Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20319 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20319 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nata a Maddaloni il 7/1/1982
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 5/7/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 5.7.2024, la Corte d’Appello di Napoli ha provveduto sull’appello presentato avverso la sentenza del G.i.p. del Tribunale di Napoli del 18.5.2016, con cui NOME COGNOME -imputata con altri soggetti -è stata condannata alla pena di tre anni di reclusione per i reati di cui agli artt. 416bis cod. pen., 12quinquies L. n. 356 del 1992, 7 L. n. 203 del 1991, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e della diminuente per il rito abbreviato.
La sentenza dà atto che il difensore della COGNOME ha presentato appello, chiedendo: 1) l’assoluzione dal reato associativo per avere l’imputata operato esclusivamente nell’interesse del marito, affiliato al clan Belforte, e beneficiato del denaro a lui spettante, facendo non più -come risultante dalle intercettazioni -che da mera nuncia delle deliberazioni adottate da COGNOME NOME o da COGNOME NOME; 2) l’assoluzione dal reato di cui all’art. 12 -quinquies L. n. 356 del 1992, avendo ella solo reinvestito soldi del marito nell’acquisto di un’abitazione, poi intestata ad altro soggetto; 3) l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203 del 1991; 4) l’irrogazione del minimo della pena, con la concessione delle attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 8 L. n. 203 del 1991 nella massima estensione, nonché la revoca della misura di sicurezza della libertà vigilata.
La Corte d’Appello premette che l’imputata ha reso dichiarazioni confessorie, ma meramente ricostruttive degli eventi, in un’ottica tesa a sminuire il suo contributo. Ha dichiarato di avere ricevuto lo stipendio da parte del clan, soprattutto nell’epoca di detenzione del marito, e di avere fatto da tramite tra il marito e la cugina COGNOME NOME, riferendo messaggi e informazioni su questioni economiche del clan. Di conseguenza, è rimasto comprovato il suo pieno coinvolgimento nel sodalizio, avendo ella apportato in tal modo un contributo concreto alle dinamiche criminali del clan.
Quanto, poi, al reato di intestazione fittizia, i giudici di secondo grado lo ritengono provato, ma escludono che ricorra l’aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203 del 1991, sicché il reato è da considerarsi prescritto.
Quanto alla pena, la Corte territoriale osserva che è già prossima al minimo edittale e che non ricorrono ragioni per stimare le attenuanti generiche prevalenti sulle circostanze aggravanti, in quanto il comportamento collaborativo dell’imputata è stato gi à ampiamente valorizzato dal giudice di primo grado.
Quanto, infine, alla misura di sicurezza, la sentenza premette che il giudice resta libero di applicarla anche ai collaboratori di giustizia e osserva che la Natale è gravata da precedenti penali, di guisa che non se ne può escludere la pericolosità social e. In conclusione, la Corte d’Appello ridetermina la pena nei confronti dell’imputata in due anni e otto mesi di reclusione.
Avverso la predetta sentenza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME COGNOME articolando quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 416 -bis cod. pen. e la erronea contestazione dell’aggravante ex art. 7 L. n. 203 del 1991, nonché la illogicità della motivazione.
Evidenzia che la Corte d’Appello non ha individuato alcun elemento dimostrativo del reale inserimento della Natale nell’organigramma del clan. Ella, quale moglie del capoclan, era una mera osservatrice passiva e talvolta faceva da tramite per la comunicazione delle attività illecite, senza che ricoprisse alcun ruolo nel sodalizio. Ma -rileva il ricorso -non è sufficiente la ‘messa a disposizione’ dell’associazione, occorrendo che il soggetto si impegni all’obbedienza e al silenzio, ricevendo a sua volta d all’associazione sostegno per sé e la propria famiglia, anche di tipo economico.
Si censura anche che la motivazione sia carente e illogica circa l’affermazione del pieno coinvolgimento nelle dinamiche economiche del clan della Natale, che piuttosto si limitava a curare gli aspetti finanziari del proprio nucleo familiare. Di conseguenz a, anche la circostanza aggravante dell’agevolazione difetta del dolo specifico, da parte della ricorrente, di perseguire gli obiettivi dell’associazione.
2.2 Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 416 -bis .1, comma 3, cod. pen. in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante della collaborazione nella massima estensione e all’eccesso nella dosimetria della pena, nonché la illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Lamenta, in particolare, che nel caso di specie concorrevano utilità e decisività del contributo dichiarativo dell’imputata, la quale ha fornito una precisa ricostruzione delle aree economiche sottoposte all’influenza della consorteria mafiosa dei Belforte e della struttura associativa. Le sue dichiarazioni presentavano il carattere della novità e della genuinità, confermate da riscontri esterni.
