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Pericolosità sociale: la Cassazione chiarisce i criteri

La Corte di Cassazione ha confermato una misura di prevenzione della sorveglianza speciale nei confronti di un professionista, chiarendo importanti principi sulla valutazione della pericolosità sociale. La Corte ha stabilito che le norme sulle misure di prevenzione non sono soggette al principio di irretroattività, che la valutazione del reddito da attività illecite deve essere complessiva e non esclude chi possiede anche ingenti fonti lecite, e che la collaborazione con la giustizia non è di per sé sufficiente a dimostrare la cessazione della pericolosità attuale.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: I Criteri della Cassazione per le Misure di Prevenzione

L’applicazione delle misure di prevenzione personali, come la sorveglianza speciale, si fonda su un concetto tanto cruciale quanto delicato: la pericolosità sociale del soggetto. Ma quali sono i criteri per valutarla? E fino a che punto una condotta passata può giustificare una restrizione della libertà presente e futura? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su questi interrogativi, delineando principi fondamentali in materia.

Il caso esaminato riguarda un professionista a cui era stata applicata la sorveglianza speciale per due anni, con obbligo di soggiorno. L’interessato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la valutazione della sua pericolosità su tre fronti principali: l’applicazione retroattiva di una nuova norma, la presunta insignificanza dei proventi illeciti rispetto al suo reddito legale e la mancata considerazione della sua successiva collaborazione con la giustizia come prova della cessata pericolosità.

I Fatti del Caso

Un professionista si è visto confermare dalla Corte di Appello una misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale. La misura era fondata sulla sua accertata pericolosità sociale, derivante dal suo coinvolgimento in una serie di reati di natura economica, tra cui corruzione, reati fiscali e bancarotta fraudolenta, commessi nell’arco di circa un decennio. L’uomo ha impugnato la decisione sostenendo che la sua pericolosità non fosse più attuale, essendo intercorsa un’efficace collaborazione con l’autorità giudiziaria, e che, in ogni caso, i proventi dei reati non erano tali da poter affermare che vivesse di attività illecite, data l’entità dei suoi redditi professionali.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la misura di prevenzione. La sentenza si snoda attraverso l’analisi dei tre motivi di ricorso, offrendo chiarimenti essenziali sui presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione.

Le Motivazioni: Analisi della Pericolosità Sociale

La Corte ha smontato le argomentazioni difensive con un ragionamento giuridico solido e coerente, ribadendo e consolidando l’orientamento giurisprudenziale in materia.

Irretroattività e Misure di Prevenzione: Un Principio Flessibile

Il ricorrente lamentava l’applicazione di una categoria di pericolosità qualificata introdotta da una legge del 2017 a fatti commessi in precedenza. La Cassazione ha respinto questa tesi, ribadendo un principio cardine: le misure di prevenzione, avendo natura preventiva e non punitiva, sono assimilabili alle misure di sicurezza. Di conseguenza, ad esse si applica la legge in vigore al momento della loro applicazione e non quella vigente all’epoca dei fatti, come previsto dall’art. 200 del codice penale. Ciò che conta è che i fatti presupposto costituissero reato al momento della loro commissione.

Vivere di Proventi Illeciti: Una Valutazione Complessiva e la pericolosità sociale

Un punto centrale del ricorso era la tesi secondo cui l’elevato reddito lecito del professionista rendeva marginali i proventi dei reati. La Corte ha ritenuto questa visione parziale e inammissibile. La valutazione sulla pericolosità sociale generica (vivere, anche in parte, con i proventi di attività delittuose) non richiede che i guadagni illeciti siano l’unica o prevalente fonte di sostentamento. È sufficiente che essi costituiscano una “componente significativa” del reddito. Inoltre, i giudici di merito avevano correttamente considerato non solo i reati di corruzione, ma anche quelli fiscali e fallimentari, anch’essi “lucrogenetici”, che il ricorrente aveva omesso di contestare. La valutazione deve essere quindi olistica, guardando all’intero stile di vita e a tutte le fonti di reddito illecite.

L’Attualità della Pericolosità Sociale e la Collaborazione Processuale

Infine, la Corte ha affrontato il tema dell’attualità della pericolosità. La difesa sosteneva che la collaborazione con la giustizia, iniziata anni prima, fosse la prova di una definitiva rescissione con il passato criminale. La Cassazione ha chiarito che, sebbene la collaborazione sia un elemento da considerare, non costituisce una prova automatica della cessata pericolosità. Il giudizio deve tenere conto di altri fattori, come la durata e la gravità della carriera criminale. Nel caso di specie, un’attività delittuosa protrattasi per un decennio e caratterizzata da una variegata fenomenologia criminosa è stata ritenuta indicativa di una radicata inclinazione al crimine, che la sola collaborazione non poteva dirsi aver sradicato in modo irreversibile. La misura di prevenzione serve proprio a contenere il rischio che tale inclinazione possa manifestarsi di nuovo, mettendo in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica.

Conclusioni

La sentenza in esame offre tre importanti lezioni pratiche:
1. Natura delle Misure di Prevenzione: La loro applicazione è svincolata dal principio di irretroattività della legge penale sostanziale, essendo governata dalla normativa vigente al momento della decisione del giudice.
2. Valutazione Economica: La sussistenza di ingenti redditi leciti non è uno scudo contro l’applicazione di misure di prevenzione se si dimostra che una parte significativa e abituale del proprio tenore di vita è finanziata da attività criminali.
3. Collaborazione con la Giustizia: Non è un talismano che annulla la pericolosità sociale. Resta un elemento di valutazione, ma deve essere ponderato insieme alla gravità, durata e natura della storia criminale del soggetto.

Una nuova legge che introduce una categoria di pericolosità sociale può essere applicata a fatti commessi prima della sua entrata in vigore?
Sì. Secondo la Corte, le misure di prevenzione seguono la disciplina delle misure di sicurezza, per cui si applica la legge in vigore al momento della loro applicazione giudiziale, non quella del tempo in cui sono stati commessi i reati presupposto.

Avere un reddito lecito elevato esclude la possibilità di essere considerati soggetti che vivono con proventi di attività delittuose?
No. La Corte ha chiarito che non è necessario che i proventi illeciti siano l’unica o la principale fonte di reddito. È sufficiente che costituiscano una “componente significativa” del reddito complessivo e che il soggetto viva “anche in parte” di essi, considerando la totalità delle attività criminali.

La collaborazione con la giustizia dimostra automaticamente la fine della pericolosità sociale?
No. La collaborazione processuale, sebbene possa portare a benefici di pena, non è di per sé una prova definitiva e irreversibile della cessazione della pericolosità. I giudici devono valutare tale condotta nel contesto di tutta la storia criminale della persona, specialmente se questa è stata lunga, variegata e radicata nel tempo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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