Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 12699 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 12699 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Eboli il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata a Battipaglia DATA_NASCITA‘DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata in Brasile il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Battipaglia il DATA_NASCITA
avverso il decreto emesso dalla Corte di appello di Salerno il 25/05/2023;
visti gli atti ed esaminati i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Salerno ha confermato il decreto con cui è stata disposta la confisca di prevenzione di alcuni immobili e di società riferibili a COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Per entrambi le persone indicate è stata ritenuta sussistente una pericolosità generica – ai sensi dell’art. 1, lett. b), d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159 – dal 2011 al 2021-, essere le stesse abitualmente dedite alla commissione di reati tributari.
Ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME articolando tre motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge quanto alla ritenuta pericolosità generica fatta derivare, da una parte, dal decreto di sequestro preventivo emesso nel procedimento penale n. 9673 del 2018 R.G.N.R., in cui peraltro sarebbe stata rigettata la richiesta di misura cautelare personale, e, dall’altra, dalla sentenza – emessa in altro procedimento (R.G.N.R. n. 15337 del 2013) – con cui è stata dichiarata la estinzione per prescrizione di altri reati.
Assume la ricorrente, richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, che per entrambi i procedimenti mancherebbe un accertamento in contraddittorio della responsabilità per i reati tributari posti a fondamento del giudizio di pericolosi sociale.
Dunque, una misura di prevenzione disposta sulla base dello stato di indiziata che, tuttavia, assumerebbe rilievo solo ai fini della prova della pericolosità specifica e no anche, come nel caso di specie, per quella generica.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge quanto alla ritenuta pericolosità generica.
La Corte avrebbe valorizzato gli elementi assunti nei due indicati procedimenti in assenza di contraddittorio; rispetto ad uno dei quali, come detto, vi era stato peraltro il rigetto della richiesta di misura cautelare personale e la emissione del solo tito cautelare reale.
Quanto alla valenza della sentenza dichiarativa della prescrizione, evidenzia la ricorrente come essa possa essere valorizzata nell’ambito del giudizio di prevenzione solo quando sopraggiunga dopo una sentenza accertativa della responsabilità e non anche quando, come nella specie, sia assente un pregresso accertamento: in tal senso il riferimento giurisprudenziale contenuto nel provvedimento impugnato sarebbe errato perché, appunto, nel caso richiamato, la prescrizione era stata dichiarata dopo una precedente sentenza di condanna.
Quanto al sequestro preventivo, il decreto impugnato sarebbe viziato per non avere la Corte considerato che quel titolo fu emesso nell’ambito di un procedimento poi trasferito a Taranto per ragioni di competenza e non confermato ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen.
Dunque, atti di indagini unilaterali e assenza di accertamento.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza della competenza territoriale, affermata sulla base del luogo di dimora della ricorrente.
Secondo la ricorrente, ai fini della individuazione della competenza territoriale, si dovrebbe avere riguardo – così come avrebbe chiarito la giurisprudenza- al luogo in cui si sarebbe manifestata la pericolosità sociale, che, nella specie, sarebbe Taranto.
Hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME articolando due motivi.
3.1. Con il primo si deduce violazione di legge quanto alla ritenuta pericolosità generica; il motivo è sostanzialmente sovrapponibile ai primi due del ricorso in precedenza esaminato.
Si aggiunge che nel presente procedimento non sarebbe stato “riversato” nessun atto di indagine proveniente dai due procedimenti penali ma solo la informativa della Guardia RAGIONE_SOCIALE che, tuttavia, conteneva unicamente l’elenco dei procedimenti penali pendenti a carico di NOME COGNOME.
Non sarebbe stato nemmeno allegato il decreto di sequestro preventivo e, si aggiunge, a COGNOME nel procedimento penale sarebbero stati contestati alcuni reati tributari commessi nella qualità di amministratore di fatto di una determinata società: anche sotto tale profilo, non sarebbe stata compiuto nessun accertamento quanto alla qualifica di amministratore di fatto.
3.2. Con il secondo motivo si deduce omessa e contraddittorietà della motivazione quanto al requisito della sproporzione in relazione ai due immobili di proprietà di COGNOME NOME e COGNOME NOME, rispettivamente figlio e compagna convivente del proposto.
Quanto all’immobile di COGNOME NOME, l’assunto accusatorio è che COGNOME NOME tra il 7 e 8 ottobre 2014 avrebbe versato sul proprio conto corrente 214.000 euro, poi prelevati per emettere vaglia postali utilizzati per il pagamento del prezzo di acquisto dell’immobile.
