Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3810 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 3810  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: HOXHOLLI ROLAND nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, nella persona del sostituto procuratore NOME COGNOME, che ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 23 giugno 2023 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha dichiarato inammissibile la richiesta di semilibertà e rigettato le domande di affidamento in prova al servizio sociale e di detenzione domiciliare presentate da NOME COGNOME, in relazione alla condanna ad anni uno e mesi otto di reclusione emessa dal Tribunale di Roma in data 12 novembre 2021, la cui esecuzione è stata sospesa ai sensi dell’art.656, comma 5, cod.proc.pen.
Il Tribunale ha dichiarato inammissibile la richiesta di semilibertà, essendo la pena residua eccedente i limiti di cui all’art. 50, comma 1, Ord.pen., e non accoglibili le domande relative ad altre misure alternative alla detenzione, visti i numerosi precedenti penali dell’istante, i procedimenti ancora pendenti, la sua presenza irregolare in Italia, la mancanza di una residenza stabile, avendo egli solo un domicilio di fatto, la mancanza di un’attività lavorativa documentata, avendo egli solo asserito di lavorare in nero in una ditta edile del proprio fratello, e viste le informazioni negative della polizia giudiziaria, secondo le quali egli, denunciato ed arrestato più volte per reati contro la persona o il patrimonio e relativi al traffico di stupefacenti, commessi dal 2009 al 2021, risulta particolarmente pericoloso. Tali elementi impediscono la concessione dell’affidamento in prova, non ritenendosi il soggetto affidabile, ed anche della detenzione domiciliare, stante la persistente pericolosità sociale e la mancata prospettazione di un percorso lavorativo e risocializzante.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo con il quale deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen., con riferimento all’art. 47 -ter Ord.pen.
Il ricorrente aveva richiesto un breve rinvio per completare l’istruttoria sui nuovi elementi sopraggiunti, essendosi la sua situazione personale modificata dopo la presentazione dell’istanza, ed ha comunque rilevato l’erroneità del certificato dei carichi pendenti, nel quale è riportato come pendente in appello un procedimento per traffico di stupefacenti nel quale egli, invece, è stato assolto con la sentenza di primo grado emessa in data 06 giugno 2011. L’approfondimento istruttorio avrebbe permesso di dimostrare la disponibilità di un nuovo domicilio e di un lavoro, sia pure non regolarizzato, e la presenza di un nucleo familiare intenzionato ad assisterlo, quello del proprio fratello, da anni presente regolarmente in Italia. E’ poi illogica la rilevanza negativa attribuita
alla mancanza di iscrizione anagrafica e di una regolare attività lavorativa, perché esse conseguono allo status di clandestino, non essendo stata ancora definita la sua pratica di regolarizzazione, sul cui iter lo stesso Tribunale avrebbe dovuto informarsi.
Infine è illogica la valutazione di pericolosità sociale del ricorrente, basata sulla sua protratta devianza, perché egli si è astenuto dal delinquere sin dagli anni 2009 e 2010, ad eccezione del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 commesso nel 2021. L’affermazione di inidoneità della detenzione domiciliare al reinserimento è, quindi, illogica e contraddittoria.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è generico on si confronta con la motivazione dell’ordinanza impugnata, e deve essere dichiarato inammissibile.
Il Tribunale di sorveglianza ha respinto la richiesta di applicare misure alternative alla detenzione per la pericolosità sociale del ricorrente, evidenziata dalle molte condanne riportate, anche in epoca recente, e per l’assenza dei requisiti necessari per ritenere possibile lo svolgimento di un programma di risocializzazione e la formulazione di una prognosi favorevole quanto al pericolo di recidivanza. Il ricorrente censura l’ordinanza senza negare la sussistenza degli elementi ritenuti dimostrativi della sua pericolosità, ma solo chiedendo una loro diversa valutazione.
