Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8639 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8639 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Marsala il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 28/06/2023 della Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale
NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con atto del proprio difensore, NOME COGNOME, impugna il decreto della Corte di appello di Palermo in epigrafe indicato, che ha confermato quello del Tribunale di Trapani del 23 febbraio 2023, col quale è stata disposta l’esecuzione, nei suoi confronti, della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, rimasta sospesa in ragione della sua sopravvenuta sottoposizione a pena limitativa della libertà personale.
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Il decreto impugnato, aderendo alle valutazioni del Tribunale, ha posto in rilievo la circostanza per cui il 4 febbraio 2022, nel corso dell’esecuzione della misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova ai servizi sociali, egli sia stato arrestato nella flagrante coltivazione in casa di trentasette piante di marijuana, ravvisando in tale condotta la conferma della sua perdurante risoluzione a delinquere, l’assenza di una rivisitazione dei suoi precedenti comportamenti illegali e, in ragione del mancato svolgimento di un’attività lavorativa lecita, il suo persistente ricorso a fonti di reddito illegali per provvedere al proprio sostentamento.
Il ricorso denuncia la violazione degli artt. 6 e 14, comma 2-ter, d.lgs. n. 159 del 2011, e 125, comma 3, cod. proc. pen., per la sostanziale assenza di motivazione in punto di perdurante pericolosità sociale di costui.
I giudici d’appello – si sostiene – hanno omesso di considerare la lontananza nel tempo delle precedenti condotte delittuose del COGNOME e la loro eterogeneità rispetto a quella del 2022, trattandosi di reati contro il patrimonio e risalenti a data non successiva al 2008.
Inoltre, non hanno valutato se i reati precedenti giustificassero un giudizio di pericolosità anche a norma dell’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159, cit., dal momento che la misura di prevenzione era stata applicata anche in relazione alla categoria di pericolosità di cui all’attuale lett. a) della stessa norma, tuttavia esclusa dalla sentenza n. 24 del 2019 della Corte costituzionale, e comunque hanno omesso di specificare la categoria soggettiva di pericolosità in cui hanno il ricorrente debba essere inquadrato, non essendo sufficiente, in proposito, l’apprezzamento di una generica pericolosità sociale.
Infine, si deduce che la notevole distanza temporale tra i fatti delittuosi valorizzati non si concili con il requisito normativo dell’abitualità delle condotte, da intendersi quale consapevole scelta di vita criminale per un periodo significativo.
Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non può essere ammesso.
A norma dell’art. 10, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011, il ricorso per cassazione avverso il decreto reso dalla Corte di appello in materia di misure di prevenzione è consentito esclusivamente per violazione di legge.
Nello specifico, al di là dell’enunciazione formale, la motivazione del provvedimento è presente ed effettiva, e non semplicemente apparente: tanto si rileva già dalla stessa articolazione dei motivi di ricorso, che in effetti conte le ragioni della perdurante valutazione di pericolosità del ricorrente compiuta da Corte d’appello, e più specificamente la concludenza dimostrativa in tal senso del emergenze di fatto valorizzate da quei giudici, ma non la mancata spiegazione dei motivi della loro decisione.
Sono, dunque, quelle relative alla eterogeneità od alla lontananza nel tempo tra le varie condotte ed ai riflessi di tali aspetti sull’abitualità dell censure tipicamente di merito o, a tutto voler concedere, riguardanti ipotetici v della motivazione, perciò qui non sindacabili.
Manifestamente infondata, invece, è la doglianza riguardante l’omessa specificazione della categoria di pericolosità in cui si colloca il ricorrente, a la Corte d’appello, in realtà, motivatamente ritenuto che egli tragga tutt’or attività criminali, anche soltanto in parte, quanto necessario per la sopravvivenza, così annoverandolo tra i soggetti di cui all’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011.
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Det somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2024.