Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34453 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34453 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 08/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANZARO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 8 febbraio 2024, il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro ha respinto il reclamo avverso l’ordinanza emessa in data 24/10/2023 dal Magistrato di sorveglianza di Catanzaro che ha dichiarato la pericolosità sociale di NOME COGNOME e applicato nei suoi confronti la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni uno.
COGNOME era stato condannato alla pena di anni sette e mesi dieci di reclusione per il reato di associazione mafiosa commesso nel 2010 con condotta perdurante con sentenza della Corte di appello di Torino in data 20/05/2022 che gli aveva contestualmente irrogato la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni due anni a pena espiata.
La pericolosità era stata desunta dalle informazioni fornite dal RAGIONE_SOCIALE Valentia, dalla relazione dell’UEPE,
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dall’acclarata appartenenza ad una cosca di ‘ndrangheta dalla quale deriva una presunzione semplice di pericolosità desunta dalle caratteristiche del sodalizio e dall’assenza di elementi idonei ad escludere la permanenza del vincolo.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME con unico motivo, denunciando erronea applicazione dell’art. 203 cod. pen. in relazione all’art. 228 cod. pen. e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione rispetto ai motivi di reclamo.
La valutazione era stata basata solo sui fatti emersi nel giudizio conclusosi con la condanna per il reato associativo e su altri fatti risalenti nel tempo e non erano state valutate le condotte successive del condannato; l’attualità della pericolosità sociale non poteva essere presunta in base alla natura del reato commesso ma deve essere valutata attraverso una rigorosa valutazione della vita del condannato dopo l’espiazione
Il Procuratore Generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Pur ricordando che un minoritario orientamento giurisprudenziale richiede una verifica in concreto di elementi attuali della pericolosità ai sensi dell’art. 133 c.p il Procuratore Generale ha ritenuto preferibile e più aderente alla disposizione di cui all’art. 417 c.p. l’orientamento che considera operante a seguito della condanna per reati associativi una presunzione semplice di pericolosità, a fronte della quale, in mancanza di elementi positivi a favore dell’imputato dopo la condanna, l’applicazione della misura di sicurezza deve essere confermata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
E’ noto che, a seguito di condanna per il reato di cui di cui agli artt. 416 o 416-bis cod.pen., secondo la lettera dell’art. 417 cod.pen. una misura di sicurezza deve intervenire «sempre». Tuttavia a fronte della perentoria formulazione della disposizione, alcune sentenze di questa Corte ritengono tale applicazione una conseguenza automatica della condanna per il reato di cui agli artt. 416 o 416-bis cod.pen., essendo presunta dalla legge la pericolosità richiesta per tale applicazione (di recente Sez. 1, n. 33951 del 19/05/2021, Rv. 281999; o anche Sez. 2, n. 32569 del 16/06/2023, Rv. 284980, secondo cui «in -terna di libertà vigilata, il combinato disposto di cui agli artt. 230, comma primo, e 417 cod. pen. impone, in caso di condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. a pena non inferiore a dieci anni di reclusione, l’applicazione di tale misura per la durata di tre anni, sicché il giudice non è onerato di uno specifico
obbligo di motivazione in relazione alla pericolosità sociale del condannato»); altre decisioni ritengono necessaria, invece, una verifica in concreto della pericolosità del condannato (Sez. 5, n. 24873 del 21/04/2023, Rv. 284817, secondo cui «in tema di misure di sicurezza, dopo la modifica introdotta dall’art. 31, comma 2, legge 10 ottobre 1986, n. 663, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, la loro applicazione, ivi compresa quella prevista dall’art. 417 cod. pen., può essere disposta, anche da parte del giudice della cognizione, soltanto dopo l’espresso positivo scrutinio dell’effettiva pericolosità sociale del condannato, da accertarsi in concreto sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., globalmente valutati, senza possibilità di far ricorso ad alcuna forma di presunzione giuridica, ancorché qualificata come semplice» similmente Sez. 1, n 35996 del 08/05/2019, Rv. 276813; Sez. 1, n. 7188 del 10/12/2020, dep. 2021, Rv. 280804).
