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Pericolosità sociale: quando è legittima la sorveglianza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9165/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una misura di sorveglianza speciale. La Corte ha stabilito che una condanna per partecipazione ad un’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico è un elemento sufficiente a dimostrare l’attuale pericolosità sociale del soggetto, anche se è trascorso del tempo dall’ultimo reato commesso. L’assenza di prove di un recesso dal sodalizio criminale prevale sul mero decorso temporale.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: il Tempo da Solo Non Basta a Escluderla

La valutazione della pericolosità sociale è un tema centrale nel diritto della prevenzione, poiché costituisce il presupposto per l’applicazione di misure che limitano la libertà personale, come la sorveglianza speciale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9165/2024) offre importanti chiarimenti su come tale valutazione debba essere condotta, specialmente quando è trascorso un significativo lasso di tempo dall’ultimo reato commesso. La Corte ha stabilito un principio fondamentale: una condanna per partecipazione a un’associazione criminale crea una presunzione di persistente pericolosità che non può essere vinta dal solo silenzio serbato dall’interessato.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato riguardava un soggetto al quale la Corte di Appello aveva applicato la misura della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno per una durata di due anni e sei mesi. La decisione si fondava su una serie di elementi gravi: una condanna, confermata in appello, per partecipazione a un’associazione dedita al narcotraffico, composta da suoi familiari e caratterizzata da un’attività ben organizzata di coltivazione di marijuana; precedenti penali specifici; frequentazioni con altri criminali sin dal 2014 e la percezione di redditi nulli o irrisori, a fronte di un tenore di vita sostenuto dai proventi illeciti.

I Motivi del Ricorso e la Valutazione della Pericolosità Sociale

La difesa del ricorrente aveva impugnato il provvedimento in Cassazione, lamentando una violazione di legge per omessa motivazione. Secondo il ricorrente, i giudici di merito non avrebbero adeguatamente considerato due fattori cruciali: il notevole arco temporale intercorso dall’ultimo reato contestato (risalente al 2018) e il rispetto delle prescrizioni di una precedente e più lieve misura di prevenzione (l’avviso orale). In sostanza, si sosteneva che la pericolosità sociale non fosse più attuale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione chiara e netta. In primo luogo, ha ribadito che il suo sindacato sulle misure di prevenzione è limitato alla sola violazione di legge, escludendo un riesame del merito o della logicità della motivazione, a meno che questa non sia inesistente o meramente apparente.

Nel merito, i giudici hanno ritenuto che la Corte di Appello avesse correttamente giustificato la persistenza della pericolosità sociale. La condanna per un reato associativo, come la partecipazione a un’organizzazione per il narcotraffico, assume un peso decisivo. Questo tipo di reato, per sua natura, implica un inserimento stabile e radicato nel tessuto criminale. Di conseguenza, l’assenza di elementi positivi che dimostrino un concreto recesso del soggetto dal sodalizio criminale e un cambiamento di vita è sufficiente per ritenere che la pericolosità perduri.

Il semplice trascorrere del tempo e il rispetto di un precedente avviso orale non sono stati considerati elementi sufficienti a superare la gravità del quadro indiziario. Anzi, la Corte ha sottolineato che tali fattori non escludono la persistenza della pericolosità, ma ne dimostrano, al contrario, la continuità in assenza di prove contrarie.

Le Conclusioni

La sentenza n. 9165/2024 consolida un importante principio in materia di misure di prevenzione: la condanna per reati associativi genera una forte presunzione di attualità della pericolosità sociale. Per superare tale presunzione, non basta astenersi dal commettere nuovi reati; è necessario che l’interessato fornisca prove concrete di un effettivo abbandono del percorso criminale e di un reinserimento sociale positivo. In mancanza di tali prove, i giudici possono legittimamente ritenere che il rischio di recidiva sia ancora presente e, di conseguenza, applicare misure restrittive come la sorveglianza speciale per proteggere la collettività.

Il solo trascorrere del tempo da un reato è sufficiente a escludere la pericolosità sociale di un individuo?
No, secondo la Corte di Cassazione, il mero decorso del tempo non è di per sé sufficiente a escludere la pericolosità sociale, specialmente di fronte a una condanna per partecipazione a un’associazione a delinquere. È necessaria la prova di un concreto cambiamento di vita.

Quali elementi giustificano l’applicazione della sorveglianza speciale nel caso di specie?
La misura è stata ritenuta giustificata sulla base di un quadro complessivo che includeva: la condanna per partecipazione a un’associazione dedita al narcotraffico, precedenti penali specifici, frequentazioni criminali consolidate e la percezione di profitti derivanti da attività illecite.

Quali sono i limiti del ricorso in Cassazione in materia di misure di prevenzione?
Il controllo della Corte di Cassazione in questo ambito è ammesso solo per violazione di legge. Non è possibile contestare la valutazione dei fatti o la logicità della motivazione del giudice di merito, a meno che la motivazione sia inesistente o meramente apparente, il che costituirebbe una violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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