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Pericolosità sociale: no a misure senza continuità

La Corte di Cassazione ha confermato la revoca di misure di prevenzione personali e patrimoniali nei confronti di un soggetto. La decisione si fonda sul principio che la pericolosità sociale richiede l’abitualità’ delle condotte delittuose, ovvero una continuità nel tempo. La presenza di lunghi intervalli temporali senza attività criminali provate impedisce di considerare sussistente tale requisito, non potendo tali ‘vuoti’ essere colmati da mere congetture. La sentenza ribadisce la necessità di un approccio rigoroso e tassativo, in linea con i principi costituzionali.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità sociale: La Cassazione mette un freno alle misure senza continuità

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 7522 del 2025, riafferma un principio cruciale in materia di misure di prevenzione: la pericolosità sociale non può essere presunta, ma deve fondarsi su prove concrete di una continuità criminale. Lunghi periodi di inattività delittuosa non possono essere ignorati o colmati da congetture, segnando un punto fermo a tutela dei diritti fondamentali del cittadino.

I Fatti di Causa: Un Percorso Giudiziario Complesso

Il caso riguarda un soggetto destinatario di misure di prevenzione personali e patrimoniali. La Corte di Cassazione, in una precedente pronuncia, aveva annullato il provvedimento, rinviando il caso alla Corte d’Appello. Il motivo? I giudici non avevano valutato correttamente il requisito dell'”abitualità”, ignorando la presenza di lunghi intervalli di tempo in cui il soggetto non risultava aver commesso alcuna attività delittuosa con finalità di lucro.

In sede di rinvio, la Corte d’Appello di Torino ha quindi revocato le misure, proprio in virtù di queste pause significative nella biografia criminale dell’interessato (in particolare, tra il 2000 e il 2007 e tra il 2012 e il 2018). Contro questa decisione, il Procuratore Generale ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione, sostenendo che la pericolosità fosse comunque sussistente in determinati periodi e che alcuni acquisti patrimoniali andassero esaminati.

Il Principio di Diritto: la Pericolosità Sociale e il Requisito dell’Abitualità

Il cuore della questione risiede nella corretta interpretazione dei presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione, disciplinate dal d.lgs. 159/2011. La legge prevede che tali misure possano essere applicate a coloro che “vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”.

La Cassazione, richiamando la fondamentale sentenza n. 24 del 2019 della Corte Costituzionale, sottolinea due concetti chiave:

1. Condotta delittuosa: L’attività da cui si traggono i proventi deve essere un “delitto” e non un qualsiasi illecito.
2. Abitualità: La condotta non deve essere episodica, ma deve caratterizzare “un significativo intervallo temporale della vita del proposto”, connotandone lo stile di vita.

L’esistenza di lunghi periodi di tempo senza la commissione di reati a scopo di lucro interrompe questa continuità, facendo venir meno il presupposto dell’abitualità. Di conseguenza, non è possibile affermare che il soggetto viva dei proventi di attività criminali.

L’Approccio “Tassativizzante” a Tutela dei Diritti

La Suprema Corte insiste sulla necessità di un “approccio tassativizzante”. Questo significa che i concetti apparentemente generici usati dalla legge, come “vivere abitualmente”, devono essere interpretati in modo rigoroso e preciso. Lo scopo è evitare che le misure di prevenzione, che limitano diritti fondamentali come la libertà personale e la proprietà, siano applicate sulla base di sospetti o congetture.

L’interpretazione giurisprudenziale, avallata dalla Corte Costituzionale, ha quindi definito i contorni della pericolosità sociale, richiedendo che sia provata sulla base di precisi “elementi di fatto”.

Le Motivazioni della Cassazione

Nel respingere il ricorso del Procuratore Generale, la Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello abbia applicato correttamente i principi stabiliti nella precedente sentenza di annullamento. I giudici hanno evidenziato che i “vuoti” temporali nella carriera criminale del soggetto non sono un dettaglio trascurabile, ma un elemento decisivo che impedisce di affermare l’esistenza di un’abitualità criminale.

Anche gli argomenti del PG riguardo a specifici acquisti immobiliari o reati commessi in un periodo più recente (2018-2020) sono stati ritenuti insufficienti. Un acquisto finanziato con un mutuo pagato in un periodo senza reati non può dimostrare una provenienza illecita. Allo stesso modo, alcuni episodi delittuosi isolati, se slegati da una continuità criminale, non possono fondare da soli una misura di prevenzione basata sull’abitualità.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida un orientamento garantista fondamentale. Per applicare una misura di prevenzione, non basta dimostrare che un soggetto abbia commesso dei reati in passato. È necessario un accertamento rigoroso che provi una continuità e una sistematicità delle condotte delittuose come fonte di reddito. La decisione ribadisce che il sistema di prevenzione, pur distinto dal processo penale, è saldamente ancorato ai principi costituzionali e convenzionali, che impongono prevedibilità e precisione della legge. I giudici devono basarsi su fatti concreti e non su presunzioni, assicurando che la valutazione della pericolosità sociale sia un’analisi attuale e non una condanna basata su un passato non più rappresentativo della condotta del soggetto.

Cosa si intende per ‘abitualità’ nel contesto delle misure di prevenzione?
Per ‘abitualità’ si intende una condotta delittuosa non episodica, ma che si protrae per un significativo arco temporale, al punto da diventare una fonte di reddito stabile, anche parziale, e caratterizzare lo stile di vita del soggetto.

I lunghi periodi senza reati provati possono essere ignorati nella valutazione della pericolosità sociale?
No. La sentenza chiarisce che consistenti intervalli temporali durante i quali non risultano commessi reati con finalità di lucro impediscono di ritenere sussistente il requisito dell’abitualità. Questi ‘vuoti’ non possono essere colmati con semplici congetture.

Perché la Corte insiste su un approccio ‘tassativizzante’ alla materia della prevenzione?
Perché le misure di prevenzione limitano diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, come la libertà personale e il diritto di proprietà. Un’interpretazione rigorosa e precisa dei presupposti legali è necessaria per garantire che tali misure siano applicate solo in casi ben definiti e provati, evitando abusi e decisioni basate su meri sospetti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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