Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11106 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11106 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato a Chiaravalle Centrale Italia il DATA_NASCITA, avverso il decreto della Corte di appello di Catanzaro in data 20/09/2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto in data 20 settembre 2023, la Corte di appello di Catanzaro Sezione misure di prevenzione ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto del Tribunale di Catanzaro in data 9 gennaio 2023, depositato in data 2 febbraio 2023, con cui gli era stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e relative prescrizioni, per la durata di 2 anni.
NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto decreto a mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per
la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 6 e 7, d.lgs. n. 159 del 2011, con riguardo al mancato accertamento dell’attualità della pericolosità sociale. In particolare, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., che il giudizio di pericolosità, originariamente riconducibile a un’ipotesi di «pericolosità qualificata» ex art. 4, comma 1, lett. a) e b), sia stato ricondotto, nel giudizio di appello, all’ipotesi di «pericolosità generica» prevista dall’art. 1, comma 1, lett. b) e c), digs. n. 159 del 2011, in ragione dell’assoluzione di NOME dal reato associativo contestato al capo 1) della maxi-operazione “RAGIONE_SOCIALE“, a seguito della sentenza n. 78/2023, emessa dal Tribunale di Catanzaro all’esito del giudizio abbreviato. Dunque, egli sarebbe stato ritenuto socialmente pericoloso in quanto risulterebbero a suo carico condanne definitive o di applicazione della pena per reati connessi al traffico di stupefacenti a partire dal 2009 e, dunque, in epoca remota, rispetto ai quali NOME avrebbe positivamente espiato la pena inflittagli, la cui funzione rieducativa sarebbe stata, dunque, soddisfatta. Pertanto, non emergerebbe l’intraneità di NOME a contesti delinquenziali organizzati; e l’affermazione di una «pericolosità generica» si fonderebbe su elementi di natura presuntiva e non su “fatti” storicamente apprezzabili, “indicatori” della possibilità di iscrivere il proposto in una delle categorie previste dalla legge. Infatti, quanto alla previsione di cui alla lett. b) dell’art. 1, comma 1, d.lgs. 159/2011, riguardante i soggetti che «per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose», non sarebbe stato compiuto alcun accertamento patrimoniale dal quale desumere che NOME godesse di un tenore di vita tale da far ritenere che egli vivesse dei proventi di attività illecite, essendosi la Corte distrettuale limitat a una acritica elencazione di precedenti, senza fornire esaustivi elementi da cui trarre la sussistenza dei presupposti applicativi della misura di prevenzione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In data 7 dicembre 2023 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del AVV_NOTAIO generale presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Preliminarmente va evidenziato che nel procedimento di prevenzione non si configura una violazione del principio di correlazione tra contestazione e decisione qualora il provvedimento applicativo della misura ritenga sussistente una categoria di pericolosità sociale diversa da quella indicata nella proposta, purché
la nuova definizione giuridica sia fondata sui medesimi elementi di fatto posti a fondamento della proposta, in relazione ai quali sia stato assicurato alla difesa un contraddittorio effettivo e congruo (Sez. 1, n. 8038 del 5/02/2019, COGNOME, Rv. 274915-01). E del resto la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, nel procedimento di prevenzione, non è preclusa al giudice di appello, anche in assenza di impugnazione del pubblico ministero, la riqualificazione della pericolosità sociale poiché il principio del giudicato, in relazione a questa tipologia di procedura, opera limitatamente alle situazioni di fatto oggetto di valutazione (Sez. 5, n. 20743 del 7/03/2014, COGNOME, Rv. 260401 – 01, relativa ad una fattispecie di riqualificazione della pericolosità del proposto – ritenuta in primo grado riconducibile alla legge n. 1423 del 1956 – in quella prevista dalla legge n. 575 del 1965; nella giurisprudenza successiva v. Sez. 5, n. 43490 del 18/03/2015, COGNOME, non massimata; Sez. 1, n. 17340 del 28/01/2021, COGNOME, non massimata; Sez. 5, n. 28695 del 19/05/2022, COGNOME, non massimata; Sez. 5, n. 41803 del 20/09/2022, COGNOME, non massimata; nonché, più di recente, Sez. 2, n. 3133 del 9/12/2022, dep. 2023, Held, Rv. 284051 – 01, relativa alla riqualificazione della pericolosità ai sensi dell’art. 1, lett. c), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, in primo grado ritenuta invece riconducibile alle categorie di cui alle lett. a) e b) del medesimo articolo).
