Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3794 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3794 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato ad ANCONA il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 17/05/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME:COGNOME, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 17/5/2022, depositato il 3/3/2023, la Corte di appello di Ancona, in veste di giudice della prevenzione, ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso il decreto del Tribunale in sede del 12/7/2021, con il quale era stata applicata al proposto la misura della sorveglianza speciale di PS con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per due anni.
In detto decreto si è illustrato che la pericolosità sociale dell’appellante, dapprima inquadrata nella categoria dell’art. 4, lett. d), D. Lgs. n. 159 del 2011, come descritta nella proposta di applicazione della misura di prevenzione, si era poi rivelata essere pericolosità generica ex art. 1, lett. c), citato decreto, sicch il Pubblico ministero aveva richiesto l’applicazione della misura in tali termini.
Pertanto, la Corte territoriale ha confermato il decreto applicativo che aveva ritenuto NOME COGNOME soggetto socialmente pericoloso in quanto dedito a reati che offendono o mettono in pericolo la tranquillità e la sicurezza pubblica.
Avverso detta ordinanza l’interessato ha proposto ricorso per cassazione per mezzo del difensore, AVV_NOTAIO, deducendo i seguenti motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge con riferimento agli artt. 7 e 23 D. Lgs. n. 159 del 2011, con deduzione della nullità del decreto di fissazione dell’udienza camerale da parte del Tribunale di Bologna, non essendo stata ivi contestata la pericolosità generica ex art. 1, lett. c), invece riconosciuta in capo al COGNOME, e conseguente violazione del contraddittorio e del diritto di difesa.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, ritenuta mancante e apparente, in ordine alla riconducibilità del proposto ad una delle categorie di pericolosità sociale ed alla contestualizzazione temporale della riconosciuta pericolosità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere respinto.
1.1. La prima doglianza procedimentale è infondata, alla stregua della prevalente e preferibile giurisprudenza di legittimità, che ha affermato che, in tema di misure di prevenzione, l’avviso di fissazione dell’udienza di comparizione nei confronti della persona proposta non deve necessariamente indicare il tipo di pericolosità posta a fondamento della richiesta, essendo sufficiente, onde assicurare alla difesa un contraddittorio effettivo e congruo, la sola indicazione degli elementi di fatto dai quali la si ritiene desumibile, sicché non si configura violazione del principio di correlazione tra contestazione e decisione nel caso in cui il provvedimento applicativo della misura ritenga sussistente una categoria
di pericolosità sociale diversa o ulteriore rispetto a quella indicata nella proposta (Sez. 5, n. 28695 del 19/05/2022, COGNOME, Rv. 283542; Sez. 6, n. 29157 del 12/04/2023, COGNOME e altri, Rv. 285039), stante la fluidità degli addebiti tipic del giudizio di prevenzione. La diversa qualificazione della pericolosità è, dunque, consentita a condizione che la nuova definizione giuridica sia fondata sui medesimi elementi di fatto posti a fondamento della proposta, in relazione ai quali sia stato assicurato alla difesa un contraddittorio effettivo e congruo (Sez. 1, n. 8038 del 5/2/2019, COGNOME, Rv. 274915; Sez. 1, n. 32032 del 10/6/2013, COGNOME, Rv. 256451). È stato ulteriormente precisato che l’autorità giudiziaria può operare una diversa qualificazione giuridica della pericolosità del proposto, trattandosi di un potere generale che spetta ad ogni giudice procedente, ma tale potere deve essere esercitato previa interlocuzione delle parti sulle questioni dedotte o deducibili collegate alla proposta, in modo da escludere qualsivoglia violazione del contraddittorio (Sez. 6, n. 43446 del 15/6/2017, Cristodaro, Rv. 271220). Va comunque escluso che nel procedimento di prevenzione siano applicabili i principi affermati dalla Corte Ediu nella sentenza Drassich c. Italia dell’Il dicembre 2007 e, dunque, la necessità che la difesa sia chiamata ad interloquire – prima della decisione – sulla diversa qualificazione della categoria di pericolosità sociale del proposto, sicché il giudice può legittimamente ritenere una «categoria normativa» di pericolosità in cui inquadrare il soggetto diversa da quella originariamente ipotizzata, facendo applicazione del generale principio cui è sottesa la formulazione dell’art. 521, comma 1, cod. proc. pen., richiedendosi solo che la nuova definizione giuridica sia fondata sui medesimi elementi fattuali posti a fondamento della proposta e che su tali elementi sia stato assicurato lo sviluppo di un contraddittorio effettivo e congruo rispetto alla decisione finale.
Nel caso di specie, il contraddittorio si è pienamente esplicato sia nel primo che nel secondo grado, e la Corte territoriale ha posto in luce il dato che i fatti considerati dal Tribunale per affermare la pericolosità generica del COGNOME nei termini di cui all’art. 1, lett. c) D. Lgs. n. 159 del 2011, erano i medesimi contenuti nella proposta originaria, sicché anche il Pubblico ministero aveva modificato la propria richiesta orientandola in tale direzione.
Inoltre, dal decreto impugnato emergie che il Pubblico ministero aveva presentato una memoria in data 5/7/2021, molto precedente all’udienza di discussione, svoltasi effettivamente il 17/5/2022.
La riassunta esegesi di legittimità è preferibile a quella citata nel ricorso (Sez. 2, n. 23000 del 20/5/2021, COGNOME, Rv. 281457) che vorrebbe trarre dall’indicazione contenuta nel decreto di fissazione dell’udienza, atto di molto precedente allo svolgersi del contraddittorio procedimentale, la predeterminazione della categoria di pericolosità ascrivibile al proposto. Peraltro, in tal
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pronuncia, si fa questione di categorie a) e b), con implicazioni derivanti dalla nota sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale della prima categoria di soggetti, mentre nel caso de quo la riconosciuta pericolosità è – a tenore della lett. c) – quella di chi è dedit a reati che offendono o mettono in pericolo la tranquillità e la sicurezza pubblica, categoria in qualche misura affine a quella qualificata ai sensi dell’art. 4 lett. d in origine contestata al COGNOME, così da ravvisare continenza tra le due forme di pericolosità sociale, in cui la categoria qui riconosciuta è quella “minore”.
1.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto fondato su censure fattuali e rivalutative, non deducibili in sede di legittimità, e su asseri vizi di motivazione, non consentiti nella materia della prevenzione.
Va al riguardo rammentato che, nell procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 10, comma 3, d.lgs. 159 del 2011 (e del precedente art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575).
Nel caso in esame il ricorso si limita a contestare l’inserimento del COGNOME nella categoria di pericolosità generica di cui alla lett. c) dell’art. 1 D. Lgs. 1 del 2011, nonché il giudizio di attualità della pericolosità sociale formulato dalla Corte territoriale, senza tuttavia evidenziare una reale mancanza o apparenza della motivazione. Al contrario, con motivazione congrua ed immune da censure, la Corte di Appello di Bologna ha illustrato i presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione personale e valutato esaustivamente il requisito dell’attualità della pericolosità sociale del proposto, facendo buon governo dei consolidati principi giurisprudenziali sul punto,
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese. processuali.
Così deciso il 28 settembre 2023