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Pericolosità sociale: latitanza e misure di prevenzione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto sottoposto a sorveglianza speciale. La Corte ha stabilito che una latitanza prolungata, supportata da una rete criminale, è un sintomo sufficiente per dimostrare l’attualità della pericolosità sociale, giustificando così la misura di prevenzione, anche in assenza di altri reati recenti.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità sociale: la latitanza prolungata è prova sufficiente?

La valutazione della pericolosità sociale è un pilastro fondamentale nel sistema delle misure di prevenzione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso complesso, stabilendo che uno stato di latitanza prolungato può essere considerato un elemento sintomatico sufficiente a dimostrare l’attualità di tale pericolosità, anche a distanza di anni dai fatti contestati. Questa decisione chiarisce come comportamenti non costituenti reato, come il sottrarsi alla giustizia, possano avere un peso determinante nel giudizio di prevenzione.

I Fatti del Caso: Un Complesso Iter Giudiziario

La vicenda giudiziaria inizia nel novembre 2022, quando il Tribunale di Palermo applica a un individuo la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per tre anni, con obbligo di soggiorno. Questa misura viene però revocata in appello nel maggio 2023. A seguito del ricorso del Procuratore Generale, la Corte di Cassazione annulla la revoca e rinvia il caso a una diversa sezione della Corte d’Appello.

Decidendo in sede di rinvio nell’ottobre 2024, la Corte d’Appello di Palermo conferma la misura di prevenzione originaria. Contro questa decisione, la difesa dell’interessato propone un nuovo ricorso in Cassazione, sostenendo che la valutazione sulla pericolosità attuale del suo assistito fosse viziata e basata su un automatismo: considerare la latitanza come prova certa di pericolosità, senza altri elementi concreti.

L’attualità della pericolosità sociale e il ruolo della latitanza

Il cuore della questione legale risiede nella definizione e nella prova della “attualità” della pericolosità sociale. Per applicare una misura di prevenzione, non basta che un soggetto sia stato pericoloso in passato; è necessario dimostrare che lo sia ancora al momento della decisione.

Le argomentazioni della difesa

Secondo l’avvocato, il suo assistito si era limitato a collaborare con un’organizzazione criminale in due sole occasioni nel maggio 2017. Il lungo periodo intercorso tra quei fatti e la decisione del Tribunale (novembre 2022), definito “tempo silente”, sarebbe stato privo di qualsiasi elemento indicativo di una persistente pericolosità. La latitanza, iniziata a seguito di un’ordinanza di custodia cautelare del 2020, non poteva, da sola, colmare questo vuoto probatorio.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo completamente la tesi difensiva. I giudici hanno chiarito che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso in Cassazione è limitato alla sola “violazione di legge”, escludendo la possibilità di riesaminare il merito dei fatti o la logicità della motivazione, a meno che questa non sia totalmente assente o meramente apparente.

Le motivazioni della sentenza

La Corte di Cassazione ha affermato che la Corte d’Appello ha correttamente applicato i principi di diritto. La pericolosità sociale attuale può essere logicamente dedotta da una latitanza di lunga durata. Tale condizione, infatti, non è un fatto isolato, ma presuppone l’esistenza di una “rete di appoggi” efficiente, tipicamente riferibile a gruppi criminali organizzati, con cui è razionale presumere che il soggetto sia ancora in contatto.

I giudici hanno specificato che non si è valorizzata la “mera latitanza”, ma la si è interpretata come “espressione della permanente intraneità” del soggetto al mandamento mafioso di riferimento. Il cosiddetto “tempo silente” non era affatto privo di significato, poiché la perdurante latitanza costituisce un sintomo specifico e concreto di una pericolosità sociale ancora in atto. La capacità di sottrarsi per anni alla giustizia dimostra il godimento di protezioni e risorse che solo un solido legame con l’ambiente criminale può garantire.

Le conclusioni: implicazioni pratiche

Questa sentenza consolida un importante principio giurisprudenziale: ai fini della valutazione della pericolosità sociale, rilevano tutti i fatti sintomatici, anche se non costituiscono di per sé reato. La latitanza prolungata non è vista come una semplice assenza, ma come un comportamento attivo che dimostra la persistenza dei legami con la criminalità organizzata e, di conseguenza, la necessità di applicare misure di prevenzione per tutelare la collettività. Per la difesa, diventa quindi cruciale non solo contestare i fatti del passato, ma anche fornire prove concrete che dimostrino l’interruzione di ogni legame con l’ambiente criminale, un compito reso arduo dalla condizione stessa di latitanza.

Una persona latitante può essere considerata socialmente pericolosa anche se non ha commesso reati recenti?
Sì. Secondo la Corte, una latitanza di lunga durata, resa possibile da una rete di supporto criminale, è un comportamento che dimostra di per sé l’attualità della pericolosità sociale, anche in assenza di altri reati commessi nel frattempo.

Come viene valutata la pericolosità sociale in un procedimento di prevenzione?
La valutazione si basa su fatti di qualunque tipo che siano sintomatici della persistenza della pericolosità. Rilevano non solo i reati, ma anche comportamenti come la frequentazione di pregiudicati o, come in questo caso, l’irreperibilità e la latitanza, interpretati come espressione di un legame ancora attivo con ambienti criminali.

Quali sono i limiti del ricorso per cassazione in materia di misure di prevenzione?
Il ricorso per cassazione in questo ambito è ammesso solo per violazione di legge. Non è possibile contestare l’analisi dei fatti o l’illogicità della motivazione, a meno che la motivazione del giudice non sia del tutto inesistente o solo apparente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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