Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1852 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1852 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a POLISTENA il 03/05/1968
avverso il decreto del 11/06/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
Ritenuto in fatto
Con decreto emesso in data 11 giugno 2024, la Corte d’appello di Reggio Calabria-Sezione Misure di prevenzione ha in parte accolto l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento del 14 giugno 2023, applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, rideterminando sia la durata della predetta misura in anni uno e mesi sei sia l’entità della cauzione. Il Tribunale aveva ritenuto il proposto soggetto socialmente pericoloso, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. a) e b) del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (d’ora in poi c.a.m.) perché indiziato di appartenenza a una cosca mafiosa, nonché della commissione dei reati di usura e di estorsione, aggravati dalla finalità di agevolare la cosca di appartenenza. La Corte d’appello, preso atto che l’imputàzione di cui al capo 1) era stata riqualificata da associazione mafiosa ad associazione a delinquere, e che la condotta· di usura era stata ravvisata previa esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis.1., primo comma, cod. pen., ha pertanto ritenuto di riformare il giudizio in tema di pericolosità sociale, lasciando sopravvivere soltanto la valutazione del proposto quale persona genericamente pericolosa ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b), c.a.m.
Avverso il decreto, ha proposto ricorso per cassazione il proposto, per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 1, comma 1, lett. b), c.a.m., avendo la Corte d’appello affermato, in maniera puramente asseverativa, che il proposto vivesse abitualmente dei proventi di attività illecite (usura, nel caso di specie). Ricorda la difesa come, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, l’avverbio “abitualmente”, che ricorre nella disposizione citata, debba intendersi inteso come riferito a un significativo intervallo temporale della vita del proposto, ciò che non ricorre nel caso di specie. Infatti, i reati di usura di cui ai capi 8) e 12), per i quali è intervenuta condanna in primo grado, sono riferiti 1) a una cifra talmente esigua da risultare insufficiente a soddisfare la condizione del vivere abitualmente di proventi illeciti; 2) a condotte circoscritte nel 2014, non perdurate altrimenti nel tempo; 3) a una persona offesa, le cui dichiarazioni, totalmente ignorate dalla Corte, scagionavano il proposto da responsabilità per la condotta di usura ascritta. Con iter logico inverso a quello dovuto in tema di giudizio di pericolosità sociale generica, la Corte avrebbe “raschiato il barile” della piattaforma indiziaria onde rinvenire elementi per giustificare la propria scelta, modellando forzatamente le
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esigenze di difesa sociale a emergenze del caso concreto, non idonee a supportare la valutazione in tema di giudizio di pericolosità sociale.
2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, con particolare riguardo al giudizio in tema di attualità della pericolosità sociale, per non avere la Corte d’appello valutato la potenziale incidenza del lungo periodo in cui il proposto è stato sottoposto, dapprima, a misura di custodia cautelare in carcere (dal giugno 2020 al giugno 2021) e, in seguito, al divieto di dimora in Calabria (per anni tre). Il giudizio reso dalla Corte d’appello è, a fortiori, illegittimo ove si consideri che il ricorrente non ha dato segno di atteggiamenti antisociali né durante la carcerazione né successivamente. A supporto dell’eccezione, il ricorrente valorizza la giurisprudenza di legittimità in tema di necessità di una nuova e autonoma valutazione sulla pericolosità sociale successivamente a un consistente periodo in cui il proposto sia stato privato della piena libertà personale.
Sono state trasmesse a) le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; b) memoria in replica alla requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.
1.1 Il primo motivo è infondato. Deve infatti convenirsi con la Corte d’appello, che, nell’evidenziare un ammanco di specificità delle questioni dedotte, ha osservato che l’atto d’impugnazione è stato incentrato sulla contestazione del solo giudizio di pericolosità sociale qualificata espresso dal Tribunale (eccezione, come già ricordato, poi accolta dai giudici della prevenzione nell’impugnato provvedimento).
Posto tale obiettivo deficit, e ribadito il consolidato principio espresso dalle Sezioni unite di questa Corte in tema di reciprodtà dell’onere di specificità che incombe sul ricorrente e sul giudice d’appello (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01), non può rimproverarsi alla Corte d’appello di aver reso una motivazione inadeguata (come il ricorrente deduce alle pp. 4-6 del ricorso) in tema di pericolosità sociale generica rispetto a quanto richiesto dall’art. · 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
Premessa, dunque, l’incontestabilità di quanto rilevato dalla Corte d’appello a proposito della carenza di specificità dell’atto d’impugnazione, va considerato che, in ogni caso, l’impugnato provvedimento non appare in contrasto con i principi
indicati da questa Corte sul tema in esame (cfr., ad es., Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280145 – 03: «in tema di misure di prevenzione, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, le “categorie di delitto” legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di c.d. pericolosità generica, ai sensi dell’art. 1, comma1, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011, devono presentare il triplice requisito – da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione – per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo»).
E, infatti, dopo aver preso atto della mancanza di specifiche deduzioni in ordine alla sussistenza di reddito lecito in capo al proposto, e ricordata la natura lucro-genetica delle condotte di usura per cui il ricorrente ha riportato condanna (ciò che gli aveva consentito di “vivere abitualmente anche in parte di proventi delittuosi”: v. p. 10 dell’impugnato provvedimento), la Corte d’appello ha ritenuto di dover condividere il giudizio del Tribunale circa la ricorrenza dei requisiti di cui all’art. dall’art. 1, comma 1, lett. b) , del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non senza prima aver ricordato l’attuale pendenza di un procedimento penale, in capo al proposto, per cessione di sostanza stupefacente.
