Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35398 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35398 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 28/01/2025 della Corte d’appello di Reggio calabria Udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
La difesa del proposto ha depositato memoria di replica alle conclusioni del Procuratore Generale.
Ritenuto in fatto
1.11 decreto impugnato, della Corte d’Appello di Reggio Calabria, all’esito del ricorso proposto da COGNOME NOME confermava il decreto emesso dal Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di questi, con il quale veniva applicata la misura di prevenzione della sorveglianz speciale di Pubblica Sicurezza, per la durata di anni quattro, con le prescrizioni in detto decre contenute, l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza e il versamento di cauzione di euro quattromila. La pericolosità sociale del soggetto – ricondotta alla categoria dell’art.4, comma lett. a) del D. Lgs. n. 159 del 2011 – si trae dal recente coinvolgimento di questi procedimento penale c.d. “RAGIONE_SOCIALE“, nell’ambito del quale è stato dapprima rinviato a giudizio per il delitto di cui all’art. 416-bis comma 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 cod. pen. ed è tuttora imputa
nel corso del quale ne è stata affermata la penale responsabilità – da ultimo, in esito al giudi di rinvio a seguito di annullamento della Corte di cassazione – per il delitto di cui all’art. 4 commi 1 e 4 cod. pen.. Della sentenza del rito rescissorio è noto, ad oggi, il solo dispositivo.
2.Sono stati presentati due ricorsi, a firma di difensori abilitati, sintetizzati ai sensi dell’ comma 1 disp. att. cod. proc. pen..
2.1.11 ricorso per cassazione, a firma dell’AVV_NOTAIO, si compone di un unico motivo, con il quale sono dedotti i vizi di cui all’art. 606 comma 1 lett. b e c cod. proc. pen. in rel all’art. 125 cod. proc. pen. e all’art. 4 comma 9 e agli artt. 6 e 10 del codice antimafia essere il decreto impugnato nullo ed emesso in violazione di legge in quanto affetto da violazione meramente apparente in ordine alla pronosticata persistenza della pericolosità sociale in capo al preposto. Il COGNOME dell’Appello, infatti, pur nell’autonomia cognitiva governa i rapporti tra processo penale e processo di prevenzione, avrebbe dovuto tenere conto dell’effetto di condizionamento della riqualificazione giuridica del fatto sulla verifica pericolosità sociale in capo al proposto e della relativa prognosi. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, il decorso del tempo potrebbe determinare la cessazione o l’affievolime della pericolosità qualificata, anche prendendo in considerazione il ruolo rivestito all’inte dell’associazione. Se infatti, nel caso di ruolo di vertice, sarebbe lecito presumere persistenza della pericolosità sociale in assenza di comportamenti denotanti l’abbandono delle logiche criminali, nel caso di partecipazione semplice sarebbe richiesto un approfondimento concreto in punto di attualità e di connessa durata della eventuale misura applicata. E tal approfondimento difetterebbe, non avendo il collegio considerato la riqualificazione giuridic del fatto operata in sede di rinvio, continuando ad affermare la natura verticistica de condotta di COGNOME, riproponendo le valutazioni cassate dalla Suprema Corte nel corso del procedimento penale. La motivazione, dunque, sarebbe di mera apparenza, ponendosi in contrasto con il contenuto del giudizio di rinvio, e ritenendo l’irrilevanza di elementi idon indicare un affievolimento della pericolosità sociale sulla base della presunzione connessa all’affermato ruolo verticistico. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Altro ricorso nell’interesse del COGNOME è stato promosso dall’AVV_NOTAIO che si è affidato ad un solo, composito motivo che, in buona parte, ha sostanzialmente riprodotto le censure esposte dal co-difensore e, per il resto, con svariati richi giurisprudenziali, si è concentrato sul difetto di effettività e certezza dei fatti storici fondamento dell’applicazione della misura di prevenzione personale, che la Corte di Cassazione, con la sentenza di annullamento con rinvio del 10 marzo 2022 nell’ambito del giudizio penale, avrebbe singolarmente investito di critiche, tenute in non cale dalla Cort d’appello; sarebbe poi ravvisabile un “vuoto” di motivazione a riguardo del dato dell’attuali della pericolosità sociale del proposto, perché, da un lato, gli elementi eventualment valorizzabili riguarderebbero condotte molto risalenti nel tempo e, dall’altro, le dichiarazi rese dall’ultimo collaboratore di giustizia, COGNOME, sarebbero state valutate apoditticamente
senza alcuna considerazione delle argomentazioni difensive, svolte sul punto nel giudizio di appello.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
1.Ai sensi dell’art. 10, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011, nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge. In tale nozione va, nondimeno, ricompresa sia l’ipotesi in cui la motivazione del provvedimento sia inesistente, ricorrente nei casi di assenza totale della motivazione, cui consegue la violazione dell’art. 12 cod. proc. pen. e dell’art. 10, d.lgs. n. 159 del 2011, secondo cui la decisione è assunta «con decreto motivato»; sia l’ipotesi della motivazione apparente, che invece sussiste quando essa sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risult assolutamente inidonea a rendere comprensibile la ratio decidendi, ovvero, ancora, quando essa ometta del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte, il quale, singolarmente ponderato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (tra le tante, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, Noviello, Rv. 279435; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, Caliendo, Rv. 270080; Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulè, Rv. 279284).
