LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Pericolosità sociale: la Cassazione sulle misure

La Corte di Cassazione conferma la misura di sicurezza della libertà vigilata per un ex membro di un’associazione mafiosa, ritenendo non superata la presunzione di pericolosità sociale. La Corte ha stabilito che, nonostante il buon comportamento in carcere, la mancanza di una revisione critica del proprio passato criminale e alcuni contatti sospetti sono elementi sufficienti a giustificare la misura. La decisione del Tribunale di Sorveglianza, basata su una valutazione complessiva di tutti gli elementi, è stata giudicata corretta.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità sociale e mafia: la Cassazione chiarisce i criteri di valutazione

La valutazione della pericolosità sociale di un individuo condannato per reati di stampo mafioso è un tema complesso e centrale nel nostro ordinamento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali che guidano i giudici nell’applicare misure di sicurezza come la libertà vigilata, anche a distanza di tempo dalla condanna e in presenza di un comportamento carcerario corretto.

Il caso in esame: la misura di sicurezza dopo la condanna

Il caso riguarda un soggetto condannato per aver fatto parte, con un ruolo di vertice, di un’associazione criminale di stampo mafioso operante sul litorale laziale. Al termine dell’espiazione della pena, il Magistrato di Sorveglianza ha disposto nei suoi confronti l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata per un anno, previo accertamento della sua attuale pericolosità sociale.

L’interessato ha presentato reclamo al Tribunale di Sorveglianza, che lo ha però rigettato. Secondo il Tribunale, nonostante il corretto comportamento detentivo, la pericolosità del soggetto non era venuta meno. A sostegno di questa valutazione, i giudici hanno evidenziato diversi elementi:

* La gravità dei reati commessi e il ruolo di spicco all’interno del sodalizio criminale.
* La totale assenza di collaborazione con la giustizia.
* La mancanza di una qualsiasi forma di revisione critica del proprio passato criminale.
* Due episodi ‘equivoci’ avvenuti durante un precedente periodo di libertà (un incontro con un presunto esponente di un altro clan e un colloquio telefonico con il figlio latitante).

Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’errata valutazione dell’attualità della sua pericolosità sociale e sostenendo che la mancata collaborazione non potesse essere l’unico elemento a suo sfavore.

La presunzione di pericolosità sociale nei reati di mafia

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, ha colto l’occasione per riaffermare la sua consolidata giurisprudenza in materia. In tema di associazione di tipo mafioso, la legge prevede una ‘presunzione semplice’ di pericolosità sociale del condannato. Questo non significa che la pericolosità sia automatica e immutabile, ma che spetta al condannato fornire la prova contraria, dimostrando di aver reciso ogni legame con l’ambiente criminale e di non rappresentare più un pericolo per la società.

Come avviene l’accertamento della pericolosità sociale?

Il giudice non può basarsi solo sulla condanna passata. L’accertamento deve essere ‘attuale’, cioè riferito al momento in cui la misura di sicurezza deve essere applicata. Per fare ciò, il giudice deve compiere una valutazione globale, tenendo conto di tutti gli elementi indicati dall’articolo 133 del codice penale, tra cui:

* La gravità del reato.
* La capacità a delinquere del reo.
* Il comportamento tenuto durante e dopo l’espiazione della pena.
* L’eventuale concessione di benefici penitenziari.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto che il Tribunale di Sorveglianza abbia applicato correttamente questi principi. La decisione non si è basata esclusivamente sulla presunzione di pericolosità o sulla mancata collaborazione. Al contrario, è stata il frutto di un’analisi complessiva che ha considerato la persistenza di un profilo di pericolosità non scalfito dal tempo o dalla detenzione. La mancanza di un percorso di riflessione critica sul proprio passato e i contatti sospetti sono stati considerati indicatori concreti del fatto che il legame con la mentalità criminale non fosse stato interrotto. Il buon comportamento in carcere, in questo contesto, è stato giudicato un elemento non decisivo, poiché non sufficiente, da solo, a dimostrare un reale cambiamento.

Le conclusioni

La sentenza conferma un principio fondamentale: per i condannati per reati di mafia, superare la presunzione di pericolosità sociale richiede un percorso attivo di cambiamento e una rottura netta e dimostrabile con il passato. La sola osservanza delle regole carcerarie non basta. È necessario fornire elementi concreti che convincano il giudice dell’assenza di rischio di recidiva. Questa decisione sottolinea il rigore con cui l’ordinamento valuta la pericolosità derivante dalla criminalità organizzata, ponendo l’accento sulla necessità di un accertamento approfondito e attuale prima di poter escludere l’applicazione di misure di sicurezza post-detentive.

Come viene valutata la pericolosità sociale di una persona condannata per associazione mafiosa?
La valutazione non si basa solo sulla condanna, ma deve essere attuale. Si parte da una presunzione di pericolosità che il condannato può superare. Il giudice considera la gravità del reato, il ruolo nell’organizzazione, il comportamento durante e dopo la pena, la presenza di una revisione critica del passato e l’assenza di contatti con ambienti criminali.

Il buon comportamento in carcere è sufficiente per escludere la pericolosità sociale?
No. Secondo la sentenza, il corretto comportamento penitenziario, da solo, non è sufficiente a superare la presunzione di pericolosità sociale, specialmente se mancano altri elementi come la collaborazione con la giustizia o una chiara presa di distanza dal passato criminale.

Che peso ha la mancata collaborazione con la giustizia nella valutazione?
La mancata collaborazione è un elemento rilevante, ma non può essere l’unico fondamento della decisione. Viene considerata insieme a tutti gli altri fattori, come la mancanza di una revisione critica del proprio vissuto criminale e la persistenza di legami, anche indiretti, con il mondo del crimine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati