Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43828 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43828 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CAPISTRELLO il 21/03/1954
avverso l’ordinanza del 21/03/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di SASSARI
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria del difensore;
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 21 marzo 2024 il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha rigettato il reclamo proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la decisione del Magistrato di sorveglianza del 30 gennaio 2024 in materia di applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata per un anno, previo accertamento della pericolosità sociale.
Si vede in materia di soggetto che ha fatto parte, con significativo ruolo di vertice, del clan COGNOME operante sul litorale laziale e che ha riportato condanna per il delitto associativo di cui all’ad. 416-bis cod. pen. ed altri in materia di armi, favoreggiamento, usura, resistenza, nonché per la contravvenzione di cui all’ad. 650 cod. pen.
E’ stato destinatario dell’applicazione della misura di prevenzione con decreto del Tribunale di Roma in data 10 aprile 2018.
COGNOME non ha mai collaborato con la giustizia, pur avendo tenuto un comportamento detentivo corretto.
La misura della libertà vigilata è stata ritenuta congrua rispetto a quella maggiore di tre anni fissata dalla Corte di appello di Roma nel procedimento definito con sentenza n. 1437 del 2019.
Nel respingere il reclamo, il Tribunale ha evidenziato le condanne riportate da COGNOME, oltre a quella per il delitto associativo in occasione della quale, comunque, lo stesso è stato ritenuto responsabile come mero partecipe del sodalizio mafioso.
Tale circostanza, tuttavia, non è stata ritenuta idonea a giustificare l’accoglimento del reclamo e ciò in ragione della particolare pervasività del gruppo mafioso di appartenenza del condannato e del lungo periodo di operatività dello stesso.
Il corretto comportamento penitenziario è stato giudicato inidoneo a far venir meno la pericolosità sociale, contrariamente al giudizio che avrebbe potuto essere dato in presenza di una forma di collaborazione (inesistente, nella fattispecie) del condannato con l’autorità giudiziaria.
L’assenza di qualsiasi forma di revisione critica è stata posta alla base del rigetto delle istanze di concessione dei benefici penitenziari, non potendo rilevare neppure il corretto comportamento tenuto in condizione di libertà nel periodo 2016 – 2019.
La presunzione semplice di pericolosità sociale derivante dalla condanna per il delitto associativo mafioso è stata ritenuta non vinta, anche alla luce di due episodi equivoci avvenuti nel predetto periodo di libertà.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME articolando un motivo con il quale ha eccepito nullità del provvedimento per violazione di legge processuale e vizi di motivazione in relazione all’art. 678 cod. proc. pen., nonché difetto, illogicità e contraddittorietà della motivazione con riguardo al profilo dell’attualità della pericolosità sociale quale condizione per l’applicazione della libertà vigilata.
Il presupposto deve essere accertato anche dal Magistrato di sorveglianza e deve sussistere al momento dell’esecuzione della misura.
A tal fine, assumono rilievo la gravità del reato, la personalità e la capacità criminale del condannato, fatti successivi quali il comportamento in sede di espiazione della pena, come risultante dalle relazioni comportamentali, l’eventuale concessione di benefici penitenziari.
Pure a fronte di tali elementi, il Tribunale avrebbe omesso di prendere in esame il profilo essenziale del presupposto applicativo della misura di sicurezza.
Ha inoltre segnalato come la valutazione in sede di cognizione sia stata operata ben sei anni fa e come non potesse essere valorizzata la circostanza della mancata collaborazione con la giustizia in chiave dimostrativa della pericolosità e ciò anche alla luce della sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale i cui principi sono estensibili a tutta la materia dei benefici penitenziari.
E’ stata censurata anche la valorizzazione di due episodi avvenuti nel 2019 (quali un incontro con un presunto appartenente ad un clan di ‘ndrangheta e un colloquio telefonico con il figlio) siccome privi di qualsiasi rilievo ai fini interesse.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore ha depositato memoria di replica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
In tema di applicazione delle misure di sicurezza, la giurisprudenza di questa Corte esprime, con riguardo ai presupposti e alla valutazione demandata al giudice, principi costanti e, sostanzialmente, uniformi.
In particolare, quanto alla nozione di «pericolosità sociale» che costituisce il presupposto per l’applicazione delle predette misure, si afferma che «agli effetti
penali, la pericolosità sociale, rilevante ai fini dell’applicazione di una misura di sicurezza, consiste nel pericolo di commissione di nuovi reati e deve essere valutata dal giudice alla luce dei rilievi sulla personalità e sulla capacità criminale del condannato e di ogni altro parametro desumibile dall’art. 133 cod. pen.» (Sez. 1, n. 24725 del 27/5/2008, Nocerino, Rv. 240808).
