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Pericolosità sociale: quando il lavoro non basta

La Cassazione ha confermato la misura della libertà vigilata per un individuo, ritenendo attuale la sua pericolosità sociale nonostante avesse un lavoro e avesse cambiato residenza. La decisione si basa sulla gravità del reato pregresso e sui legami non recisi con un’organizzazione criminale, elementi che prevalgono sugli aspetti positivi presentati dal ricorrente.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: Perché Lavoro e Nuova Vita Possono Non Bastare

La valutazione della pericolosità sociale di un individuo è uno degli aspetti più delicati del diritto penale. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come questo giudizio non si basi solo su elementi apparentemente positivi, come un lavoro stabile o un cambio di residenza, ma richieda un’analisi più profonda dei legami con il passato criminale. Il caso riguarda un uomo sottoposto a libertà vigilata, il quale sosteneva che la sua attuale condizione di lavoratore e il trasferimento in un’altra città dimostrassero il suo completo reinserimento sociale. La Suprema Corte, tuttavia, ha respinto il suo ricorso, confermando la misura di sicurezza.

I Fatti del Caso: Tra Lavoro e Legami Criminali

Il ricorrente era stato condannato per aver partecipato, in qualità di autista, al trasporto di un ingente carico di sostanze stupefacenti (48 kg di marijuana) da un paese estero. A seguito della condanna, il Magistrato di Sorveglianza aveva disposto nei suoi confronti la misura di sicurezza della libertà vigilata, ritenendo ancora attuale la sua pericolosità sociale. L’uomo ha impugnato questa decisione, sostenendo che il giudice non avesse considerato adeguatamente diversi elementi a suo favore: svolgeva da un anno l’attività di autotrasportatore, non aveva più carichi pendenti, non commetteva reati dal 2015 e si era trasferito per vivere con il padre, allontanandosi dal territorio in cui erano stati commessi i crimini.

La Valutazione della Pericolosità Sociale in Appello

La difesa ha lamentato un’erroneità e un’illogicità nella motivazione del provvedimento, accusando il giudice di essersi limitato a recepire le note informative delle forze dell’ordine senza una valutazione autonoma. Secondo il ricorrente, gli elementi positivi portati alla luce avrebbero dovuto condurre a una conclusione diversa, dimostrando il suo effettivo distacco dalle logiche criminali del passato.

Le Motivazioni della Cassazione: Perché il Ricorso è Inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la validità del ragionamento del Magistrato di Sorveglianza. La decisione della Suprema Corte si fonda su diversi punti chiave:

1. Rivalutazione dei Fatti: In primo luogo, il ricorso chiedeva alla Cassazione una nuova valutazione degli elementi di fatto, un’attività preclusa al giudice di legittimità, il cui compito è solo verificare la corretta applicazione della legge.
2. Gravità della Condotta: Il giudizio di pericolosità sociale era solidamente ancorato alla gravità del reato commesso. Aver agito come autista per un trasporto di droga così ingente non è stato considerato un ruolo marginale, ma una condotta di notevole allarme sociale.
3. Contesto Criminale: L’elemento decisivo è stato l’inserimento, ritenuto ancora attuale, in un contesto camorristico. L’uomo aveva agito nell’interesse di un noto clan, ancora operativo e nel quale militava anche suo fratello. Secondo la Corte, non erano stati forniti elementi concreti per dimostrare una reale rottura dei legami con tale gruppo.
4. Indicatori Fondamentali: Il provvedimento impugnato aveva correttamente applicato i tre indicatori fondamentali elaborati dalla giurisprudenza per valutare la pericolosità sociale: il livello di coinvolgimento passato nel gruppo criminale, la persistente capacità operativa del gruppo stesso e l’assenza di comportamenti che denotassero un reale abbandono delle logiche criminali.

Le Conclusioni: Pericolosità Sociale e Prova del Cambiamento

L’ordinanza chiarisce un principio fondamentale: per superare un giudizio di pericolosità sociale, non è sufficiente presentare elementi positivi generici come un lavoro o un cambio di residenza. Anzi, nel caso specifico, l’attività di autotrasportatore è stata vista con sospetto, essendo analoga a quella che aveva permesso la commissione del reato. È necessario fornire la prova positiva di aver reciso ogni legame con l’ambiente criminale di provenienza. In assenza di tale prova, e di fronte a un reato grave commesso in un contesto di criminalità organizzata, la valutazione di pericolosità rimane legittima, giustificando l’applicazione di misure di sicurezza come la libertà vigilata.

Avere un lavoro e cambiare residenza sono sufficienti a escludere la pericolosità sociale?
No, secondo l’ordinanza non sono elementi di per sé sufficienti. La Corte ha ritenuto che questi aspetti non bastano a dimostrare in modo inequivocabile di aver reciso i legami con l’ambiente criminale di origine, specialmente se l’attività lavorativa è analoga a quella che ha facilitato la commissione del reato.

Quali sono i criteri principali per valutare la persistenza della pericolosità sociale?
La Corte si basa su tre indicatori fondamentali: il livello di coinvolgimento pregresso del soggetto nell’attività del gruppo criminale, la capacità operativa che il gruppo di riferimento mantiene nel tempo e la manifestazione di comportamenti che denotano un reale abbandono delle logiche criminali precedentemente condivise.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché chiedeva alla Corte di Cassazione una nuova valutazione dei fatti, un’attività che non rientra nelle sue competenze. Inoltre, la Corte ha ritenuto che la motivazione del giudice precedente fosse logica, congrua e avesse già considerato adeguatamente tutti gli elementi presentati dalla difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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