2.11 rapporto tra il processo penale e il procedimento di prevenzione è regolato dal principio generale dell’autonomia dell’oggetto dei due giudizi, che assume portata peculiare in subiecta materia quella della c.d. pericolosità qualificata di cui all’art. 4, comma 1, lett. a) del D. n. 159 del 2011. Invero, secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità cui si intende dare continuità, il concetto di “appartenenza” ad una associazione mafiosa, richiesto ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione, è più ampio ed elastico di que di “partecipazione”, necessario ai fini dell’integrazione del corrispondente reato, posto che mentre quest’ultima richiede una presenza attiva nell’ambito del sodalizio criminoso, la prima è comprensiva di ogni comportamento che, pur non integrando gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa, sia funzionale agli interessi dei poteri criminali costituisca una sorta di terreno favorevole permeato di cultura mafiosa (così, tra le più recent Sez. 6, n. 9747 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 259074, nonché Sez. 2, n. 19943 del 21/02/2012, COGNOME, Rv. 252841; in questi termini, cfr. anche Corte cost., n. 270 del 2011 e Corte cost., n. 275 del 1996). Il concetto di “appartenenza” ad una associazione mafiosa, rilevante per l’applicazione delle misure di prevenzione, comprende la condotta che, sebbene non riconducibile alla “partecipazione”, si sostanzia in un’azione, anche isolata, funzionale ag
scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguità o di vicinanza al grupp criminale (sez. U n. 111 del 30/11/2017, Gattuso, Rv. 271512).
Da tale autonomia discende, pertanto, che nel giudizio di prevenzione possono avere rilievo i “fatti storici” accertati o le cui informazioni siano state acquisite, sia nell’amb procedimento di prevenzione, sia nell’ambito del processo penale, anche se in ipotesi non ritenuti idonei o sufficienti ai fini di una sentenza di condanna (sez. U n. 18 del 03/07/199 COGNOME e altri, Rv. 205261). Con fatti storici “accertati” si intende, appunto, fatti ” ancorchè diversamente apprezzabili ai fini dell’affermazione di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio ovvero deponenti per il giudizio di pericolosità del prevenuto, presupposto dell’applicazione di una misura di prevenzione in quanto raggiunto da sufficienti indizi appartenenza ad un’associazione mafiosa; fermo restando che, ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, comunque necessario appurare il requisito della “attualità” della pericolosità del proposto e, solo nel caso in cui sussistano elementi sintomatici di una “partecipazione” del proposto al sodalizio mafioso, è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vinco associativo, purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi di desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell’accertamento di attualità della pericolosità (sez. U Gattuso, cit., Rv. 271511).
3. Poste tali premesse, il decreto impugnato deve ritenersi affetto dal vizio di violazione legge, per omessa motivazione, lì dove ha ritenuto accertati gli indizi di appartenenza di COGNOME ad una associazione di tipo mafioso senza confrontarsi specificamente con le ragioni enunciate dalla Corte di cassazione a fondamento dell’annullamento con rinvio della sentenza di conferma della condanna emessa nel giudizio di cognizione ex art. 416-bis cod. pen.. Più precisamente, l’incedere argomentativo della decisione d’appello – che pure ha fatto cenno alla necessità di tener conto del giudizio rescindente del rito di cognizione – ha riproposto, uno p uno, i dati indiziari assemblati con la sentenza annullata, riferiti a singole vicende fattuali quali la Corte di cassazione aveva formulato mirate osservazioni critiche, volte non solo ad apprezzame l’insufficiente consistenza probatoria, quanto piuttosto, in qualche caso, a dubitare della loro concreta verificazione fenomenica e a censurarne, comunque, la valenza loro attribuita dalla decisione di condanna, dequotata come manifestamente illogica. I rilievi formulati dai giudici di legittimità, ove pure reputati non vincolanti al cospetto di una “nu pronuncia di colpevolezza in esito al giudizio rescissorio, non sono stati analizzati come pure sarebbe stato doveroso, in presenza di una decisione allo stato non irrevocabile, di cui non è nota la motivazione e sono stati, anzi, pretermessi senza confronto, nemmeno di minimo dettaglio. Del resto, i motivi di ricorso formalizzati dalla difesa di COGNOME, esaminati accolti pressochè in toto dalla Corte di cassazione, avevano riguardato, ciascuno, gli elementi di fatto reiterati nel corpo motivo del decreto oggetto d’impugnazione ad illustrazione dell conferma della misura di prevenzione personale. Ci si riferisce, segnatamente, al colloquio
