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Pericolosità sociale: la Cassazione sulla valutazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo contro una misura di prevenzione basata sulla sua pericolosità sociale. Nonostante il tempo trascorso e un periodo di detenzione, la Corte ha ritenuto che l’attuale irreperibilità del soggetto e la sua costante mancanza di un’attività lavorativa fossero elementi sufficienti a confermare la persistenza della pericolosità sociale, giustificando la misura della sorveglianza speciale.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

La Pericolosità Sociale e la sua Attualità: Analisi di una Sentenza della Cassazione

La valutazione della pericolosità sociale è un tema centrale nel diritto penale, soprattutto quando si tratta di applicare misure di prevenzione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 20200/2024) offre spunti cruciali su come determinare l’attualità di tale pericolosità, anche a distanza di tempo dai fatti e dopo un periodo di detenzione. Questo articolo analizza la decisione, evidenziando i principi applicati dai giudici di legittimità.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo, con numerose condanne per reati contro il patrimonio (in particolare furti in abitazione) e in materia di stupefacenti, al quale era stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno. La misura, originariamente disposta nel 2015, era stata confermata dalla Corte di Appello di Milano nel 2023.

L’interessato ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la valutazione sulla sua attuale pericolosità sociale fosse basata su una motivazione solo apparente. A suo dire, il lungo tempo trascorso dai reati contestati e il periodo di detenzione sofferto avrebbero dovuto far venir meno la presunzione di pericolosità.

La Valutazione della Pericolosità Sociale Attuale

Il cuore della questione giuridica risiede nella necessità per il giudice di verificare “in concreto” la persistenza della pericolosità. La Corte di Cassazione ribadisce un principio consolidato: il tempo trascorso e la detenzione non sono elementi che, di per sé, eliminano la pericolosità, ma impongono al giudice un onere di motivazione rafforzato. Non si può dare per scontato che una persona rimanga socialmente pericolosa; occorre un accertamento basato su elementi specifici e attuali.

Il legislatore stesso ha sottolineato questa esigenza, prevedendo che la rivalutazione della pericolosità debba tener conto di eventuali profili o dati di fatto emersi dopo la detenzione che possano incidere sullo stato precedente. La detenzione, quindi, non è un dato neutro, ma un periodo che può (o non può) aver inciso sul percorso di vita dell’individuo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. In primo luogo, ha chiarito che nei ricorsi in materia di misure di prevenzione, è possibile denunciare solo la violazione di legge, non i vizi di motivazione. Il ricorrente, invece, contestava la logicità dell’argomentazione della Corte d’Appello, riproponendo di fatto una discussione di merito non consentita in sede di legittimità.

Nel merito della questione, la Cassazione ha ritenuto corretta e adeguatamente motivata la decisione della Corte territoriale. I giudici di secondo grado avevano fondato la loro valutazione su due elementi concreti e attuali:

1. L’irreperibilità: Il soggetto si era sottratto volontariamente all’esecuzione della misura di prevenzione, dimostrando una persistente ostilità verso le prescrizioni dell’autorità giudiziaria.
2. La mancanza di occupazione: La costante assenza di un’attività lavorativa lecita è stata considerata un fattore cruciale, poiché in passato aveva rappresentato la causa scatenante della sua “scelta criminale” come unico mezzo di sostentamento.

Questi due elementi, secondo la Corte, sono “dati storici non controversi” che giustificano pienamente un giudizio di attualità della pericolosità sociale, rendendo la motivazione del provvedimento impugnato né mancante né apparente.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida un importante principio: per valutare l’attualità della pericolosità sociale, il giudice deve andare oltre i reati passati e considerare il comportamento complessivo del soggetto, specialmente quello tenuto dopo periodi di detenzione. La scelta di rendersi irreperibile e la persistente assenza di un inserimento nel mondo del lavoro sono indicatori forti e legittimi di una mancata revisione critica del proprio passato e, di conseguenza, della persistenza di un concreto rischio di recidiva. La decisione sottolinea come la valutazione debba essere ancorata a fatti concreti, capaci di dimostrare che la tendenza a delinquere non è venuta meno. Pertanto, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria è la logica conseguenza della manifesta infondatezza del suo ricorso.

Un lungo periodo di detenzione annulla automaticamente la pericolosità sociale di una persona?
No. Secondo la Corte, la detenzione non è un dato neutro e non annulla automaticamente la pericolosità. Impone però al giudice di verificare ‘in concreto’ la persistenza della pericolosità, fornendo una giustificazione adeguata basata su elementi attuali, soprattutto se gli elementi a fondamento del giudizio di prevenzione sono tutti precedenti alla detenzione.

Quali elementi possono dimostrare l’attualità della pericolosità sociale dopo un periodo di detenzione?
La sentenza evidenzia che elementi come la condizione di irreperibilità (sottrarsi all’esecuzione di una misura) e la ‘immanente inoccupazione’ (la costante mancanza di un lavoro), che in passato ha determinato la scelta criminale come modalità di sostentamento, sono fattori concreti e validi per ritenere attuale la manifestazione di pericolosità.

È possibile contestare la valutazione dei fatti in un ricorso per cassazione in materia di misure di prevenzione?
No. La Corte ribadisce che nei ricorsi per cassazione riguardanti le misure di prevenzione è possibile dedurre unicamente il vizio di violazione di legge. Non è ammesso contestare i vizi della motivazione (se questa esiste e non è solo apparente) o chiedere una nuova valutazione dei fatti già esaminati dal giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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