Sostengono i ricorrenti che sarebbe inverosimile che l’acquisto dell’immobile possa essere stato effettuato con sostanze illecite, tenuto conto che fino al 2014 a COGNOME NOME era stata contestata solo l’evasione dell’iva e delle accise relative all’anno 2013.
Né, si aggiunge, la Corte avrebbe considerato la prova a discarico, relativa alla documentazione delle somme lecite ricevute nell’ambito del rapporto di lavoro e della sua cessazione,
Quanto all’acquisto dell’immobile della COGNOME, avvenuto nel 2017 per la somma di 330.000 euro, il pagamento del prezzo sarebbe stato compiuto anche, per la somma di 59.999 euro, con vaglia postali emessi da NOME, persona ritenuta riferibile a COGNOME.
In tale contesto il ricorrente evidenzia, da una parte, l’inesistenza di dett collegamento e, dall’altra, la liceità dei fondi utilizzati dalla COGNOME COGNOME quanto deriv dalla vendita di un immobile nel 2017 per l’importo di 110.000 euro.
Non sarebbe fondato l’assunto della Corte secondo cui la vendita in questione sarebbe avvenuta dopo due mesi rispetto all’acquisto dell’immobile in sequestro, essendo in atti invece la prova che parte del prezzo dell’immobile venduto dalla COGNOME sarebbe stato corrisposto prima dell’acquisto del bene in sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono fondati.
E’ inammissibile il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, relativo alla competenza territoriale e che ha una valenza pregiudiziale.
Si tratta di un motivo non solo non specificamente dedotto in appello, ma del tutto generico, non essendo stato dedotto alcunchè.
Sono invece fondati i primi due motivi del ricorso proposto da COGNOME.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 2019 ha spiegato cosa debba essere accertato e come debbano essere intese le “fattispecie di pericolosità generica” -disciplinate dall’art. 1, numeri 1) e 2), della legge n. 1423 del 1956 e – oggi – dall’ 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 159 del 2011.
L’aggettivo «delittuoso», che compare sia nella lettera a) che nella lettera b) della disposizione, deve essere interpretato nel senso che l’attività del proposto debba caratterizzarsi in termini di “delitto” e non di un qualsiasi illecito (Corte di cassazio Sez. 1, n. 43826 del 19/04/ 2018; Sez. 2, n. 16348 del 23/03/2012), dovendosi escludere che «il mero status di evasore fiscale» sia sufficiente a fondare la misura, ben potendo l’evasione tributaria consistere anche in meri illeciti amministrativi (Sez. 5, n. 6067 del 6/12/2017, n. 6067; Sez. 6, n. 53003 del 21/09/2017).
Ha chiarito la Corte costituzionale, inoltre, che l’avverbio «abitualmente», che pure compare sia nella lettera a) che nella lettera b) della disposizione, deve essere letto nel senso di richiedere una «realizzazione di attività delittuose non episodica, ma almeno caratterizzante un significativo intervallo temporale della vita del proposto» (Cass., n. 31209 del 2015), in modo che si possa «attribuire al soggetto proposto una pluralità di condotte passate» (Sez. 1, n. 349 del 15/06/2017), talora richiedendosi che esse connotino «in modo significativo lo stile di vita del soggetto, che quindi si deve caratterizzare quale individuo che abbia consapevolmente scelto il crimine come pratica comune di vita per periodi adeguati o comunque significativi (Sez. 2, n. 11846 del 19/01/2018)».
Ha aggiunto la Corte che il termine «traffici» delittuosi, di cui alla lettera a) medesimo articolo, è stato in un caso definito come «qualsiasi attività delittuosa che comporti illeciti arricchimenti, anche senza ricorso a mezzi negoziali o fraudolenti » risultandovi così comprese anche attività «che si caratterizzano per la spoliazione, l’approfittamento o l’alterazione di un meccanismo negoziale o dei rapporti economici,
sociali o civili» (Cass., n. 11846 del 2018); in altra pronuncia, il termine è stato inve inteso come «commercio illecito di beni tanto materiali (in via meramente esemplificativa: di stupefacenti, di armi, di materiale pedopornografico, di denaro contraffatto, di beni con marchi o segni distintivi contraffatti, di documenti contraffat impiegabili a fini fiscali, di proventi di delitti in tutte le ipotesi di riciclaggio immateriali (di influenze illecite, di notizie riservate, di dati protetti dalla discip tema di privacy, etc.), o addirittura concernente esseri viventi (umani, con riferimento ai delitti di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizi concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), o di cui all’art. 600 cod. pen. e segg., ed animali, con riferimento alla normativa di tutel di particolari specie), nonché a condotte lato sensu negoziali ed intrinsecamente illecite (usura, corruzione), ma comunque evitando che essa si confonda con la mera nozione di delitto da cui sia derivato una qualche forma di provento» (Cass., n. 53003 del 2017).
