’esplosione di colpi di arma da fuoco nel comune di Ercolano costituisce un fatto privo di rilevanza individualizzante; che, in definitiva, si è di fronte ad u motivazione apparente; che, in ogni caso, le circostanze rappresentate dovrebbero risultare idonee quantomeno a ridurre la durata della misura di prevenzione, applicata nel suo massimo di cinque anni.
Entrambi i ricorsi – che, presentando doglianze del tutto sovrapponibili, vanno trattati congiuntamente – sono inammissibili per essere non consentiti i motivi ai quali sono affidati, in quanto sotto le mentite spoglie della violazione della legge penale nascondono la deduzione dei vizi di illogicità (neppure manifesta) della motivazione; vizi che non sono deducibili con il ricorso per cassazione in materia di prevenzione.
3.1 Ed invero, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, confortato anche dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenze n. 321 del 2004 e n. 106 del 2015), nel procedimento di prevenzione è esclusa dal novero dei vizi deducibili con ricorso per cassazione – che è ammesso soltanto per violazione di legge – l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, comma lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (tra le tante, Sezione 2, n. 20968 del 6/7/2020, COGNOME, Rv. 279435 – 01; Sezione 6, n. 10248 del 11/10/2017, U., Rv. 272723 – 01; Sezione 1, n. 6636 del 7/1/2016, COGNOME, Rv. 266365 – 01; Sezioni Unite, n. 33451 del 29/5/2014, COGNOME, Rv. 260246 – 01). È, quindi, da escludere, in materia di misure di prevenzione, la deducibilità del vizio di motivazione, a meno che quest’ultima sia del tutto carente o presenti difetti tali da renderla meramente apparente, e cioè che sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, o assolutamente inidonea a rendere comprensibile la ratio decidendi.
3.2 Nel caso di specie, entrambi i difensori non prospettano alcuna chiara violazione di legge, ma solo vizi della motivazione (esistente, magari non condivisa dal ricorrente, ma certamente non apparente) del provvedimento impugnato, risolvendosi nella mera riproposizione delle argomentazioni già prospettate al giudice di merito e da questi motivatamente respinte. Sul punto, peraltro, è sufficiente osservare come l’impugnato decreto – contrariamente a quanto affermano i difensori – dia adeguatamente conto delle ragioni per cui ha ritenuto l’attualità della pericolosità, individuate nell’assenza di qualsivogl revisione critica delle proprie condotte delittuose, nella mancata presa di distanza dal proprio passato criminale e nella circostanza per cui non si sia
allontanato dal territorio controllato dall’organizzazione di stampo camorristico facente capo alla sua famiglia acquisita, anche per la valenza altamente simbolica di tale ritorno, di talchè il periodo cosiddetto silente è stato ritenuto d tutto recessivo.
Trattasi di motivazione congrua, diffusa ed esaustiva, oltre che immune da vizi logici, per cui non è censurabile in sede di legittimità.
All’inammissibilità dei ricorsi segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 8 maggio 2024.