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Pericolosità sociale: quando è legittima la misura

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di una misura di prevenzione della sorveglianza speciale basata su un giudizio di pericolosità sociale. La decisione si fonda sulla valutazione di procedimenti penali pendenti e reati estinti, anche in assenza di condanne definitive, evidenziando l’autonomia del giudizio di prevenzione rispetto a quello penale. Il ricorso dell’interessato è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: Bastano i Sospetti per la Sorveglianza Speciale?

L’applicazione delle misure di prevenzione rappresenta uno degli ambiti più delicati del nostro ordinamento, poiché incide sulla libertà personale a prescindere da una condanna penale definitiva. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce sui criteri per valutare la pericolosità sociale di un individuo, confermando che anche procedimenti penali pendenti o estinti possono costituire una base sufficiente per l’applicazione della sorveglianza speciale.

Il Caso in Esame

Un soggetto, già sottoposto a un decreto del Tribunale di Torino che applicava la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per tre anni con obbligo di soggiorno, vedeva confermata tale misura anche dalla Corte d’Appello. Avverso questa decisione, proponeva ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo la difesa, la decisione dei giudici di merito si basava su una motivazione solo apparente, priva di elementi concreti a supporto della presunta pericolosità e dell’abituale commissione di reati.

I Motivi del Ricorso: Una Difesa contro la “Cultura del Sospetto”

Il ricorrente sosteneva che il giudizio sulla sua pericolosità fosse stato fondato impropriamente su:

* Mere contestazioni di reati: L’utilizzo di procedimenti penali ancora in corso, senza un accertamento definitivo di responsabilità.
* Mancata valutazione di elementi favorevoli: La circostanza che uno dei reati contestati fosse stato estinto per esito positivo della messa alla prova non sarebbe stata adeguatamente considerata.
* Assenza di abitualità: La tesi difensiva contestava che fosse stata provata la continuità e l’attualità delle attività delittuose, necessarie per affermare che il soggetto vivesse con i proventi di tali attività.

In sostanza, la difesa lamentava che il giudizio di prevenzione avesse travalicato i suoi limiti, sconfinando in un’area basata su sospetti e pseudo-elementi indiziari, in contrasto con la necessità di concretezza e attualità del giudizio di pericolosità.

L’Analisi della Cassazione sulla Pericolosità Sociale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando tutte le argomentazioni della difesa e fornendo importanti chiarimenti sui presupposti delle misure di prevenzione. I giudici supremi hanno ribadito la piena autonomia del procedimento di prevenzione rispetto al processo penale. Questo principio consente al giudice della prevenzione di valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, anche se non hanno portato a una condanna.

Le Motivazioni

La Corte ha specificato che, ai fini del giudizio sulla pericolosità sociale, possono essere considerati non solo gli elementi emersi da sentenze di condanna, ma anche quelli provenienti da procedimenti penali pendenti o conclusi con sentenze di proscioglimento (ad esempio, per estinzione del reato) o di assoluzione con formula dubitativa. L’importante è che da tali procedimenti emergano fatti oggettivi e sufficientemente chiari che, sebbene insufficienti per una condanna penale, possono fondare un giudizio di pericolosità. Nel caso specifico, la pendenza di procedimenti per reati contro il patrimonio e associazione per delinquere, nonché un arresto per furto in abitazione (reato poi estinto per messa alla prova), sono stati ritenuti elementi correttamente valutati.

Inoltre, la Corte ha affrontato il concetto di “vivere abitualmente” con i proventi di attività delittuose. Ha chiarito che l’avverbio “abitualmente” non implica una condotta criminale ininterrotta, ma una pluralità di condotte che si protraggono per un intervallo di tempo significativo, tale da caratterizzare lo stile di vita del soggetto come una scelta consapevole verso il crimine. La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta completa e coerente, poiché aveva sottolineato la continuità delle condotte illecite, escludendo che si trattasse di episodi isolati.

Le Conclusioni

La sentenza conferma un orientamento consolidato secondo cui il giudizio di prevenzione si basa su una valutazione complessiva della personalità del soggetto e del suo stile di vita. La pericolosità sociale può essere desunta da un quadro indiziario solido, anche in assenza di condanne definitive, purché gli elementi considerati siano concreti, attuali e indicativi di una propensione a delinquere. La decisione della Cassazione ribadisce che la motivazione del giudice deve essere reale e non apparente, confrontandosi con tutti gli elementi decisivi del caso. Dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

È possibile applicare una misura di prevenzione come la sorveglianza speciale anche se non ci sono condanne penali definitive?
Sì. La Corte di Cassazione chiarisce che il giudice della prevenzione può valutare autonomamente i fatti emersi in procedimenti penali, anche se non conclusi con una condanna, per fondare un giudizio di pericolosità sociale, purché da essi emergano elementi di fatto sufficientemente chiari.

Cosa si intende per ‘vivere abitualmente con i proventi di attività delittuose’?
Secondo la sentenza, non si richiede una continuità ininterrotta di reati, ma una serie di condotte illecite che si estendono per un significativo periodo di tempo e caratterizzano lo stile di vita del soggetto, dimostrando una scelta consapevole verso il crimine, in contrapposizione a episodi isolati.

Quando la motivazione di un provvedimento giudiziario è considerata ‘meramente apparente’?
La motivazione è ‘meramente apparente’ quando omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo che, se considerato, potrebbe portare a un esito diverso del giudizio. Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto che la motivazione non fosse apparente perché analizzava tutti gli elementi necessari a fondare la decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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