Il riferimento ai «proventi» di attività delittuose, di cui alla lettera b) disposizione censurata, viene poi interpretato nel senso di richiedere la «realizzazione di attività delittuose che siano produttive di reddito illecito» e dalle qua scaturita un’effettiva derivazione di profitti illeciti (così ancora la Corte).
Quanto alle modalità di accertamento di detti requisiti di fattispecie, è consolidata l’affermazione secondo cui, se è vero che «il giudice della misura di prevenzione può ricostruire in via totalmente autonoma gli episodi storici in questione – anche in assenza di procedimento penale correlato – in virtù della assenza di pregiudizialità e della possibilità di azione autonoma di prevenzione» (Cass., n. 43826 del 2018), è altrettanto vero tuttavia che:
«non sono sufficienti meri indizi, perché la locuzione utilizzata va considerata volutamente diversa e più rigorosa di quella utilizzata dall’art. 4 del d.lgs. n. 159 de 2011 per l’individuazione delle categorie di cosiddetta pericolosità qualificata, dove si parla di “indiziati”»;
l’esistenza di una sentenza di proscioglimento nel merito per un determinato fatto impedisce, alla luce anche del disposto dell’art. 28, comma 1, lett. b), che esso possa essere assunto a fondamento della misura, salvo alcune ipotesi eccezionali;
occorre un pregresso accertamento in sede penale, che può discendere da una sentenza di condanna oppure da una sentenza di proscioglimento per prescrizione, amnistia o indulto che, tuttavia, contenga in motivazione un accertamento della sussistenza del fatto e della sua commissione da parte di quel soggetto (così, testualmente, Corte cost. sent. n. 24 del 2019).
In senso conforme ed esplicativo si pone la successiva giurisprudenza della Corte di cassazione, che in più occasioni ha affermato in modo condivisibile che il giudice della
prevenzione può ritenere la riconducibilità del proposto ad una delle categorie di pericolosità di cui agli artt. 1 e 4 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, anch indipendentemente dall’esistenza di sentenze di condanna che abbiano accertato la pregressa commissione di reati, a condizione tuttavia che la valutazione incidentale a tal fine compiuta non sia smentita da esiti assolutori di eventuali procedimenti penali, eccezion fatta per il caso in cui tali esiti siano dipesi dal riconoscimento di caus estintive; nondimeno detto giudice non può basare il suo accertamento su meri sospetti, ma è tenuto a prendere in considerazione fatti storicamente apprezzabili, l’efficacia dimostrativa dei quali deve essere più elevata in relazione alla pericolosità cd. generica, con la conseguenza che la riconduzione del proposto ad una delle categorie di questa non può essere fondata, ad esempio, su semplici informazioni contenute nelle banche dati in uso alle forze di polizia non accompagnate da aggiornamenti in ordine ai relativi sviluppi procedimentali.
In particolare, ciò che deve essere accertato è che siano delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che, pur ritenuti non sufficienti – nel me o per preclusioni processuali – per una condanna penale, ben possono tuttavia essere posti alla base di un giudizio di pericolosità (Sez. 2, n. 15704 del 25/01/2023, COGNOME Rv. 284485; Sez. 2, n. 33533 del 25/06/2021, Avorio, Rv. 281862; Sez. 1, n. 36080 del 11/09/2020, COGNOME, Rv. 280027).
6. È necessario perseguire in questa materia anfibia un punto di equilibrio tra legalità sostanziale e processuale.
Il procedimento di prevenzione si caratterizza, da una parte, per il diverso e inferiore standard probatorio necessario e sufficiente per disporre la confisca, attesa la natura giudica di questa e la sua non riconducibilità – secondo l’orientamento, allo stato, del tutto consolidato – alla “materia penale” e alla nozione di “pena”, e, dall’altra, per u statuto processuale obiettivamente “debole”, in cui l’alleggerimento degli oneri probatori del pubblico ministero si accompagna ad un più basso livello di garanzie fondamentali inerenti al diritto di difesa e ad un sindacato da parte della Corte di cassazione limitat alla sola violazione di legge.
Ciò rende necessaria, al fine di scongiurare il rischio di un’ablazione sganciata da criteri di adeguatezza e proporzionalità e di dubbia compatibilità con i princip costituzionali, una valutazione rigorosa e “di garanzia” della consistenza degli indizi, della loro connotazione strutturale, della loro capacità dimostrativa del “fatto” d provare e, soprattutto, della pericolosità sociale.
