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Pericolosità sociale: non è automatica per art. 416-bis

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza limitatamente alla misura di sicurezza della libertà vigilata, applicata a una donna condannata per partecipazione ad associazione mafiosa. La Corte ha stabilito che la valutazione della pericolosità sociale non può basarsi su una mera presunzione, ma richiede un accertamento concreto e attuale, tenendo conto anche della collaborazione con la giustizia. Il resto del ricorso, relativo alla sussistenza del reato e alla pena, è stato rigettato.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale e Reati di Mafia: la Cassazione fissa i paletti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 20319/2025) interviene su un tema delicato: la valutazione della pericolosità sociale di chi è condannato per associazione mafiosa. Il caso riguarda una donna, condannata per aver partecipato alle attività di un clan, che si è vista applicare la misura di sicurezza della libertà vigilata. La Suprema Corte, pur confermando la condanna, ha annullato la parte della sentenza relativa alla misura di sicurezza, stabilendo che la sua applicazione non può essere automatica e richiede una motivazione rafforzata, soprattutto in presenza di collaborazione con la giustizia.

I Fatti del Processo

L’imputata, moglie di un affiliato a un noto clan, era stata condannata in primo grado e in appello per partecipazione ad associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.). Secondo l’accusa, la donna non si era limitata a un ruolo passivo, ma aveva agito come tramite per le comunicazioni tra il marito detenuto e altri membri del clan, ricevendo in cambio uno stipendio fisso dall’organizzazione criminale.

In appello, la Corte territoriale aveva parzialmente riformato la pena, dichiarando prescritto un reato minore, ma aveva confermato la misura di sicurezza della libertà vigilata. La difesa ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando sia la sussistenza del reato associativo sia la valutazione sulla pericolosità della propria assistita.

La valutazione della pericolosità sociale secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato i motivi di ricorso relativi alla responsabilità penale, confermando che il contributo della donna – stabile, remunerato e funzionale alle dinamiche del clan – integrasse a tutti gli effetti la partecipazione all’associazione mafiosa.

Tuttavia, la Corte ha accolto il motivo relativo alla misura di sicurezza. La legge prevede una presunzione di pericolosità sociale per chi viene condannato per reati come l’art. 416-bis c.p. Ciò nonostante, questa presunzione non è assoluta e può essere superata da elementi concreti. La collaborazione con l’autorità giudiziaria è uno di questi elementi.

Le Motivazioni della Decisione

I giudici di legittimità hanno ritenuto la motivazione della Corte d’Appello carente e illogica. Per giustificare la libertà vigilata, i giudici di merito si erano limitati a un generico richiamo ai precedenti penali dell’imputata, senza specificarne la natura, la gravità o l’epoca di commissione. Un riferimento così vago impedisce una valutazione sull’attualità della pericolosità sociale.

Inoltre, la sentenza impugnata non aveva adeguatamente ponderato l’effetto della collaborazione offerta dall’imputata. Se da un lato le era stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione, dall’altro questo stesso elemento non era stato sufficientemente considerato nel giudizio sulla sua attuale pericolosità. La Cassazione ha ribadito che, per applicare una misura di sicurezza, il giudice deve compiere uno scrutinio positivo ed espresso dell’effettiva e attuale pericolosità del condannato, basandosi su una valutazione globale di tutti gli elementi a disposizione, come previsto dall’art. 133 del codice penale.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza è stata annullata con rinvio limitatamente al punto sulla misura di sicurezza. La Corte d’Appello dovrà riesaminare la questione, valutando in modo concreto e approfondito l’incidenza dei precedenti penali e, soprattutto, se la collaborazione prestata dall’imputata sia idonea a superare la presunzione di pericolosità sociale. Questo principio riafferma che neanche le condanne per i reati più gravi possono portare all’applicazione automatica di misure di sicurezza, che richiedono sempre un’indagine rigorosa sulla situazione attuale del condannato.

La condanna per associazione mafiosa comporta automaticamente l’applicazione di una misura di sicurezza?
No. Sebbene la legge preveda una presunzione di pericolosità sociale per questo reato, tale presunzione non è assoluta. Il giudice deve sempre effettuare una valutazione concreta e attuale della pericolosità del condannato prima di applicare una misura di sicurezza.

La collaborazione con la giustizia può escludere la pericolosità sociale di un condannato per mafia?
Sì, la collaborazione è uno degli elementi che il giudice deve considerare per valutare se la presunzione di pericolosità sociale sia stata superata. Anche se non esclude automaticamente la pericolosità, deve essere attentamente ponderata dal giudice nella sua decisione.

Perché la Cassazione ha annullato la misura di sicurezza in questo caso specifico?
Perché la motivazione della Corte d’Appello era insufficiente. Si basava su un generico riferimento a precedenti penali non specificati e non spiegava perché la collaborazione dell’imputata non fosse stata ritenuta sufficiente a vincere la presunzione di pericolosità, rendendo la decisione carente e non adeguatamente argomentata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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