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Pericolosità sociale: motivazione apparente annulla misura

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che applicava una misura di sicurezza basata sulla pericolosità sociale di un individuo. La Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale di Sorveglianza ‘apparente’ e generica, poiché fondata su informative di polizia non circostanziate e sulla gravità di reati passati, senza un’analisi concreta e attuale degli elementi che dimostrassero un effettivo pericolo. Il caso è stato rinviato per un nuovo giudizio che dovrà basarsi su prove concrete e non su mere presunzioni.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità sociale: non bastano generiche informative per giustificare una misura di sicurezza

La valutazione della pericolosità sociale di un individuo, presupposto fondamentale per l’applicazione di una misura di sicurezza, non può basarsi su affermazioni generiche o su informative di polizia non circostanziate. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con una recente sentenza, annullando con rinvio l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che aveva applicato la libertà vigilata a un soggetto condannato per reati gravi, ma la cui attuale pericolosità non era stata adeguatamente dimostrata. Questa decisione ribadisce un principio cruciale: ogni limitazione della libertà personale deve fondarsi su elementi di fatto concreti e attuali, non su mere presunzioni.

I Fatti del Caso

Un uomo, già condannato per estorsione aggravata dal metodo mafioso, si vedeva applicare la misura di sicurezza della libertà vigilata per un anno. La decisione del Tribunale di Sorveglianza si basava su tre elementi principali: la gravità dei reati commessi in passato (risalenti al 2013), la sua “ostinata professione di innocenza” e alcune informative delle forze dell’ordine che lo indicavano come ancora “contiguo” ad ambienti della criminalità organizzata.

La difesa ha impugnato questa decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo che la motivazione fosse manifestamente illogica e contraddittoria. In particolare, si evidenziava come l’uomo fosse stato assolto dall’accusa di associazione mafiosa (art. 416 bis c.p.) e come le informative di polizia fossero generiche, basate su “mere presunzioni e pregiudizi” senza alcun riscontro fattuale di incontri o connivenze attuali. Inoltre, il Tribunale aveva ignorato una precedente pronuncia della stessa Corte di Cassazione che, in relazione a una misura di prevenzione, aveva già escluso la pericolosità sociale del soggetto.

La valutazione della pericolosità sociale secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, censurando duramente la motivazione del Tribunale di Sorveglianza, definendola “apparente” e “fortemente assertiva”. Secondo gli Ermellini, il giudice di merito si è limitato a richiamare la gravità dei fatti passati e a basare il giudizio di attualità su indicazioni generiche e non circostanziate, omettendo di fornire elementi concreti che giustificassero la permanenza del pericolo.

Il Tribunale non ha specificato la natura delle informazioni di polizia utilizzate né la loro valenza dimostrativa. Affermare una “contiguità” con ambienti malavitosi non è sufficiente; è necessario indicare fatti specifici, incontri, comunicazioni o altre circostanze concrete che provino tale legame e la sua attuale pericolosità.

Il ruolo della motivazione e il precedente giudiziario

La Corte ha inoltre sottolineato che la professione di innocenza, di per sé, non può essere considerata un sintomo di pericolosità sociale. Inoltre, il Tribunale ha commesso un errore nel non confrontarsi adeguatamente con la precedente sentenza della Cassazione che aveva già escluso la pericolosità del soggetto. Sebbene le misure di prevenzione e le misure di sicurezza abbiano presupposti strutturali diversi, il giudice avrebbe dovuto spiegare perché, nonostante quella precedente valutazione negativa, oggi si potesse giungere a una conclusione opposta, fornendo elementi nuovi e concreti.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha stabilito che una motivazione è “apparente” quando è completamente slegata dalle risultanze processuali, si avvale di argomentazioni generiche, apodittiche o tautologiche, prive di reale substrato contenutistico e di efficacia dimostrativa. Nel caso di specie, il Tribunale non ha adeguatamente motivato in ordine ai concreti elementi di fatto che avrebbero determinato l’attuale permanenza della pericolosità sociale del condannato. Si è limitato a evidenziare la gravità di fatti risalenti a oltre dieci anni prima e a fondare il giudizio di attualità su una generica indicazione di “contiguità” con ambienti criminali, senza specificare quali fossero le fonti informative e quali fatti concreti supportassero tale affermazione. Questo vizio motivazionale ha reso inevitabile l’annullamento del provvedimento.

le conclusioni

In conclusione, la sentenza riafferma che il giudizio sulla pericolosità sociale deve essere rigoroso, individualizzato e ancorato a dati di fatto attuali e verificabili. Non è sufficiente il richiamo alla gravità di un reato commesso in passato né a generiche informative di polizia. La libertà personale, anche nella forma limitata della libertà vigilata, richiede che ogni provvedimento restrittivo sia supportato da una motivazione solida, logica e basata su prove concrete, non su presunzioni. Il caso è stato quindi rinviato al Tribunale di Sorveglianza per un nuovo esame che dovrà attenersi a questi stringenti principi.

Una misura di sicurezza può basarsi su generiche informative di polizia sulla ‘contiguità’ a ambienti criminali?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che non è sufficiente. È necessaria una maggiore specificazione non solo della natura delle informazioni utilizzate, ma anche della loro valenza dimostrativa, con l’indicazione di elementi di fatto concreti e circostanziati che provino l’attualità del pericolo.

La professione di innocenza di un condannato può essere usata come prova della sua pericolosità sociale?
No, la sentenza afferma che la professione di innocenza, di per sé sola, non è sintomatica di pericolosità sociale. Il giudizio deve basarsi su elementi oggettivi e concreti.

Cosa deve fare il giudice per valutare correttamente l’attuale pericolosità sociale di una persona?
Il giudice deve compiere un accertamento basato su elementi di fatto concreti che dimostrino la permanenza attuale della pericolosità. Deve tenere conto non solo della gravità dei reati passati, ma anche del comportamento tenuto dal condannato durante e dopo l’espiazione della pena, valutando tutti gli indici previsti dall’art. 133 c.p. in modo globale e non limitandosi ad affermazioni generiche.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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