Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3698 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3698 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a POLISTENA (REGGIO CALABRIA) il DATA_NASCITA avverso il decreto del 03/02/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 3/2/2023 la Corte di appello di Reggio Calabria – quale giudice di prevenzione – ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso il decreto del Tribunale in sede del 10/11/2021, che aveva disposto nei confronti del predetto la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza per la durata di quattro anni.
1.1. Con riferimento alla pericolosità sociale qualificata, ritenuta ai sensi dell’art. 4, lett. a) e b), D. Lgs. n. 159 del 2011, il giudice di appell confermato l’attualità di tale condizione, evidenziando che nel 2020 COGNOME è stato sottoposto a misure custodiali nei procedimenti “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” per la partecipazione ad una potente cosca di ‘ndrangheta (COGNOME di Polistena), nell’ambito della quale operava nel settore delle estorsioni, così presentando sicuri indici delle indicate categorie di pericolosità sociale.
1.2. Quanto all’attualità della pericolosità qualificata – previa esclusione di una sovrapposizione degli elementi di prova tra quelli valutati per l’emissione della misura di prevenzione del 2016 e quella attuale – si rimarca che gli elementi fondanti la presente misura sono tratti da procedimenti penali che non erano ancora esistenti all’epoca della prima misura, mentre i riferimenti a pregresse frequentazioni sono soltanto elementi di contorno.
Le condotte significative del COGNOME si collocano nel corso dell’anno 2017, dunque nell’arco di un ragionevole lasso di tempo antecedente all’emissione del decreto applicativo de quo, risalente al 2021.
Avverso detto decreto il sottoposto ha avanzato ricorso per cassazione, con il ministero del difensore AVV_NOTAIO, deducendo violazione di legge in relazione agli artt. 4 e 10, comma 3, D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
2.1. Nel primo motivo si censura la violazione della garanzia del giudicato ai sensi degli artt. 648 e 649 cod. proc. pen., lamentando che siano state valutate le medesime risultanze investigative già esaminate per l’emissione del precedente decreto del 2016, ad onta della motivazione meramente apparente sul punto. Invero, in assenza di elementi di novità, le richiamate frequentazioni ed i precedenti penali del COGNOME – già valorizzati nel primo decreto – non potrebbero supportare una nuova misura di prevenzione.
2.2. Nel secondo motivo di impugnazione si deduce violazione di legge in ordine ai requisiti di applicazione della sorveglianza speciale, quanto all’affermata pericolosità sociale, che non scaturirebbe da specifici fatti, idonei ad inquadrare COGNOME nelle categorie di legge, bensì da mere emergenze di indagine.
Peraltro, non si sono considerate le obiezioni difensive che indirizzavano .231,,c(4 o ad una diversa lettura del compendio intercettivo del procedimento COGNOME; né si è valorizzata l’assoluzione del COGNOME nel procedimento “Scacco Matto”, a riprova che il proponendo non era inserito in alcun contesto di criminalità organizzata.
2.3. Infine, si rivolgono censure sul giudizio di attualità della pericolosit sociale operato nell’impugnato decreto, ritenuto in contrasto con l’esigenza di verificare la persistenza della medesima sia all’epoca della decisione che al momento dell’esecuzione della misura di prevenzione personale (come insegna la Corte costituzionale nella sentenza n. 291 del 2013), escludendo altresì logiche presuntive fondate sulla gravità delle condotte contestate in sede penale, e invece richiedendo che siano saldamente basate su una valutazione di concreta riproducibilità della condotta antisociale da parte del proposto.
A tali canoni non si sarebbe ispirato l’impugnato decreto, corredato di una motivazione apparente – da intendersi quale violazione di legge – e del tutto dimentica che la pericolosità sociale andava indagata alla luce del contegno del COGNOME nei sei anni successivi alla proposta di applicazione della misura di prevenzione. Si postula anche, sul punto, che la sottoposizione del prevenuto a custodia cautelare introduce una presunzione di risocializzazione quale effetto del trattamento penitenziario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e riproduttivo di doglianze già compiutamente analizzate e respinte nell’impugnato provvedimento.
1.1. Non si apprezzano i dedotti vizi di legittimità in ordine alla censurata violazione del giudicato per essere stati considerati i medesimi elementi già valorizzati per l’emissione del primo decreto di prevenzione. Come ha illustrato il decreto in esame, e contrariamente alle deduzioni difensive, gli elementi a supporto della nuova misura di prevenzione sono tratti da procedimenti penali che non erano ancora esistenti all’epoca della prima misura, mentre i riferimenti a pregresse frequentazioni sono soltanto richiamati ad abundantiam.
Alla stregua dell’esegesi di legittimità, si rammenta che «il principio del ne bis in idem è applicabile anche nel procedimento di prevenzione, ma la preclusione del giudicato opera rebus sic stantibus e, pertanto, non impedisce la rivalutazione della pericolosità ai fini dell’applicazione di una nuova o più grav misura ove si acquisiscano ulteriori elementi, precedenti o successivi al giudicato, ma non valutati, che comportino un giudizio di maggiore gravità della pericolosità stessa e di inadeguatezza delle misure precedentemente adottate» (Sez. U, n. 600 del 29/10/2009, dep. 2010, Galdieri, Rv. 245176).
1.2. Non colgono nel segno nemmeno le critiche in ordine all’individuazione della pericolosità sociale, che è stata congruamente affermata per essere stato il COGNOME sottoposto a misure custodiali nei procedimenti “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, accusato di partecipazione (e non di mera contiguità) ad una potente cosca di ‘ndrangheta (COGNOME di Polistena), nell’ambito della quale operava nel settore delle estorsioni, così presentando sicuri indici delle indicate categorie di pericolosità sociale.
Sono inammissibili sul punto le critiche del ricorrente, asseritamente per violazione di legge, ma in realtà intese a sollecitare una verifica in concreto dei presupposti della misura di prevenzione, addirittura dolendosi che non si sia dato seguito alla proposta interpretazione delle intercettazioni riportate nelle ordi nanze cautelari nel senso alternativo propugnato dalla difesa.
1.3. Infine, non hanno pregio le doglianze sulla valutazione in concreto dell’attualità della pericolosità sociale, in quanto tale circostanza costituisce un questione di fatto, il cui accertamento esula dal controllo di legittimità (Sez. n. 15107 del 17/12/2003, dep. 2004, Criaco, Rv. 229305). Peraltro, riprendendo il dato per cui COGNOME è attinto da gravi indizi di partecipazione ad una cosca di ‘ndrangheta, emergenti dalle ordinanze custodiali a suo carico, va anche precisato che, in ordine alla verifica del requisito della attualità della pericolosi solo nel caso in cui sussistano elementi sintomatici di una “partecipazione” del proposto al sodalizio mafioso, è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo purché la sua validità sia verific alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell’accertamento di attualità della pericolosità (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271511).
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, da ciò conseguendo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della congrua somma indicata in dispositivo alla cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., non risultando l’assenza di profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, a tenore della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 2000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 12 settembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente