Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35392 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35392 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Villa San Giovanni il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 12/03/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con il decreto impugnato, a Code d’appello di Reggio Calabria, in parziale accogiimento deilappcho proposto avverso il decreto del l febbraio 2023 del Tribunale di Reggio Calabria che applicava a COGNOME NOME la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per anni uno e mesi sei, con obbligo del versamento della cauzione di curo 1.5 , ‘.)0’00 e prescrizioni accessorie
rideterminava in anni uno la durata della misura imposta a COGNOME, confermando nel resto.
La misura è stata applicata, essendo stato il soggetto ritenuto pericoloso ai sensi dell’art. 1, lett. b) e c) del decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 159. Si è, in particolare, ritenuto che la pericolosità sociale di COGNOME trovasse fondamento/nelle risultanze del proc. n. 4349/20 R.G.N.R., nell’ambito del quale, il 31 maggio 2022, i! ricorrente veniva colpito da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, confermata dal Tribunale del riesame,- in data 23 giugno 2022 per i reati (quattro) di concorso in furto pluriaggravato, nonché detenzione porto di arma comune da sparo. In ordine a tali fatti, il 12 gennaio 2023, all’esito di giudizio abbreviato, COGNOME è stato condannato ad anni uno e mesi otto di reclusione e 2.500,00 euro di multa per il reato in materia di armi e prosciolto per mancanza di una condizione di procedibilità in relazione ai furti.
La Corte d’appello ha esaminato ciascun furto addebitato al proposto, evidenziando il valore della merce rubata e si è soffermata sui precedenti penali del predetto.
Avverso il decreto ricorre per cassazione COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo la violazione dell’art. 4 lett. b) del decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 159, in combinato con l’art. 14, comma 2-ter, dei decreto legislativo cit., nonché carente ed erronea motivazione.
La persistenza della pericolosità sociale avrebbe dovuto essere oggetto di necessario e specifico accertamento, a maggior ragione in considerazione del fatto che le pendenze si riferivano ad accertamenti risalenti nel tempo. Il proposto, nella pendenza richiamata nel decreto impugnato, risponde unicamente per una contestazione in materia di armi; le intercettazioni ambientali utilizzate quale unica fonte di prova, fanno espresso riferimento a una indimostrata collocazione temporale dei fatti, laddove la contestata detenzione di armi, mai rinvenute, potrebbe riferirsi a vicende risalenti nel tempo.
Il concetto di abitualità non sarebbe stato correttamente utilizzato. Nel caso di specie, la Corte di appello territoriale, valorizzando le condotte di furto perpetrate nel biennio 2020/2021 presso lo scalo ferroviario di Villa San Giovanni, non avrebbe tenuto conto che, per i fatti contenuti nell’originaria contestazione dell’unico procedimento penale pendente preso in considerazione / è ; però, intervenuta una pronuncia assolutoria per mancanza delle condizioni di procedibilità.
La Corte di appello ha presunto che I proposto vivrebbe dei proventi illeciti, avendo riguardo a una non meglio precisata incongruenza patrimoniale, laddoveK emergerebbe una insufficienza di reddito negli anni 2017/2021, che, però, non
terrebbe conto della attività lecita, non regolarizzata contrattualmente e di tipo manuale da lui svolta, oltre che dell’illecito aiuto dei familiari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
Appare in premessa opportuno ricordare che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dall’art. 10, comma 2, del decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 159. Tale violazione ricorre anche quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio, mentre il mero vizio della motivazione (come classificato dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.) dei decreto non può essere dedotto e, in ogni caso, non può essere ritenuto quando l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione risultino smentite dal discorso giustificativo espresso dal provvedimento (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246).
3.Va, altresì, rammentato che, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, le “categorie di delitto” legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di cd. pericolosità generica, ai sensi dell’art. 1, lett. b), d.lgs. cit., devono presentare un triplice requisito, da ancorare a precis elementi di fatto di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione: deve, cioè, trattarsi di delitti:
commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale;
che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto;
-che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica o, quantomeno, una rilevante fonte di reddito per il medesimo.