2.3 Con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 228 cod. pen. in relazione alla mancata revoca della libertà vigilata e la motivazione apparente.
Si evidenzia che la Natale ha rescisso ogni legame con l’associazione e ha intrapreso un percorso collaborativo, improntato ad un mutamento dello stile di vita e al progressivo abbandono delle logiche criminali. Questo avrebbe dovuto implicare un giudizio positivo in ordine alla pericolosità sociale.
Invece, la Corte non ha considerato adeguatamente gli indici di cui all’art. 133 cod. pen. ed ha ricondotto apoditticamente il giudizio di pericolosità ai precedenti penali, senza prendere in considerazione i comportamenti successivi.
2.4 Con il quarto motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 62 -bis cod. pen. in relazione al mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche e la relativa motivazione carente.
Si duole che la Corte d’Appello sia incorsa in un grave vizio motivazionale quando ha affermato che il comportamento collaborativo dell’imputata è stato già
valorizzato dal giudice di primo grado. Non ha preso in considerazione, invece, il contegno processuale, la condotta post-delictum e la resipiscenza.
Con requisitoria scritta del 30.1.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, sviluppatosi attraverso motivi ripetitivi dei motivi di appello, che hanno già trovato adeguata risposta nella sentenza impugnata, la quale, con percorso argomentativo coerente e approfondito, ha ritenuto provato il pieno coinvolgimento della ricorrente nell’associazione criminale. Quanto , poi, alle circostanze attenuanti generiche e al giudizio di bilanciamento con le aggravanti, la Corte di cassazione ha in più occasioni affermato il principio per cui il giudizio discrezionale delle Corti di merito non può essere oggetto di censura in sede di legittimità, purché motivato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono infondati, ad eccezione di quello relativo alla misura di sicurezza della libertà vigilata, disposta nei confronti della ricorrente con la sentenza di condanna.
Quanto al primo motivo, il ricorso non avversa la ricostruzione in termini fattuali della condotta della COGNOME, consistita essenzialmente in un’attività di collegamento e comunicazione tra il marito detenuto e la cugina (moglie del capo NOME COGNOME) in relazione a questioni economiche interne al clan cui l’uomo apparteneva, e peraltro nel mentre l’imputata stessa riceveva uno stipendio fisso dal sodalizio criminale.
Si contesta, piuttosto, la sussumibilità di tale condotta entro i confini del reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, che sarebbe invece escluso -secondo la ricorrente -dalla circostanza che la Natale non rivestiva alcun ruolo nell’organigramma associativo e che si limita va a curare gli interessi economici del proprio nucleo familiare.
A questo proposito, va osservato che l’adesione ad un’associazione criminosa non richiede necessariamente forme specifiche o rituali. Rileva, piuttosto, che l’agente assicuri innanzitutto la propria messa a disposizione dell’associazione stessa, in ogni circostanza in cui occorra la propria opera, con carattere di continuità. La condotta, in secondo luogo, deve tradursi in un contributo apprezzabile e concreto alla operatività ed efficienza dell’associazione.
Ebbene, nel caso di specie la Corte d’Appello di Napoli ha spiegato adeguatamente quale contributo la Natale abbia apportato all’associazione, in modo nient’affatto occasionale o ininfluente rispetto all’operatività del sodalizio,
richiamando la sua stabile e remunerata dedizione alla diffusione delle informazioni interne al clan, a ragione dello stato di detenzione di taluno degli associati.
Un ruolo specifico, dunque, le era stato assegnato nelle dinamiche associative e si trattava di un compito che solo ella avrebbe potuto utilmente svolgere, in quanto autorizzata ad incontrare uno dei sodali sottoposto a restrizione carceraria: e partecipante all’associazione è appunto chi svolga i compiti che gli sono stati affidati nel programma operativo plurisoggettivo, in modo causalmente efficiente rispetto alla conservazione della funzionalità dell’associazione.
Né rileva in senso liberatorio per l’odierna ricorrente la circostanza che fosse legata da vincoli di parentela ad uno degli associati.
Se è vero che la semplice relazione di parentela tra i presunti associati non è di per sé idonea a costituire prova dell’appartenenza di taluno di essi all’associazione, ciò nondimeno integra la condotta di partecipazione ad una associazione di tipo mafioso colui che volontariamente ponga in essere attività funzionali agli scopi del sodalizio ed apprezzabili come concreto e causale contributo all’esistenza e al rafforzamento dello stesso, a prescindere dai motivi che lo hanno determinato ad agire in tal modo (Sez. 1, n. 17206 del 4/3/2010, Pmt in proc. Gallo, Rv. 247050 – 01), purché sia consapevole di saldare la propria opera a quella degli altri associati in una prospettiva di mantenimento dell’operatività dell’attività associativa.
