Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44098 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44098 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Caserta il 28/10/1994
avverso l’ordinanza del 20/02/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con il provvedimento di cui in epigrafe, la Corte distrettuale di Napoli ha confermato il decreto emesso dal Tribunale di Santa Maria di Capua Vetere con cui è stata rigettata l’istanza di revoca della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, disposta nei confronti di NOME COGNOME con decreto del 28 settembre 2023, ridotta ad un anno.
2.Avverso detto decreto propone ricorso NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando un unico motivo.
Violazione di legge, con riferimento agli artt.1 e 4, lett. c), d. Igs. n. 159 del 2011, per il mancato approfondito accertamento dell’attuale pericolosità sociale del proposto, in quanto il decreto impugnato, in termini generici, si è fondato sui precedenti di COGNOME nonostante l’ultimo fatto delittuoso risalga al settembre 2021 e risulti il reinserimento sociale avvenuto anche con lo studio.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato le conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per far valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
E’ opportuno ribadire che il perimetro del controllo affidato alla Corte di cassazione in materia di misure di prevenzione, personali o reali, è ammesso solo per violazione di legge, così dovendosi escludere dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi del vizio di motivazione previsto dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., restando salva la sola denuncia della motivazione inesistente o meramente apparente poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
Alla stregua di tali rilievi le censure del ricorso, formulate in modo aspecifico e reiterativo, devono considerarsi inammissibili.
Infatti, anziché evidenziare un’ipotesi di motivazione apparente, si limitano a criticare gli argomenti adottati dalla Corte di appello che, al contrario, ha svolto valutazioni complete e logiche illustrando le ragioni giustificative della decisione e la ritenuta infondatezza degli elementi difensivi.
In ordine alla pericolosità sociale di NOME COGNOME e della sua attualità risulta che questi dal 24 dicembre 2015 commette senza soluzione di continuità ed in un crescendo criminale delitti contro la persona (lesioni personali e rissa) / e il 22 settembre 2021 è stato condannato a sette anni ed un mese di reclusione, sia in primo che in secondo grado, per tentato omicidio ai danni di persone colpite
«a caso, solo perchè contestavano i suoi desideri al momento» (pag. 3), violando anche la misura cautelare degli arresti domiciliari.
In detta prospettiva, il provvedimento impugnato ha concluso che il Tribunale avesse fondatamente formulato il giudizio di persistenza dell’attualità della pericolosità sociale di COGNOME, rendendo il lasso di tempo trascorso dall’ultimo grave episodio delittuoso non rilevante in quanto era stata la condizione detentiva ad avere evitato altri delitti e valorizzando il percorso di studi con la riduzione ad un anno della misura di prevenzione.
Si tratta di una motivazione completa e logica rispetto alla quale non è stato contrapposto, in modo effettivo e sufficiente, alcun fatto nuovo favorevole al COGNOME.
Sulla base delle sopra esposte considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 novembre 2024
La Consigliera estensora