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Pericolosità sociale: no all’automatismo per la mafia

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34453/2024, si è pronunciata sul tema della pericolosità sociale in relazione a una condanna per associazione di tipo mafioso. Un uomo, condannato per tale reato, aveva impugnato l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata, sostenendo che la sua pericolosità fosse stata presunta in modo automatico. La Corte ha ribadito che non esiste un automatismo: il giudice deve sempre compiere una verifica concreta e attuale della pericolosità sociale del soggetto, basandosi su elementi specifici e non sulla sola condanna pregressa. Tuttavia, ha respinto il ricorso, ritenendo che nel caso specifico il Tribunale di Sorveglianza avesse correttamente effettuato tale valutazione, considerando la persistenza dei legami familiari e ambientali con la cosca di appartenenza e la mancata revisione critica del proprio passato criminale da parte del condannato.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità sociale e reati di mafia: la Cassazione dice no agli automatismi

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema della pericolosità sociale di un individuo condannato per associazione di tipo mafioso. La decisione chiarisce un punto fondamentale: l’applicazione di una misura di sicurezza come la libertà vigilata non può essere una conseguenza automatica della condanna, ma deve basarsi su una valutazione concreta e attuale del rischio che il soggetto commetta nuovi reati. Questo principio, conforme agli indirizzi della Corte Costituzionale, impone ai giudici un’analisi approfondita e non meramente presuntiva.

Il caso in esame

Il ricorrente era stato condannato a una pena detentiva per aver fatto parte di una ‘ndrina, con una condotta protrattasi per circa un decennio. A pena espiata, il Magistrato di sorveglianza prima e il Tribunale di sorveglianza poi avevano applicato nei suoi confronti la misura di sicurezza della libertà vigilata per un anno, dichiarandone la pericolosità sociale. L’uomo ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che tale valutazione fosse basata unicamente sui fatti della condanna, ormai risalenti nel tempo, e non su un’analisi rigorosa della sua vita attuale e delle condotte successive alla detenzione.

Il dibattito sulla presunzione di pericolosità sociale

La Corte Suprema analizza due diversi orientamenti giurisprudenziali. Il primo, più tradizionale, sostiene che da una condanna per reati associativi gravi come quello mafioso derivi una ‘presunzione semplice’ di pericolosità sociale. Secondo questa tesi, in assenza di prove concrete che dimostrino la rescissione del legame con l’organizzazione criminale, la misura di sicurezza deve essere applicata.

Il secondo orientamento, che la Corte dichiara di preferire, è più garantista e in linea con i principi costituzionali. Questo approccio esclude ogni forma di automatismo e richiede sempre una verifica in concreto dell’effettiva e attuale pericolosità sociale del condannato. Il giudice deve valutare globalmente tutti gli elementi previsti dall’art. 133 del codice penale, senza poter ricorrere a presunzioni. L’applicazione della misura di sicurezza è possibile solo dopo un ‘espresso positivo scrutinio’ della probabilità che il soggetto commetta nuovi reati.

La valutazione della pericolosità sociale in un contesto mafioso

Nonostante l’adesione al secondo orientamento, la Corte sottolinea che la valutazione non può ignorare le specificità del crimine mafioso. L’appartenenza a una ‘ndrangheta, per sua natura stabile e radicata, crea un legame che, per una fictio iuris, si interrompe solo con la condanna, ma che può rimanere latente e rivitalizzarsi. Pertanto, la verifica della pericolosità sociale attuale deve tenere conto di elementi come:

* La natura e l’operatività attuale dell’associazione.
* Le caratteristiche del contributo dato dal condannato.
* La possibilità che il legame con la cosca si riattivi.
* L’eventuale persistenza di rapporti con ambienti e soggetti criminali.

Le motivazioni della decisione

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso. Sebbene il Tribunale di sorveglianza avesse menzionato il concetto di presunzione, la sua motivazione dimostrava di aver compiuto una verifica ben più articolata e concreta. I giudici di merito avevano valorizzato elementi attuali e specifici, quali: la solida e tradizionale struttura della cosca di appartenenza, tuttora operativa; il fatto che tutti i fratelli del ricorrente fossero legati alla stessa organizzazione; le frequentazioni con pregiudicati mantenute anche dopo la condanna.

Inoltre, è stato decisivo l’atteggiamento del condannato, che ha continuato a negare le condotte accertate e non ha mostrato alcuna rielaborazione critica del proprio passato, svalutando la gravità dei fatti. Questi elementi, nel loro complesso, hanno portato il Tribunale a concludere, senza alcun automatismo, per l’esistenza di un rischio attuale di ricaduta nell’illecito, giustificando l’applicazione, seppur nella misura minima, della libertà vigilata.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio di civiltà giuridica: nessuna misura che incide sulla libertà personale può essere automatica. Anche di fronte a reati gravissimi come l’associazione mafiosa, la valutazione della pericolosità sociale deve essere un giudizio individualizzato, concreto e ancorato al presente. Tuttavia, il contesto criminale di riferimento e l’atteggiamento post-condanna del soggetto rimangono elementi cruciali per formulare tale giudizio. La decisione dimostra come sia possibile contemperare le esigenze di difesa sociale con le garanzie individuali, attraverso una motivazione rigorosa che vada oltre le semplici presunzioni.

L’applicazione di una misura di sicurezza è automatica dopo una condanna per mafia?
No, la Corte di Cassazione, aderendo all’orientamento più conforme alla Costituzione, stabilisce che non vi è alcun automatismo. Il giudice deve sempre effettuare una verifica concreta ed attuale della pericolosità sociale del condannato, senza basarsi su mere presunzioni legali.

Quali elementi deve considerare il giudice per valutare la pericolosità sociale attuale?
Il giudice deve valutare globalmente la situazione, considerando non solo la condanna passata, ma anche elementi attuali come la natura dell’organizzazione criminale di appartenenza, la sua attuale operatività, la persistenza di legami familiari o sociali con l’ambiente criminale, le frequentazioni del soggetto e la sua capacità di rielaborare criticamente il proprio passato illecito.

Perché il ricorso è stato respinto se non è ammesso l’automatismo?
Il ricorso è stato respinto perché, secondo la Cassazione, il Tribunale di sorveglianza non ha applicato un automatismo, ma ha condotto una valutazione concreta e articolata. Ha basato la sua decisione su elementi fattuali specifici e attuali, come i solidi legami familiari del ricorrente con la cosca, le sue frequentazioni e la sua mancata presa di distanza dal passato criminale, concludendo che esisteva un rischio concreto di recidiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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