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Pericolosità sociale: i limiti alla sua prova

La Corte di Cassazione ha annullato un decreto che applicava misure di prevenzione e confisca a un soggetto, ritenendo insufficiente la motivazione sulla sua pericolosità sociale. La Corte d’Appello aveva presunto una pericolosità ininterrotta per oltre trent’anni, senza adeguatamente valutare i lunghi periodi di inattività e senza dimostrare l’attualità del pericolo. Questa sentenza ribadisce che la pericolosità sociale deve essere provata con elementi concreti e attuali, non con mere presunzioni.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: la Cassazione fissa paletti rigorosi sulla prova

Una recente sentenza della Corte di Cassazione interviene su un tema delicato e cruciale del nostro ordinamento: la pericolosità sociale. Il provvedimento chiarisce che per applicare misure di prevenzione severe, come la sorveglianza speciale e la confisca dei beni, non è sufficiente un giudizio basato su presunzioni, ma è necessaria una prova rigorosa, continua e attuale della pericolosità del soggetto. Questa decisione riafferma la centralità delle garanzie individuali di fronte al potere dello Stato.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un decreto della Corte d’Appello di Torino, che aveva confermato una misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno e la confisca di numerosi beni mobili e immobili nei confronti di un individuo. I giudici di merito avevano fondato la loro decisione su una valutazione della pericolosità sociale del soggetto estesa per un arco temporale molto lungo, dai primi anni ’90 fino ai giorni nostri. Tale pericolosità era stata desunta da una serie di condanne e imputazioni per reati contro il patrimonio, falso e gestione illecita di rifiuti.

La difesa aveva proposto ricorso in Cassazione, lamentando diversi vizi nella motivazione. In particolare, si contestava che la Corte d’Appello avesse affermato una protrazione ininterrotta della pericolosità senza considerare lunghi periodi di “stasi” criminale e senza motivare adeguatamente sull’attualità di tale pericolo al momento della decisione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto i ricorsi della difesa, annullando il provvedimento impugnato e rinviando il caso alla Corte d’Appello per un nuovo esame. La Cassazione ha ritenuto che la motivazione del decreto fosse viziata da un’errata applicazione dei principi che regolano l’accertamento della pericolosità sociale.

Le Motivazioni: La Pericolosità Sociale non può essere una presunzione

Il cuore della decisione risiede nella critica al ragionamento della Corte territoriale. I giudici di merito, pur riconoscendo l’esistenza di distinti periodi di attività criminale intervallati da pause significative (una delle quali di circa sei anni), avevano concluso per una permanenza costante della pericolosità. Secondo la Cassazione, questo ragionamento si traduce in una sorta di “presunzione assoluta” che rende la motivazione solo apparente. Affermare che un soggetto sia stato costantemente pericoloso per oltre trent’anni richiede elementi concreti che ne dimostrino la manifestazione continua, non un semplice sillogismo basato sulla natura omogenea dei reati commessi in epoche diverse.

I giudici hanno inoltre obliterato il fatto che il soggetto avesse per lungo tempo gestito anche una lecita attività imprenditoriale, senza spiegare perché tale circostanza fosse irrilevante per escludere una dedizione abituale ad attività criminose.

L’Importanza dell’Attualità della Pericolosità Sociale

Un altro punto cruciale della sentenza riguarda il requisito dell’attualità. La Corte d’Appello aveva basato il suo giudizio su elementi risalenti a oltre due anni prima dell’adozione della misura, senza spiegare adeguatamente perché tali fatti fossero ancora sintomatici di un pericolo attuale. La Cassazione ha ribadito che la valutazione della pericolosità sociale deve essere ancorata al presente e non può fondarsi su elementi datati, a meno che non si fornisca una motivazione specifica sulla loro persistente rilevanza.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per i giudici di merito. L’applicazione delle misure di prevenzione, che incidono profondamente sulla libertà personale e sul diritto di proprietà, non può basarsi su automatismi o presunzioni. L’accertamento della pericolosità sociale deve essere un processo rigoroso e analitico, che valuti con attenzione l’intera vita del soggetto, compresi i periodi di condotta lecita e gli intervalli di inattività criminale. La prova della continuità e, soprattutto, dell’attualità del pericolo deve essere concreta e non può essere aggirata da ragionamenti congetturali. In assenza di tale rigore probatorio, il provvedimento è illegittimo e deve essere annullato.

È possibile dichiarare una persona socialmente pericolosa per un periodo ininterrotto di trent’anni se ci sono stati lunghi intervalli senza reati?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non si può presumere una pericolosità costante in un arco temporale così lungo. È necessario acquisire elementi concreti che dimostrino una manifestazione continua della pericolosità, e i giudici devono valutare attentamente eventuali significativi intervalli temporali in cui non sono emersi elementi rivelatori.

Cosa si intende per ‘attualità della pericolosità’ in una misura di prevenzione?
Significa che la pericolosità sociale del soggetto deve essere esistente e concreta al momento in cui la misura viene applicata. Non è sufficiente basare il giudizio su fatti passati, anche se gravi, se non si dimostra con una motivazione specifica che tali fatti sono ancora sintomatici di un pericolo attuale per la società.

La confisca dei beni è legittima se la prova della pericolosità sociale è debole?
No. Poiché l’accertamento del perimetro temporale della pericolosità è il presupposto per la legittimità della misura patrimoniale, se la motivazione sulla pericolosità è viziata, anche la confisca dei beni disposta di conseguenza risulta illegittima. I due aspetti sono strettamente collegati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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