2.1 Questo secondo orientamento è preferito da chi lo ritiene più compatibile con gli indirizzi espressi dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittime le norme, sottoposte al suo esame perché sospettate di illegittimità costituzionale, che prevedevano un’applicazione automatica delle misure di sicurezza, basata su fattispecie presuntive di pericolosità predeterminate dal legislatore, specie se individuate attraverso categorie generali e non accompagnate da un giudizio di attualizzazione mediante la verifica di elementi fattuali concreti (così le sentenze nn. 139/1982, 249/1983 e 1/1971, relative all’infermo e al minore). Per questo l’art. 417 cod. pen. dovrebbe essere inteso come obbligo per il giudice di applicare la misura di sicurezza a seguito della condanna per reati associativi, ma sempre «previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa» (Sez. 1, n. 2875 del 12/12/2023, dep. 2024, Rv. 285810-01)
2.2. Tale interpretazione consente, inoltre, di rispettare il principio generale stabilito dall’art. 203 cod.pen., secondo cui la pericolosità sociale deve essere ritenuta quando appare probabile che il condannato per specifici delitti commetta nuovi reati. Anche nel caso di soggetti condannati per i gravi reati associativi indicati dall’art. 417 cod.pen., infatti, sono ipotizzabili situazioni che impongano al giudice di escludere la permanenza ovvero l’attualità della pericolosità sociale, come nel caso del soggetto divenuto collaboratore di giustizia, o del condannato per il quale sia stata accertata una minima gravità del reato associativ esempio per il modesto ruolo ricoperto, la breve durata dell’affiliazione, la s intensità dei legami intercorsi con gli altri associati (per un’ipotesi applicativa in tal senso cfr. Sez.5 n. 24873 del 21/04/2023, Rv. 284817-01).
Il provvedimento impugnato richiama il primo orientamento ma si articola in una motivazione, che, per quanto sintetica, soddisfa anche la verifica di attualità della pericolosità richiesta più specificamente dal secondo orientamento in una prospettiva del tutto appropriata all’applicazione della misura di sicurezza conseguente alla sentenza di condanna irrogata all’odierno ricorrente, del quale è stata accertata la partecipazione ad una locale di ‘ndrangheta, dislocata in area non tradizionale.
3.1 Va ricordato che l’adesione ad un’associazione mafiosa con determinate caratteristiche di stabilità e di rigidità comporta la realizzazione di un reat permanente, solo per fictio iuris interrotta dalla sentenza di condanna. Anche escludendo che l’art. 417 cod. pen. legittimi l’utilizzo di una presunzione semplice, la verifica in fatto dei presupposti per l’applicazione di urta misura di sicurezza a seguito di una condanna per reati associativi realizzatisi con l’incardinamento in una struttura mafiosa tradizionale non può prescindere dalle caratteristiche del contributo al sodalizio, accertato a carico del condannato, della natura dell’associazione, della sua attuale esistenza al momento in cui la misura di sicurezza deve essere applicata, delle possibilità di rivitalizzazione del legame con essa instaurato dal soggetto di cui si valuta la pericolosità.
E tale verifica non può trascurare i criteri di accertamento del perdurare della permanenza del legame associativo, legittimamente utilizzati anche nei giudizi di merito, in relazione ai quali la giurisprudenza di legittimità ha affermat che «accertata l’esistenza dell'”offerta di contribuzione permanente” dell’aff dell’associazione, questa deve ritenersi valida e produttiva di effetti fino all dimostrazione del recesso (spontaneo o provocato “ah externo”)» (Sez. 2, n. 34615 del 10/06/2021, Rv. 281961-01; Sez. 2, n. 1688 del 26/10/2021, Rv. 282516-01). E’ pur vero che da questo orientamento, formatosi con riguardo alla modifica in pejus del trattamento sanzionatorio di un reato associativo nell’arco temporale ricompreso nell’imputazione, si sono distinti altri pronunciamenti, originati dalla stessa materia controversa, che hanno richiesto al p.m. di fo prova del protrarsi della condotta anche in epoca successiva all’entrata in vigore della norma più sfavorevole (Sez. 2 n. 37104 del 13/06/2023, Rv. 285414-01); e purtuttavia deve tenersi presente che l’accertamento richiesto dall’art. 417 cod. pen. non investe la dimostrazione di una reiterazione del reato di partecipazio’ne all’associazione anche nel periodo successivo all’esecuzione della sentenza (poiché ove vi fossero elementi in tale direzione dovrebbero conseguire ben altre iniziative giurisdizionali), ma si limita a verificare se vi siano elementi attu della pericolosità espressa con la condotta illecita sanzionata, elementi che, dopo l’espiazione della pena, in assenza di dati idonei a giustificare l’esercizio dell’azione penale per la prosecuzione dell’attività di partecipazione
all’associazione anche in epoca successiva a quella giudicata, possono essere anche soltanto residuali.