1.1. Non viene negato, infatti, che egli sia presente irregolarmente in Italia, al punto da avere ricevuto dal questore l’ordine di lasciare il territorio dello Stato, al quale, peraltro, non ha ottemperato, venendo condannato nel 2019 per il relativo delitto, commesso nel 2016. E’ nota la giurisprudenza di legittimità, secondo cui la mancanza di un valido titolo di soggiorno non può fondare una prognosi sfavorevole circa la possibilità di commettere nuovi reati, se non quando da essa consegua l’impossibilità di procurarsi lecitamente i mezzi di sussistenza, ma l’ordinanza ha evidenziato tale ultima problematica, ribadendo l’assenza di una concreta possibilità di un lavoro regolare. Tale condizione legittima, pertanto, una prognosi negativa, atteso che anche in passato egli risulta essersi procurato i mezzi di sostentamento commettendo reati, essendo stato condannato per gravi delitti contro il patrimonio e, recentemente, per il delitto di cessione o detenzione illecita di sostanze stupefac:enti. Il ricorrente
non si confronta con questa motivazione, limitandosi a ripetere, quanto alla proprie fonti di sostentamento, di avere la possibilità di lavorare, in maniera irregolare, nella ditta edile del fratello, ma non potendo documentare lo svolgimento di un’attività lavorativa regolare, così come sottolineato dal Tribunale. La deduzione della sua pericolosità sociale anche da questa condizione di presenza irregolare sul territorio è quindi corretta e fondata su dati oggettivi, non smentiti dal ricorrente.
1.2. Egli non nega neppure, di fatto, l’assenza di radicamento sul territorio italiano, in quanto si limita a ripetere di avere ottenuto la disponibilità di uno zi ad ospitarlo, senza provare di avere mai convissuto con detta persona. La stessa indicazione di un domicilio è precaria, avendo egli asserito che lo zio sta ristrutturando un’abitazione dove si trasferirà con i propri familiari. Anche la valutazione dell’assenza di una rete familiare che assicuri un !supporto duraturo è quindi logica e fondata su elementi concreti.
1.3. Il ricorrente, infine, non si confronta con l’affermazione del Tribunale di sorveglianza circa la rilevanza dei suoi precedenti penali, anche molto recenti, per valutare la sua pericolosità sociale. Egli si limita, infatti, ad affermare di non avere commesso reati già a partire dall’anno 2009/2010, sminuendo la gravità del delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90 commesso nel 2021. Al contrario, oltre alla gravità dei delitti per i quali è stato condannato, l commissione di un nuovo delitto dopo l’esecuzione delle pene irrogate con le precedenti condanne dimostra la sua rilevante inclinazione a delinquere e la sua propensione a mantenersi commettendo delitti di vario genere, motivati da un fine di lucro, elemento sul quale l’ordinanza impugnata fonda legittimamente la valutazione della sussistenza di tale pericolosità. L’affermazione dell’essersi egli astenuto dal commettere nuovi reati sin dal 2009/2010, poi, è smentita dal certificato penale in atti, il cui contenuto è correttamente riportato nell’ordinanza impugnata, dal quale risulta che egli ha commesso un ulteriore delitto nel 2016 e che, peraltro, è stato detenuto in espiazione pena, ad intervalli, dal 2009 al 2011 e poi dal 2013 al 2015, per cui l’astensione dal delinquere in quei periodi non può essere ritenuta dimostrativa di un volontario mutamento dello stile di vita.
Il ricorso, quindi non si confronta, con la ratio decidendi dell’ordinanza impugnata, in particolare nella parte in cui essa fonda la valutazione della pericolosità sociale del ricorrente sulla gravil:à e sulla ripetitività dei delitti da commessi, così conformandosi ai principi di questa Corte, secondo cui il giudizio della pericolosità deve essere effettuato sulla scorta dei parametri valutativi di
cui all’art. 133 cod. pen., tenendo conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo (v. Sez. 2, n. 14704 dei 22/04/2020, Rv. 279408).
Esso, inoltre, si limita a richiedere a questa Corte una diversa valutazione degli elementi dai quali il Tribunale di sorveglianza ha desunto la sua pericolosità sociale, ostativa alla concessione delle misure alternative alla detenzione da lui richieste. Deve invece ribadirsi che esula dai poteri di questa Corte, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione (v. Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Rv. 216260, e le molte pronunce successive).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00. 
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
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