Ciò detto, dunque, il ricorso si limita essenzialmente a evidenziare ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti dai giudici del merito in ordine allo spessore della valenza probatoria dei singoli elementi posti a base della decisione di ritenere la ricorrente responsabile del reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen.
In questo modo, non arriva, tuttavia, a invalidare l’apparato motivazionale della sentenza impugnata, che ha proceduto in maniera non illogica o contraddittoria ad una valutazione critica dei dati probatori acquisiti al processo ed è coerentemente pervenuta all’affermazione della responsabilità della ricorrente.
Quanto, poi, alla doglianza -pure contenuta nel primo motivo -relativa all’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. con L. n. 203 del 1991, manca l’interesse a proporla della Natale, dal momento che la circostanza le era stata contestata in relazione a un reato dal quale infine è stata prosciolta dalla Corte d’Appello.
Il motivo, pertanto, deve essere complessivamente disatteso.
Quanto al secondo motivo, non risulta in quale misura sia stata applicata la diminuzione di pena prevista per il riconoscimento in favore della Natale della
circostanza attenuante di cui all’art. 8 d.l. n. 152 del 1991, conv. con L. n. 203 del 1991.
Per vero, il giudice di primo grado quantifica la pena base per il reato più grave di cui all’art. 416 -bis cod. pen. nella misura di quattro anni di reclusione, ma determinandola già al netto della -non esplicitata -diminuzione per l’applicazione della circostanza attenuante della c.d. dissociazione. E i giudici di secondo grado, nel procedere alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio per effetto della declaratoria di estinzione del reato di interposizione fittizia, si limitano a defalcare la relativa porzione di pena senza fare ulteriore riferimento alla restante pena inflitta per il reato associativo.
Ciò nondimeno, deve ritenersi che, trattandosi di una associazione operante nel 2012, la pena applicabile all ‘ ipotesi di partecipazione di cui al comma primo dell’art. 416 -bis cod. pen. era quella -introdotta dall’art. 1, comma 1, lett. b -bis ), n. 1), D.L. n. 92 del 2008 e poi modificata solo con l’art. 5, comma 1, lett. b), L. n. 69 del 2015 -da sette a dodici anni di reclusione.
Di conseguenza, anche a volere ritenere, nella più favorevole delle ipotesi, che alla Natale sia stata irrogata la pena minima di sette anni di reclusione, le sarebbe stata applicata comunque una diminuzione di trentasei mesi di reclusione assai prossima al massimo della riduzione , prevista dall’art. 8 d.l. n. 152 del 1991, conv. con L. n. 203 del 1991, della metà (che, in relazione alla pena minima di sette anni, sarebbe di quarantadue mesi).
Ora, in tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, la discrezionalità del giudice nell’applicare la diminuzione derivante dalla ritenuta ricorrenza di una o più circostanze attenuanti comporta che il relativo onere motivazionale è tanto più intenso quanto più contenuta è l’incidenza del beneficio rispetto alla pena in concreto stabilita (Sez. 3, n. 42121 dell’8/4/2019, Egbule, Rv. 277058 -01).
Questo vuol dire che, nel caso di specie, l’onere motivazionale circa il limitato scarto della diminuzione di pena rispetto alla sua estensione massima era ridotto e si può ritenere che sia stato implicitamente assolto con il riferimento, più volte espresso in sentenza, alla modesta rilevanza delle dichiarazioni confessorie della Natale.
Giacché la misura della diminuzione della pena per ciascuna delle circostanze attenuanti applicate costituisce l’oggetto di una tipica facoltà discrezionale del giudice di merito (Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196 -01), questi può limitarsi alla sola enunciazione degli elementi determinanti per la soluzione adottata.
Il richiamo alla non particolare incidenza della collaborazione della COGNOME sulla ricostruzione dei fatti è da considerarsi senza dubbio sufficiente a giustificare il
limitato discostamento dal minimo edittale, che, in quanto tale, già non necessitava, per quanto sinora osservato, di una dettagliata motivazione, sicché quella formulata sul punto della sentenza impugnata non è ulteriormente sindacabile in questa sede.
Anche questo motivo, pertanto, va disatteso.
