Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22493 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22493 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME
NOME nato a ROSARNO il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 13/01/2023 della CORTE DI APPELLO REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto che la Corte di cassazione voglia dichiarare inammissibile il ricorso con l’adozione dei conseguenti provvedimenti ai sensi dell’art. 616 c.p.p.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con decreto del 13 gennaio 2023, depositato in data 11 gennaio 2024, la Corte di appello di Reggio Calabria, decidendo sull’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME, confermava il decreto con il quale il Tribunale di Reggio Calabria aveva rigettato la richiesta volta a ottenere la revoca della misura di
prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di tre anni (applicata con decreto del 10 gennaio 2003, poi ridotta ad anni due in appello, quindi aggravata per ulteriori due anni, con obbligo di soggiorno, con decreto del 24 febbraio 2010), avendone verificato la persistente pericolosità sociale, ai sensi dell’art. 14, comma 2-ter, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, quale soggetto indiziato di appartenere ad una associazione di tipo mafioso (art. 4, comma 1, lett. a), del medesimo decreto).
Ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento del decreto deducendo la violazione dell’art. 4, comma 1, lett. a) del decreto legislativo n. 159 del 2011, con riferimento all’art. 14, comma 2-ter, dello stesso decreto, nonché carente ed erronea motivazione.
Il ricorrente deduce “l’assoluta erroneità ed illogicità motivazionale risultante dal testo del provvedimento impugnato per la violazione dei presupposti che dovrebbero confermare la sussistenza di una attualità di pericolosità sociale e che invece risultano inesistenti”.
Considerato che l’art. 14, comma 2-ter, del decreto legislativo n. 159 del 2011 richiede la verifica della persistente pericolosità sociale, la Corte territoriale ha fatto riferimento a un “dato ineccepibile sotto il profilo tecnico”, costituit dalla cessazione della permanenza del reato associativo nel 2016, quando fu emessa la sentenza di primo grado, dato che tuttavia “stride dal punto di vista logico motivazionale con la legittimità di un concetto di attualità che è alla base della competenza del giudizio di prevenzione, laddove in realtà i fatti contestati nella associazione erano assai più risalenti nel tempo”.
È ravvisabile una carenza motivazionale anche in ordine alla valutazione della condotta tenuta in carcere dal prevenuto e dell’attività lavorativa ivi svolta; la frequentazione con COGNOME NOME e COGNOME NOME dopo la carcerazione non può essere ritenuta indicativa della prosecuzione di rapporti di natura criminale.
Il ricorso è inammissibile perché proposto con un motivo non consentito e comunque manifestamente infondato.
Nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 10, comma 3, decreto legislativo n. 159 del 2011, con una previsione che ha superato il vaglio di costituzionalità (Corte Cost., sentenza n. 106 del 15 aprile 2015).
Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, con il ricorso può essere denunciato soltanto il caso di motivazione inesistente o meramente apparente, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con
decreto motivato imposto al giudice d’appello (Sez. U, n. 33451 del 29/07/2014, COGNOME, Rv. 260246; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365).
Nel caso di specie il ricorrente ha espressamente censurato il vizio della motivazione del decreto impugnato, ritenuta erronea ed illogica.
La Corte territoriale ha svolto argomentazioni con le quali ha disatteso specificamente i motivi di appello, cosicché, evidentemente, si è al di fuori del caso di motivazione apparente o inesistente.
È comunque priva di fondamento la deduzione con la quale la difesa cerca di superare il dato obiettivo, risultante da una sentenza irrevocabile, circa l’appartenenza di COGNOME all’associazione mafiosa sino al 2016, con l’inammissibile rilievo secondo cui i fatti contestati “erano assai più risalenti nel tempo”.
I giudici di merito hanno anche ricordato che con tale pronuncia fu riconosciuto al prevenuto il ruolo di capo dell’associazione di RAGIONE_SOCIALEndrangheta operante a Rosarno: tale accertamento definitivo di responsabilità è una «condizione che, sul piano logico giuridico, costituisce una base più solida al fine di formulare un giudizio sulla pericolosità, proprio per la già accertata presenza di un vincolo tendenzialmente stabile che si proietta fisiologicamente verso il futuro» (così Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271512).
La Corte d’appello ha anche osservato che sono state segnalate condotte disciplinarmente rilevanti tenute dal ricorrente durante il periodo di detenzione e frequentazioni “pregiudizievoli” anche dopo la sua scarcerazione, elementi che incidono negativamente sul giudizio di persistente pericolosità sociale.
Il decreto impugnato, infine, ha anche evidenziato che NOME COGNOME si sottrasse all’esecuzione della pena, rendendosi latitante per oltre quattro anni, circostanza “indicativa di una vasta rete di appoggi da parte dei sodali e in definitiva dello stabile inserimento nella cosca”.
In proposito, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l’attualità della pericolosità sociale dei soggetti proposti alla misura di prevenzione può logicamente dedursi dalla loro latitanza di lunga durata, ritenuta possibile in conseguenza di una rete di appoggi riferibili a gruppi criminali organizzati ed efficienti, con i quali è razionale presumere che i latitanti siano in contatto (cfr Sez. 2, n. 33652 del 06/07/2023, COGNOME, Rv. 285187; Sez. 6, n. 42937 del 28/06/2018, COGNOME; Sez. 6, n. 43470 del 07/10/2015, COGNOME; Sez. 2, n. 33387 del 09/06/2005, COGNOME; Sez. 1, n. 3175 del 23/05/1995, COGNOME, Rv. 202145).
4. Alla inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15/05/2024.