In particolare, quanto al requisito dell’abitualità – la cui erronea applicazione è dedotta in ricorso – la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente chiarito (ex multis, Sez. 5, n. 13438 dei 27/02/2018, COGNOME, non rnass.) che l’avverbio “abitualmente” postula, di necessità, pregresse occasioni di accertamento in sede penale della ripetuta dedizione alle attività delittuose di cui alla lett. b), dalle quali il soggetto tragga o abbia tratto, anche in parte, i proventi del suo
sostentamento. La medesima giurisprudenza ha, altresì, precisato che tale verifica non può limitarsi alla constatazione della condizione del soggetto di mero indiziato per uno dei vari delitti, dai quali i proventi possono derivare, essendo necessario soddisfare la pressante esigenza di dare contenuto concreto alla nozione di pericolosità generica, al fine di delimitarne i confini e sottrarla ai rili critici di vaghezza e genericità provenienti dalla giurisprudenza sovranazionale che, con la sentenza della Corte EDU De Tommaso c. Italia del 23 febbraio 2017, ha espressamente posto in risalto la necessità di “una valutazione oggettiva delle prove che rivelino il comportamento e io standard di vita dell’individuo” o la messa in evidenza di “segni specifici esteriori” delle sue tendenze criminali; ed ha ancora chiarito che gli elementi da valorizzare, ai fini di tale giudizio, non debbono essere tratti necessariamente da sentenze definitive di condanna, potendo essere utilizzati anche quelli emergenti da procedimenti penali pendenti per reati a tal fine significativi, nell’ambito dei quali siano stati formulati giud non escludenti la responsabilità del proposto (tra le tante, Sez. 6, n. 36216 del 13/07/2017, COGNOME,21/07/2017, Rv. 271372).
4.0rbene, a tali coordinate ermeneutiche si è attenuto il provvedimento impugnato, nel quale la Corte territoriale ha osservato che, dal curriculum criminale dei ricorrente risulta che il medesimo ha manifestato una radicata pericolosità sociale connotata da “specializzazione criminale” (furti e ricettazione), come si evince con assoluta evidenza dai precedenti penali e giudiziari e dalla recente condanna a suo carico, sia pure non ancora definitiva. L’indicata opzione decisionale si fonda, dunque, sull’esistenza di un quadro connotato da una accertata abitualità nel delinquere e dall’assenza di significative interruzioni nell’agire illecito; sicché l’immutato protrarsi, per lasso temporale assolutamente considerevole, di una comprovata, marcata inclinazione all’antisocialità e alla devianza è stato -correttamente- ritenuto tale da innestare un sicuro giudizio di pericolosità sociale.
4.1.5i rivela, pertanto, del tutto infondato il rilievo avanzato dal ricorrente i ordine agli elementi utilizzati dal Giudice di merito ai fini del giudizio abitualità: al contrario, la Corte di appello ha correttamente individuato una serie cospicua di fatti delittuosi, sia relativi a sentenze di condanna passate in giudicato sia desunti da altri procedimenti penali non ancora definitivi, convergenti nella dimostrazione della affermata abitualità, avuto riguardo all’assoluta omogeneità dei fatti-reato ed alla loro ininterrotta continuità temporale.
4.2.Anche il giudizio di attualità non si presta a censura, avendo il giudice della prevenzione illustrato gli specifici elementi di pericolosità del proposto, desunti dalla recente sottoposizione a misura cautelare personale ed alla sostanziale assenza di soluzione di continuità tra i fatti- reato recenti e quelli oggetto del vasto curriculum criminale del proposto, elementi questi corroborati pure dalla dimostrata ineffettività, in termini di resipiscenza, delle pregresse misure di prevenzione adottate nei confronti del ricorrente.
4.3.Anche l’ultimo profilo di censura è manifestamente infondato.
Già si è detto che, ai fini dell’applicazione di una misura fondata sul giudizio di cd. pericolosità generica, ai sensi dell’art. 1, lett. b), d.lgs. cit., il giudice di merito deve dare conto del fatto che i profitti generati dall’abituale attività delittuosa costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica o quantomeno una rilevante fonte di reddito per il medesimo. A tale onere motivazionale la Corte di appello non si è sottratta, emergendo dalla motivazione del provvedimento impugnato che le indagini patrimoniali svolte relativamente agli anni 2017-2021 attestano redditi leciti assolutamente insufficienti ad assicurare il soddisfacimento delle esigenze quotidiane. E, su tale punto, non può non essere sottolineato come, ancora una volta, nessun argomento di concreta confutazione è stato fornito dalla difesa, i cui rilievi appaiono generici ed aspecifici.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 9 luglio 2024
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Il Consigl re estensore