A tal riguardo -e ribadendo che l’imputazione di cui al capo 1) è stata riqualificata da associazione mafiosa ad associazione a delinquere- è opportuno riaffermare il principio, statuito dalla giurisprudenza di legittimità, alla stregua del quale «in tema di misure di prevenzione, l’indizio di appartenenza ad un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di reati contro il patrimonio legittimamente è valutabile ai fini del giudizio di pericolosità cd. generica del proposto, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159» (Sez. 2, n. 38118 del 14/09/2021, Alafleur, Rv. 282190 – 02). Deve considerarsi, infatti, che, per quanto «il delitto di associazione per delinquere non sia di per sé produttivo di reddito, tuttavia il presupposto, di cui alla citata previsione normativa, consistente nel vivere “abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose” deve essere inteso facendo ricorso – alla stregua dei principi affermati da Corte cost. n. 24 del 2019 – non a singoli titoli di reato, bensì a specifiche “categorie delittuose” idonee a consentire l’individuazione di “tipi di comportamento” assunti a presupposto per l’adozione della misura» (COGNOME, Rv. 282190 – 02, cit.)
Si osserva, infine, che neppure le eccezioni difensive, sviluppate nel primo motivo, relative all’asserito rapporto di amicizia tra ricorrente e persona offesa, vittima di usura (l’imprenditore COGNOME), riescono a scardinare il giudizio reso dai
giudid della prevenzione; questi ultimi hanno infatti dimostrato che, già a partire dal 2009-2010 e fino al 2014, il ricorrente si era impegnato nel reperire somme di denaro a favore del COGNOME, che le aveva restituite pagando un tasso superiore alla soglia usuraria, come indicato nei capi d’imputazione 8) e 12). Peraltro, nel sostenere -con deduzione versata in fatto- che le dichiarazioni della persona offesa scagionavano il proposto da responsabilità per la condotta di usura ascritta, il ricorrente introduce sotto mentite spoglie -in quanto dedotta, in epigrafe del motivo, è la sola violazione di legge- un vizio di motivazione inammissibile in questa sede. Per pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, «in tema di procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione in cui va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio» (v., di recente, Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, COGNOME, Rv. 279284 – 01). La mancata decisività dell’asserito rapporto di mera amicizia tra il ricorrente e la persona offesa era stata già confermata dalla sentenza di condanna del Tribunale di Palmi del 6 giugno 2024, richiamata nel decreto in tal sede impugnato.
2. Il secondo motivo è, del pari, infondato. Quel che si è affermato (retro, sub 1.1), circa la mancata devoluzione .al giudice d’appello della prevenzione della questione inerente la pericolosità generica, di cui all’art. 1, comma 1, lett. b) d.lgs. 159 del 2011, vale anche per la censura, dedotta soltanto in tale sede ma non anche in appello, vertente sul giudizio in tema di attualità della pericolosità stessa.
Invero, con atto d’appello, l’odierno ricorrente, nel censurare il giudizio reso dal Tribunale su tale profilo, aveva non a caso valorizzato precedenti di questa Corte in tema di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenenza ad associazione di tipo mafioso (v. il riferimento, p. 3 dell’atto d’appello, a Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271511 – 01). La necessità di un’autonoma valutazione, da parte del giudice della prevenzione, di elementi di fatto valorizzati in altri procedimenti -su cui il ricorrente torna in tal sede a insistere- era stata riferita, ancora una volta, al giudizio sull’attualità dell pericolosità sociale del soggetto indiziato di appartenenza ad associazione di tipo mafioso (si veda il riferimento, a p. 5 dell’atto d’appello, a Sez. 1, n. 10034 del 05/02/2019, COGNOME, Rv. 275054 – 01: «in tema di misure di prevenzione, il giudizio sull’attualità della pericolosità sociale dell’indiziato di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso può essere fondato su elementi di fatto valorizzati in altri provvedimenti giudiziari, a condizione che ne sia effettuata un’autonoma
valutazione, senza possibilità di recepire acriticamente il giudizio prognostico sulla pericolosità sociale contenuto in detti provvedimenti, anche se relativi a misure di sicurezza o a misure cautelari»).
Posto che l’appello proposto avverso l’applicazione di una misura di prevenzione ha natura di impugnazione (cfr. Sez. 2, n. 16553 del 31/03/2022, Milano, Rv. 282965 – 01: l’appello avverso i provvedimenti in tema di misure di prevenzione deve qualificarsi come impugnazione ed è pertanto soggetto alla relativa disciplina, compreso l’art. 581 cod. proc. pen., sicchè deve essere ritenuto inammissibile per difetto di specificità l’appello che non contenga l’enunciazione dei motivi; in applicazione del prindpio, la Corte, preso atto della mancata proposizione, con l’atto d’appello, del motivo fondato sulla persistenza della pericolosità del soggetto, non esaminabile d’ufficio, ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata), e posto anche che da ciò discende che il giudice del gravame ha cognizione limitata ai punti delle decisioni di primo grado ai quali si riferiscono i motivi proposti, fatte salve le questioni rilevabili d’ufficio (Sez. 2, n. 9517 del 07/02/2018, COGNOME e altri, Rv. 272520; Sez. 2, n. 16553 del 31/03/2022, Milano Salvatore, Rv. 282965), deve concludersi che la questione relativa alla persistenza della pericolosità generica del proposto non rientra tra quelle esaminabili d’ufficio.
Per tali ragioni, il Collegio rigetta il ricorso. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22/11/2024
Il consigliere estensore
Il presidente