Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23978 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23978 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Santa Maria Capua Vetere il 23/09/1988
avverso il decreto del 04/02/2025 della Corte di appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto in epigrafe indicato la Corte di appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto avverso il decreto emesso il 12/09/2024 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con cui era stato confermato il giudizio di pericolosità sociale di NOME COGNOME dichiarato con decreto del 28/12/2020, con conseguente applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza per la durata di anni due e mesi sei.
Avverso tale decreto ha proposto ricorso per cassazione il difensore del proposto denunciando un unico motivo di annullamento per violazione di legge sotto plurimi profili.
In primo luogo, la motivazione sarebbe meramente apparente in relazione all’attività lavorativa del proposto, in quanto non vi sarebbe traccia nel fascicolo processuale degli accertamenti, richiamati dalla Corte di appello, relativi alle presunte verifiche effettuate presso due società ove lavorava il ricorrente, che ha, per contro, depositato documentazione che attesta la continuità lavorativa.
In secondo luogo, sarebbe errata la valutazione relativa al mancato distacco dal tessuto delinquenziale, in considerazione del buon comportamento tenuto durante l’esecuzione della pena e dopo la sua espiazione, che ha indotto, prima, il Tribunale ck sorveglianza a concedere la liberazione anticipata e, poi, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere-Sezione misure di prevenzione a concedere autorizzazioni ulteriori rispetto a quelle legate a motivi di lavoro. Né alcuna rilevanza potrebbe essere connessa alle frequentazioni di soggetti pregiudicati, in quanto legate a motivi di lavoro o familiari.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
E’ opportuno premettere che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, vizio in cui va ricompresa l’ipotesi della motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre nei casi di assenza totale della motivazione, cui vengono assimilati quelli in cui la motivazione del provvedimento sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare assolutamente inidonea a rendere comprensibile la ratio decidendi, o in cui le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che lo hanno giustificato, trattandosi di vizio che sostanzia una inosservanza della specifica norma processuale che impone, a pena di nullità, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali (Cass., Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
È escluso, invece, il sindacato sulla motivazione, sicché censure relative all’insufficienza, contraddittorietà e illogicità della stessa non possono trovare ingresso nel giudizio di cassazione.
Quindi, la verifica in sede di legittimità deve necessariamente arrestarsi alla corrispondenza degli elementi valorizzati nel provvedimento impugnato ai criteri dettati dalla legge per l’applicazione della misura di prevenzione.
Nel caso di specie la motivazione del provvedimento impugnato non è né mancante né apparente e il ricorso, pur denunciando il vizio di violazione di legge per motivazione apparente, censura, in realtà, la motivazione del decreto impugnato, riproponendo argomentazioni, a giudizio della difesa dotate di maggiore persuasività, adeguatamente esaminate dalla Corte di merito, che si risolvono nella richiesta di una rilettura dell’ordito argomentativo contenuto nel decreto stesso.
La Corte di appello, infatti, ha già adeguatamente confutato le argomentazioni difensive, rilevando, in primo luogo, l’inesistenza del percorso lavorativo dichiarato e, in secondo luogo, l’assenza di elementi di dissociazione dal contesto criminale e le perduranti frequentazioni con soggetti pregiudicati.
Sotto il primo profilo ha sottolineato come l’attività lavorativa sia stata considerata come strumento elusivo della misura imposta, in quanto dalle annotazioni di polizia giudiziaria agli atti risulta che il ricorrente non ha mai stabilit un rapporto lavorativo continuativo e concreto, sfruttando dichiarazioni di presunti datori di lavoro per ottenere autorizzazioni che, però, non sono state rispettate in termini di presenza sul luogo di lavoro.
Sotto il secondo profilo ha rilevato che, anche dopo l’applicazione della misura, il ricorrente ha mantenuto l’inserimento in circuiti criminali legati allo spaccio degli stupefacenti e ha frequentato abitualmente soggetti pregiudicati, così rendendo evidente la mancanza di un ravvedimento e la sua perdurante pericolosità sociale.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, quindi, la Corte di appello ha operato la rinnovata valutazione della pericolosità sociale qualificata del proposto, ritenendola sussistente e attuale.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto proposto per motivi diversi da quelli consentiti, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
R(
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 21/05/2025