3.2 Il provvedimento impugnato evidenzia che dagli atti emerge che NOME COGNOME era stato affiliato alla locale di ‘ndrangheta di Asti e vi ha militato sin da 2010, per circa un decennio; tutti i suoi nove fratelli sono risultati collegati al stessa cosca e uno di loro vi ha rivestito un ruolo di spicco; dalle informazioni più recenti non risultano denunce a suo carico negli ultimi anni ma si attestano ancora frequentazioni con pregiudicati. La locale di ‘ndrangheta della quale ha fatto parte si ricollega alla nota e pericolosa organizzazione illecita, tradizionale solidamente insediata, della quale non può nemmeno ipotizzarsi l’affievolimento dell’operatività.
L’informativa di P.S. viene menzionata nella motivazione per ricordare che essa descrive una rete di relazioni familiari e di frequentazioni, intrattenut COGNOME anche nel periodo successivo ai fatti per cui è stato condannato, che non offrono alcuna rassicurazione circa la definitiva cesura del legame di affiliazione che lo ha incardinato nell’organizzazione criminale.
Riguardo la scelta di uno dei fratelli, che sta collaborando con la giustizia, il ricorrente si è limitato a riferire di non nutrire pregiudizi ma di esse sostanzialmente indifferente. Ha poi continuato a negare le condotte irrevocabilmente accertate a suo carico, sostenendo di essersi rifiutato di entrare in contesti mafiosi e di essere stato coinvolto nella vicenda per colpa di altri.
Tutti questi elementi sono stati utilizzati dal Tribunale di sorveglianza per formulare il proprio giudizio nella formulazione del quale espressamente vengono richiamati i criteri imposti dagli artt. 203 e 133 cod. pen.; con ciò avendosi conferma che il giudice a quo, pur avendo richiamato il ricorso alle presunzioni, ha poi operato una verifica ben più articolata, senza alcun automatismo.
A fronte di ciò il ricorso lamenta infondatamente che il Tribunale di sorveglianza avrebbe valorizzato solo condotte del passato (mentre invece i fatti associativi accertati sono stati esaminati in relazione alla proiezione del legame instaurato con la cosca sulla possibilità attuale di rivitalizzare i pregressi rappor con contesti criminali), non avrebbe tenuto conto degli effetti risocializzanti degli interventi rieducativi (mentre invece essi sono stati presi in considerazione e ritenuti recessivi rispetto ai rischi derivanti dal contesto familiare e relazional attuale), non avrebbe tenuto conto del fatto che la propria volontà di lav fuori territorio costituiva ampia prova . della rescissione del vincolo (mentre questo dato risulta del tutto equivoco a fronte della considerazione della manc rielaborazione critica delle condotte per le quali era stato condannato, non ammesse e del tutto svalutate nonostante la loro gravità).
A
Il Tribunale di sorveglianza mostra anche di apprezzare il carattere ridimensionato e residuale della pericolosità di NOME COGNOME, quando evidenzia che i profili di rischio di ricaduta nell’illecito ancora attuale sono fronteggiabili una misura che lo sottoponga a controllo per un periodo limitato ad un solo anno, la misura minima prevista dall’art. 228, comma 5, cod. pen., calibrandola pertanto senza indulgere ad immotivati automatismi.
Pertanto il ricorso deve essere respinto con conseguente condanna alle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 19 giugno 2024
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