intercettato nel 2013 tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, interpretato in “combinato” con quell in carcere del 2016, alla vicenda della riapertura del bar Malavenda, alle dichiarazioni COGNOME, alla conversazione intercettata il 20 marzo 2010 tra COGNOME NOME e COGNOME NOME sulle tematiche elettorali. E pure a riguardo delle dichiarazioni dei collaboratori giustizia che il decreto impugnato ha valutato significative anche per il periodo successivo a 2005, le proposizioni enunciate si rivelano generiche, perché, ancora una volta, si limitano ad un loro richiamo omnicomprensivo, senza sviscerare gli specifici rilievi che vi ha dedicato la sentenza di annullamento, anche in tal caso critica sui relativi profili di attendibilità intr del propalato, che narra peraltro di episodi risalenti nel tempo (cfr. pag. 85, a riguardo contributi di COGNOME e COGNOME). Le dichiarazioni di COGNOME, riportate nel provvedimen impugnato, verosimilmente ritenute non rilevanti nel giudizio penale di secondo grado del proc. “GOTHA” (pag.19 decreto impugnato), non paiono assumere, ove pure vagliate autonomamente in questa sede, spessore sufficiente, per i contenuti da soli non dirimenti, a contrastare le deduzioni svolte, con approccio particolareggiato, dalla sentenza rescindente di questa Corte.
Insomma, i due giudizi, pur non coincidendo nell’oggetto, per essere uno relativo all’accertamento di una condotta di partecipazione, l’altro alla verifica di una situazione appartenenza, sono confluiti sui medesimi binari: la sentenza di annullamento nel giudizio di cognizione, con la motivazione esposta, ha messo in discussione la sussistenza e, comunque, la concludenza degli elementi di fatto posti a base della valutazione di pericolosità. Né par consentito, in questa fase processuale, rieditare le medesime circostanze di fatto sulla scorta del novum costituito dalla condanna del proposto nel giudizio rescissorio di cognizione per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa. Nel procedimento di prevenzione, come anticipato, il giudice è titolare di un autonomo potere di valutazione degli elementi probatori indiziari tratti dai procedimenti penali, che possono essere utilizzati nei confronti dei sogge indicati nella lett. a) dell’art. 4 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 anche qualora non sia stati ritenuti sufficienti ad integrare la prova della partecipazione ad associazione mafiosa, ragione della diversità, come detto, tra il concetto di “appartenenza” (evocato dall disposizione citata) e quello di “partecipazione”, necessaria ai fini di integrare il reato all’art. 416 bis cod. pen.; non di meno, qualora vi sia stata condanna nel procedimento penale, il giudice della prevenzione potrà riferirsi ad essa come ad un “fatto” solo se passata i giudicato, mentre, qualora non sia definitiva, egli non potrà limitarsi a richiamare la sentenza dovendo confrontarsi “autonomamente” con gli elementi probatori per verificare la sussistenza dei presupposti che legittimano l’applicazione della misura (sez.5, n. 1831 del 17/12/2015, Mannina, Rv. 265862). E tanto vale a dire che sarebbe stato indispensabile disporre della motivazione della sentenza del rito rescissorio di cognizione, perché soltanto alla sua trama espositiva sarebbe stato possibile fare riferimento per superare, con inferenze ragionate, i passaggi partitamente censurati dal giudizio di annullamento del processo penale; tanto più che il verdetto del giudizio di rinvio, sommariamente noto per il dispositivo, ha ritenuto
prevenuto responsabile del reato di associazione mafiosa ma in veste di partecipe, con ipotetico riflesso sulla calibrazione dell’apprezzamento della pericolosità sociale; e che presunzione di pericolosità che di regola accompagna gli appartenenti ad associazione mafiosa non è assoluta ed è destinata ad attenuarsi, facendo risorgere la necessità di una specifica motivazione, quanto più gli elementi rilevatori dell’inserimento nel sodalizio siano lontani n tempo rispetto al momento del giudizio (ex multis, sez.5, n. 28624 del 19/01/2017, Cannmarata, Rv. 270554), come ravvisabile nel caso di specie, ove gli ultimi indicatori di “intraneità” al consesso di ndrangheta, evidenziati dal provvedimento impugnato, possono risalire al 2014 (cfr. pag. 19 decreto impugnato).
4.Ne consegue l’annullamento del decreto impugnato, con rinvio per nuovo esame alla Corte distrettuale di Reggio Calabria.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria.
Così deciso in Roma, 09/10/2025