3. Il terzo motivo, invece, è fondato.
L’art. 417 cod. pen. prevede, quanto alla misura di sicurezza per il delitto di cui al precedente art. 416bis , una presunzione di pericolosità per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa, che può essere superata da concreti elementi idonei ad escluderla, come, per esempio, la collaborazione.
I giudici di secondo grado hanno rigettato il motivo di appello attinente alla revoca della misura di sicurezza, mediante il richiamo ai precedenti penali dell’imputata, ma in modo non particolarmente argomentato, avendo omesso qualsivoglia riferimento alla natura di tali precedenti e al motivo per cui essi fossero da considerarsi indice di perdurante e attuale pericolosità sociale della condannata.
Un più approfondito apprezzamento di tali aspetti sarebbe stato a maggior ragione necessario se si tiene conto che, sia pure nei termini limitati di cui si è detto sopra, alla Natale era stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione con l’autorità g iudiziaria, che è proprio uno degli elementi astrattamente idonei a superare la presunzione semplice di pericolosità (Sez. 6, n. 2025 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272023 – 01).
È vero che, ai fini del giudizio sull’attualità della pericolosità, la collaborazione non ha di per sé rilievo e che il giudice resta libero di operare apprezzamenti anche divergenti sul piano della pericolosità del “collaboratore”, ma purché fondati su specifiche e significative emergenze (Sez. 1, n. 43824 del 19/6/2019, COGNOME, Rv. 277146 – 01).
Nel caso di specie, la motivazione sul punto è carente, perché, per un verso, richiama non meglio precisati reati precedenti di cui non è nemmeno indicata l’epoca di commissione, sicché la verifica di una valutazione di attualità della pericolosità sociale sarebbe preclusa in radice; per l’altro, pur facendo sostanziale riferimento al criterio, tra quelli previsti dall’art. 133 cod. pen., della capacità a delinquere desunta dai precedenti, omette qualsivoglia riferimento agli elementi fattuali concreti da cui ha ricavato lo sfavorevole giudizio di attualizzazione della pericolosità, nonostante abbia al contempo confermato il riconoscimento dell’attenuante della collaborazione.
Di conseguenza, deve ritenersi che la sentenza impugnata non abbia fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di misure di sicurezza, a
seguito della modifica introdotta dall’art. 31, comma 2, legge 10 ottobre 1986, n. 633, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, la loro applicazione, ivi compresa quella prevista dall’art. 417 cod. pen., può essere disposta, anche da parte del giudice della cognizione, soltanto dopo l’espresso positivo scrutinio dell’effettiva pericolosità sociale del condannato, da accertarsi in concreto sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., globalmente valutati (Sez. 1, n. 2875 del 12/12/2023, dep. 2024, Chianese, Rv. 285810 -01; Sez. 5, n. 24873 del 21/4/2023, COGNOME, Rv. 284817 -01).
La sentenza, pertanto, va annullata limitatamente all’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli per un nuovo esame , che, tenendo conto dei principi ora enunciati, valuti, da un lato, la concreta incidenza dei precedenti della ricorrente, in relazione alla loro natura e al tempo di commissione dei reati, sulla sua pericolosità sociale attuale, e, dall’altro, espliciti se la collaborazione prestata dalla Natale sia idonea o meno a consentire l’eventuale superamento della presunzione di pericolosità.
Quanto al quarto motivo, infine, la motivazione della sentenza impugnata, fondata sulla insussistenza di elementi di segno positivo -finanche nella prospettazione difensiva dell’atto di appello per il riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche, è congrua e nient’affatto illogica.
Peraltro, anche il ricorso per cassazione rinnova sostanzialmente la censura di mancata considerazione della collaborazione della Natale, che invece la Corte d’Appello prende in esame, per escludere adeguatamente che tale evenienza, già valorizzata dal giudice di primo grado e comunque fondata su presupposti diversi da quelli di cui all’art. 62 -bis cod. pen., sia suscettibile di giustificare una duplicazione di conseguenze favorevoli all’imputato.
Tanto consente di fare applicazione, nel caso di specie, del principio secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi anche quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. 2, n. 31543 del l’ 8/6/2017, COGNOME, Rv. 270450 -01; Sez. 5, n. 5579 del 26/9/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258874 – 01).
Il motivo, pertanto, è infondato.
5. Alla luce di quanto fin qui complessivamente osservato, dunque, la sentenza impugnata va annullata limitatamente all’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli per un nuovo esame alla stregua dei principi che sono stati già sopra richiamati nel par. 3. Nel resto, il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicazione della misura di sicurezza, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 7.3.2025