2.1. Sempre in premessa va ricordato che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo quanto stabilito dall’art. 10, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 (e dal precedente art. 4, legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3-ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575). Ne consegue che deve ritenersi esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice di appello dal comma 9 del predetto art. 4, legge n. 1423 del 1956 (ora art. 10, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011), il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (in questo senso Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01, che, in motivazione, ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o che, comunque, risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato; in termini Sez. 1, n. 6636 del 7/01/2016, COGNOME, Rv. 266365 – 01; Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, COGNOME, Rv. 261590 – 01). Dunque, nella nozione di violazione di legge va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato,
sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulé, Rv. 279284 – 01).
3. Tanto osservato, ritiene il Collegio che, nel respingere l’appello, la Corte territoriale abbia puntualmente illustrato le circostanze di fatto che, all’esito di un giudizio congruo e logico, hanno indotto a ritenere sussistente l’attuale pericolosità sociale di NOME COGNOME. Il decreto impugnato, infatti, ha posto in luce che a carico di NOME risultavano: una serie di pronunce di condanna definitive o di applicazione di pena per reati connessi al traffico di sostanza stupefacente (commessi il 5 maggio 2009; dall’i marzo 2009 al 31 maggio 2009; il 9 gennaio 2017); una condanna definitiva per il delitto di ricettazione (commesso il 14 aprile 2018); una condanna, non ancora definitiva, alla pena di 4 anni e 4 mesi di reclusione e di 18.200,00 euro di multa per furto aggravato e per ulteriori traffici di droga;·una condanna in primo grado per i delitti previsti dagli artt. 612-bis e 635 cod. pen.; la pendenza di giudizi in primo grado per furto aggravato e detenzione a fini di spacciò di sostanza stupefacente; una condanna per una serie di delitti detenzione a fine di spaccio o di vendita di sostanza stupefacente (contestati ai capi 13, 14, 19, 27, 54, 59, 60, 61, 63, 68, 69, 104, 105, 117, 120, 122, 125), nonché per delitti di detenzione illegale di armi da sparo o esplosivi (contestati ai capi 34, 35, 39), di ricettazione (contestati ai capi 37, 38) e furto in abitazione aggravato (contestati ai capi 43 e 146), inflitta all’esito del giudizio abbreviato del procedimento penale cd. “RAGIONE_SOCIALE“, in relazione al quale NOME è stato sottoposto, dal maggio 2021, a custodia cautelare, pur essendo stato assolto dal delitto di partecipazione ad associazione dedita a traffici di sostanza stupefacente (contestato al capo n. 1).
Considerati i numerosi delitti commessi, di cui NOME è gravemente indiziato o per i quali è stato condannato, con sentenze definitive e non definitive, la Corte di appello ha, dunque, ritenuto che egli rientri nelle categorie previste dall’art. 1, lett. b) e c), d.lgs. n. 159 del 2011, ossia, rispettivamente, tra coloro che, per la condotta e il tenore di vita, debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, nonché tra coloro che, per il loro comportamento, debba ritenersi che siano dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. E ciò, in particolare, in considerazione del numero e della frequenza dei reati commessi con finalità di lucro a fronte dell’assenza di una stabile e durevole attività lavorativa; circostanze che hanno indotto la Corte territoriale a ritenere, del tutto logicamente, che egli traesse fonte di sostentamento dai proventi delle attività criminali; mentre il numero, la frequenza e la gravità dei delitti commessi o per cui è stato condannato o è ancora
gravemente indiziato hanno condotto i Giudici di merito a ritenere che, nei suoi confronti, la funzione rieducativa della pena non si sia efficacemente dispiegata.
Consegue a quanto più sopra evidenziato che la decisione qui impugnata risulta pienamente rispettosa delle previsioni normative in materia di misure di prevenzione e si sottrae vizi di violazione di legge denunciati con l’odierno ricorso, dovendo escludersi il carattere mancante o anche solo apparente della motivazione, che risulta invece logicamente coerente e del tutto adeguata nelle sue cadenze argomentative. Inoltre, la differente qualificazione giuridica della categoria di soggetti socialmente pericolosi cui NOME è stato ritenuto riconducibile è stata compiuta a partire dagli stessi elementi di fatto della proposta di applicazione della misura di prevenzione formulata dal Pubblico ministero.
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto proposto fuori dai casi consentiti, in quanto aspecifico e, in ogni caso, manifestamente infondato.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 9 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente