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Pericolosità sociale: i criteri della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una donna sottoposta a sorveglianza speciale. La sua pericolosità sociale è stata confermata in quanto viveva abitualmente con i proventi di reati contro il patrimonio, commessi in modo seriale. La Corte ha ribadito che la valutazione deve basarsi su elementi di fatto che dimostrino un reddito illecito come fonte di sostentamento, non bastando il solo casellario giudiziario.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: Quando i Proventi da Reato Giustificano la Sorveglianza Speciale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23974/2025, torna a pronunciarsi su un tema cruciale nell’ambito delle misure di prevenzione: la definizione dei presupposti per la pericolosità sociale. Il caso in esame offre l’occasione per chiarire quali elementi debbano essere provati affinché una persona possa essere considerata dedita a vivere, anche solo in parte, con i proventi di attività illecite e, di conseguenza, essere sottoposta a sorveglianza speciale.

I Fatti del Caso

Il procedimento nasce dal ricorso presentato da una donna avverso il decreto della Corte di Appello che confermava la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per due anni. Tale misura era stata applicata dal Tribunale sulla base della sua ritenuta pericolosità sociale.

Secondo i giudici di merito, la donna era stabilmente dedita alla commissione di reati contro il patrimonio, posti in essere in maniera seriale e ininterrotta a partire dal 2019. Questa attività criminale era considerata la sua fonte principale di sostentamento. La difesa, invece, contestava la decisione, sostenendo una motivazione carente e una violazione di legge, in quanto i reati contestati avrebbero generato somme esigue, inidonee a costituire una vera fonte di sostentamento, e lamentando la mancanza di prove concrete sui mezzi di sostentamento della ricorrente.

La Valutazione della Pericolosità Sociale secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire i principi che regolano la materia, alla luce dell’importante intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 24 del 2019.

Il punto centrale è che il ricorso per cassazione nei procedimenti di prevenzione è ammesso solo per violazione di legge. Ciò significa che non è possibile contestare nel merito la valutazione dei fatti compiuta dai giudici, a meno che la motivazione del provvedimento non sia del tutto assente o meramente apparente. Nel caso specifico, la Corte di Appello aveva fornito una motivazione solida, ripercorrendo la carriera criminale della donna e dimostrando come le condotte delittuose, poste in essere ininterrottamente dal 2019 al 2023, fossero idonee a produrre un reddito illecito.

Le motivazioni

La Cassazione ha evidenziato come la Corte di Appello abbia correttamente applicato i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale. Per poter affermare che un soggetto vive con i proventi di attività delittuose, è necessario un “triplice requisito”, da provare sulla base di precisi elementi di fatto:

1. Delitti commessi abitualmente: Deve trattarsi di reati commessi in un arco temporale significativo, che dimostrino una continuità e non un’occasionalità.
2. Generazione effettiva di profitti: I reati devono aver concretamente prodotto un profitto economico per il soggetto.
3. Fonte di reddito unica o significativa: Tali profitti devono costituire l’unica fonte di reddito o, quantomeno, una componente significativa dello stesso.

Nel caso analizzato, i giudici di merito avevano accertato la sussistenza di tutti e tre i requisiti. Avevano analizzato la pluralità di reati e condanne, molte delle quali definitive, e avevano concluso che tale attività seriale costituiva un elemento concreto su cui fondare l’illazione che la donna vivesse abitualmente, almeno in parte, con i proventi di tali attività. La motivazione della Corte di Appello non è stata ritenuta né assente né apparente, ma fondata su un’analisi puntuale della carriera criminale della ricorrente, valutata non come semplice sommatoria di precedenti, ma come indicatore di uno stile di vita illecito.

Le conclusioni

La sentenza consolida un importante orientamento giurisprudenziale: per applicare una misura di prevenzione personale come la sorveglianza speciale per pericolosità sociale, non è sufficiente un curriculum criminale, per quanto lungo. È indispensabile che il giudice fornisca una motivazione concreta e specifica che colleghi l’attività delittuosa abituale alla generazione di un reddito, dimostrando che il soggetto trae sostentamento, in tutto o in parte significativa, da tale attività. La decisione della Cassazione riafferma la necessità di un accertamento rigoroso, ancorato a fatti oggettivi, per bilanciare le esigenze di prevenzione con la tutela dei diritti fondamentali della persona.

Quali sono i requisiti per dimostrare la pericolosità sociale di chi vive con proventi da reato?
Per dimostrare tale pericolosità sociale, la giurisprudenza richiede la prova di un “triplice requisito”: a) la commissione abituale di delitti in un arco temporale significativo; b) la generazione effettiva di profitti da tali delitti; c) il fatto che tali proventi costituiscano l’unica o una significativa componente del reddito del soggetto.

È possibile contestare la valutazione dei fatti del giudice in Cassazione in un procedimento di prevenzione?
Generalmente no. Il ricorso per cassazione nei procedimenti di prevenzione è ammesso solo per violazione di legge. Non si può chiedere alla Cassazione di rivalutare i fatti, a meno che la motivazione del provvedimento impugnato sia totalmente assente o solo apparente, cioè priva di una reale argomentazione logica.

Un lungo elenco di precedenti penali è sufficiente per applicare la sorveglianza speciale?
No, un elenco di precedenti non è di per sé sufficiente. Il giudice deve fornire una motivazione specifica che dimostri come la condotta criminale sia abituale e costituisca una stabile fonte di reddito illecito, configurando uno stile di vita basato sull’attività delittuosa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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