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Pericolosità sociale: i limiti del ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo contro l’applicazione di una misura di sorveglianza speciale. La difesa sosteneva che la sua pericolosità sociale non fosse attuale, data la lontananza dei precedenti reati. Tuttavia, la Corte ha stabilito che un recente arresto per coltivazione di stupefacenti era una prova sufficiente della persistenza di uno stile di vita basato su proventi illeciti, confermando la decisione dei giudici di merito. La sentenza ribadisce che il ricorso in Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo le violazioni di legge.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: Quando un Nuovo Reato Conferma la Misura di Prevenzione

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 8639 del 2024, offre un’importante lezione sui criteri di valutazione della pericolosità sociale e sui limiti del ricorso per cassazione in materia di misure di prevenzione. Il caso riguarda un individuo la cui sorveglianza speciale, precedentemente sospesa, è stata riattivata a seguito di un nuovo reato, nonostante i precedenti penali fossero datati. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, delineando con chiarezza la distinzione tra un vizio di motivazione e un mero dissenso sulla valutazione dei fatti.

I Fatti del Caso

Il Tribunale di Trapani aveva disposto l’esecuzione della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza nei confronti di un soggetto. L’efficacia della misura era stata sospesa a causa della sua detenzione per altri motivi. Successivamente, durante un periodo di affidamento in prova ai servizi sociali, l’uomo veniva arrestato in flagranza per la coltivazione di trentasette piante di marijuana nella propria abitazione.

Questo evento ha spinto la Corte di Appello di Palermo a confermare la decisione del Tribunale, ritenendo che la nuova condotta criminale dimostrasse una ‘perdurante risoluzione a delinquere’. Secondo i giudici, il soggetto non aveva riconsiderato il proprio passato illegale e continuava a ricorrere a fonti di reddito illecite per il proprio sostentamento, data anche l’assenza di un’attività lavorativa lecita.

I Motivi del Ricorso e la Pericolosità Sociale

L’interessato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando diversi vizi. In sintesi, la difesa sosteneva che:

1. Mancava una motivazione adeguata sulla persistente pericolosità sociale.
2. I giudici non avevano considerato la notevole distanza temporale tra i reati precedenti (contro il patrimonio, risalenti a prima del 2008) e il nuovo episodio del 2022.
3. Non era stata specificata la categoria soggettiva di pericolosità in cui inquadrare il soggetto, limitandosi a un generico riferimento.
4. La distanza temporale tra i fatti non permetteva di configurare il requisito dell’abitualità della condotta criminale.

Le Motivazioni della Cassazione: la Valutazione della Pericolosità Sociale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo motivazioni nette e proceduralmente rigorose. Innanzitutto, ha ricordato che il ricorso in Cassazione contro i decreti in materia di misure di prevenzione è consentito solo per violazione di legge, come stabilito dall’art. 10, comma 3, del D.Lgs. n. 159 del 2011. Non è possibile, in questa sede, chiedere un nuovo esame dei fatti o contestare l’adeguatezza della valutazione probatoria del giudice di merito.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse presente ed effettiva. Le critiche del ricorrente, sebbene formalmente presentate come violazioni di legge, erano in realtà ‘censure di merito’. Egli non contestava l’assenza di una motivazione, ma la sua sostanza, cercando di ottenere una diversa interpretazione dei fatti, attività preclusa al giudice di legittimità.

La Corte ha inoltre giudicato ‘manifestamente infondata’ la doglianza relativa alla mancata specificazione della categoria di pericolosità. Al contrario, la Corte d’Appello aveva chiaramente motivato che il soggetto traeva ancora sostentamento, almeno parziale, da attività criminali, inquadrandolo così nella categoria prevista dall’art. 1, lett. b), del D.Lgs. n. 159/2011 (coloro che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose).

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce due principi fondamentali:

1. Il Limite del Giudizio di Legittimità: Il ricorso per Cassazione non è un ‘terzo grado’ di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. Le contestazioni devono riguardare errori nell’applicazione delle norme giuridiche, non il convincimento che il giudice si è formato sulla base delle prove.
2. L’Attualità della Pericolosità: Un singolo episodio criminale, seppur distante nel tempo dai precedenti, può essere sufficiente a dimostrare l’attualità della pericolosità sociale. Ciò è particolarmente vero quando il nuovo reato, come la coltivazione di stupefacenti, indica una scelta di vita orientata a procurarsi redditi illeciti, confermando così la necessità di una misura di prevenzione come la sorveglianza speciale.

Un singolo reato recente può bastare per confermare la pericolosità sociale di una persona?
Sì. Secondo la Corte, un reato commesso di recente, come la coltivazione di stupefacenti, può essere considerato una prova sufficiente della persistenza di una scelta di vita basata su proventi illeciti, confermando così l’attualità della pericolosità sociale e giustificando l’applicazione di una misura di prevenzione.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un caso?
No. Il ricorso per cassazione in materia di misure di prevenzione è consentito solo per ‘violazione di legge’. Non è possibile contestare la valutazione dei fatti o delle prove fatta dai giudici dei gradi precedenti. Tali contestazioni sono considerate ‘censure di merito’ e rendono il ricorso inammissibile.

Cosa succede se un ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, non viene esaminato nel merito. Di conseguenza, il provvedimento impugnato diventa definitivo. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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