Si tratta di principio, sostanzialmente, ribadito, più di recente, anche da Sez. 3, n. 6596 del 23/01/2023, M., Rv. 284142 secondo cui «il giudizio sulla pericolosità sociale rilevante ai fini dell’applicazione di una misura di sicurezza postula la valutazione congiunta di tutte le circostanze indicate dall’art. 133 cod. pen., come prescritto dall’art. 203, comma secondo, cod. pen.».
Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato che «al fine di accertare l’attuale pericolosità del soggetto, nel momento in cui deve essere applicata una misura di sicurezza, il giudice deve tenere conto non solo della gravità del fatto reato, ma anche dei fatti successivi, come il comportamento durante l’espiazione della pena, quale risultante dalle relazioni comportamentali e dall’eventuale concessione di benefici penitenziari o processuali» (Sez. 1, n. 24179 del 19/5/2010, COGNOME, Rv. 247986; Sez. 1, n. 8242 del 27/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274918, sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 1027 del 31/10/2018, dep. 2019, Argento, Rv. 274790).
Con riferimento al requisito dell’attualità dell’accertamento della pericolosità, si presta adesione all’orientamento secondo cui «in tema di associazione di tipo mafioso, l’applicazione della misura di sicurezza prevista, in caso di condanna, dall’art. 417 cod. pen., non richiede l’accertamento in concreto della pericolosità del soggetto, dovendosi ritenere operante una presunzione semplice, desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla persistenza nel tempo del vincolo criminale di mutua solidarietà, che può essere superata quando siano acquisiti elementi dai quali si evinca l’assenza di pericolosità in concreto.(In motivazione la Corte ha aggiunto che tale accertamento dovrà, comunque, essere svolto dal magistrato di sorveglianza, alla luce degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. e del comportamento del condannato durante e dopo l’espiazione della pena, al momento dell’esecuzione della misura). (Sez. 1, n. 33951 del 19/05/2021, COGNOME, Rv. 281999, conformi Sez. 1, n. 45836 del 04/07/2023, COGNOME, Rv. 285505; Sez. 1, n. 24950 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284829 02).
Si tratta di orientamento conforme a quanto statuito in materia di misure di prevenzione: «ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso è necessario accertare il requisito della “attualità” della pericolosità del proposto (In motivazione la Corte ha precisato che solo nel caso in cui sussistano elementi sintomatici di una
“partecipazione” del proposto al sodalizio mafioso, è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell’accertamento di attualità della pericolosità)» (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271511).
Nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza si è attenuto ai criteri sin qui illustrati, avendo avuto cura di effettuare l’accertamento della pericolosità sociale al momento dell’esecuzione della misura, tenendo conto degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. e del comportamento del condannato durante e dopo l’espiazione della pena.
Peraltro, il percorso argomentativo seguito dai giudici di sorveglianza non ha valorizzato in termini esclusivi la presunzione relativa derivante dalla condanna (dato imprescindibile) per il delitto associativo mafioso che ha costituito la base per l’esame della personalità del condannato, siccome emergente anche da ulteriori e successivi elementi.
Alcuna censura può, quindi, essere sollevata verso il provvedimento con riguardo al metodo utilizzato per l’adozione dello stesso.
Hanno assunto rilievo la mancanza di revisione critica e l’assenza del benché minimo riconoscimento della colpevolezza, l’assenza di qualsiasi forma di collaborazione e il ruolo significativo assunto nel contesto del sodalizio criminoso.
Correttamente è stata valutata la non decisività della condotta tenuta in condizione di libertà dal 2016 al 2019, periodo nel quale si collocano, comunque, incontri con personaggi sospetti e un contatto con il figlio ricercato.
A fronte di tali elementi, il ricorrente ha contrapposto l’eccessiva valorizzazione della mancata collaborazione (dato indicato dal Tribunale di sorveglianza a mero completamento della argomentazioni desunte da altri, più pregnanti, elementi), la risalenza nel tempo dell’accertamento della pericolosità ai fini della misura di prevenzione (elemento, invero, privo di decisività), senza eccepire, in questa sede, nulla di specifico con riferimento all’attuale operatività del sodalizio mafioso del quale COGNOME ha fatto parte.
Deve quindi ritenersi che la valutazione complessiva operata dal Tribunale di sorveglianza non ha consentito di superare la presunzione semplice di cui sopra.
Alla luce di quanto esposto, discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20/09/2024