Una valutazione della piattaforma indiziaria che si faccia carico, quasi in funzione compensativa della struttura del procedimento e degli alleggerimenti probatori per il pubblico ministero, della necessità di spiegare in modo puntuale le ragioni per cui si
ritengono sussistenti i requisiti di legittimità della pericolosità sociale e, quindi, della ablazione.
Detta esigenza si impone soprattutto quando, come si dirà, il procedimento penale a carico del proposto non si concluda con una sentenza di condanna ovvero, comunque, con un accertamento dei fatti poi posti a fondamento della proposta di applicazione della misura di prevenzione.
La legalità delle misure di prevenzione “passa” dalla necessità che i “fatti” e i presupposti legittimanti il provvedimento ablatorio siano accertati lasciando alle spalle e abbandonando impalpabili sospetti, pseudo elementi indiziari, denunce non seguite da accertamenti investigativi, segnalazioni di polizia rimaste mute, dichiarazioni instabili d collaboratori di giustizia, rivoli inconsistenti di motivazioni di informative di po giudiziaria, elementi assunti in palese violazione di regole probatorie discendenti da principi costituzionali.
Una motivazione, quella del giudice della prevenzione, non solo non apparente e non assertiva, ma che espliciti in concreto perché l’ablazione non è adottata in violazione di legge e che dia conto della conformità delle conclusione cui si giunge rispetto al contenuto degli atti e delle argomentazioni difensive.
Un rigore che si giustifica, come detto, oltre che per le caratteristiche strutturali tale tipo di ablazione, per la esigenza primaria che essa si mantenga in linea con i principi della Costituzione – con i diritti di cui agli artt. 41-42 Cost.- e si riveli rispetto principio di proporzionalità: una confisca che, da una parte, come quella che si dispone all’esito del processo penale, ha tra i suoi presupposti la commissione di reati da parte del soggetto che ne è colpito, ma che, dall’altra, è disposta “al di fuori” dell’accertamento penale di detti reati e delle regole del processo e non richiede una sentenza di condanna.
Una via parallela alla regiudicanda penale che porta, con moduli accertativi meno garantiti, allo stesso risultato.
Ciò impone rigore argomentativo.
Una confisca che si distingue anche dalle ipotesi di c.d. confisca senza condanna, pure disciplinate dal diritto dell’Unione, e che si riferiscono essenzialmente alle ipotes in cui, essendo stato avviato un procedimento penale nei confronti di un soggetto, il processo non possa concludersi in ragione della morte, della malattia o della fuga dell’imputato, ma, nondimeno, i fatti sui quali la confisca si basa risultano accertati.
Il procedimento di prevenzione è autonomo ma non insensibile all’accertamento penale ed ai suoi esiti e tuttavia, tanto più il procedimento penale si conclude con un esito assolutorio o con una valutazione di inconsistenza dei fatti e della loro attribuibili soggettiva al proposto (che può sfociare anche in un provvedimento di archiviazione o in una sentenza dichiarativa della prescrizione che, tuttavia, non accerti alcunchè), quanto più il giudice della prevenzione è tenuto a provare “tutto” e ad accertare in modo più rigoroso i presupposti di legittimità della confisca.
Nel sistema della prevenzione, si è osservato in dottrina, l’avvio di un procedimento penale nei confronti del titolare del bene è un dato quasi accessorio, nel senso che la possibilità che nei riguardi del soggetto proposto si stiano svolgendo indagini o un processo penale, costituisce un fatto possibile o probabile, ma non necessario e neppure decisivo rispetto al procedimento parallelo che conduce alla confisca, che ha proprie regole di giudizio, propri moduli accertativi, coinvolge giudici diversi e può essere imperrntabile alle sorti di quello penale, ben potendo, come detto, la confisca di prevenzione essere disposta anche in caso di demolizione e di inconsistenza dalle accuse penali eventualmente formulate nei confronti del titolare dei beni.
E tuttavia, è stato evidenziato, il procedimento di prevenzione si distingue da quello penale non tanto per l’oggetto della prova quanto, piuttosto, per il modo con cui si accerta, per come, cioè, si deve “provare”.
Tanto il procedimento penale quanto quello di prevenzione hanno infatti ad oggetto sostanzialmente la prova di una pregressa attività criminosa del soggetto; nel processo di prevenzione, tuttavia, l’oggetto della prova è più generico, più lato, dovendo essere provata “solo” una “attività” criminosa compiuta nel passato della quale non è tuttavia necessario avere specifici riferimenti temporali e spaziali.
Ciò è consentito in ragione della natura giuridica della confisca di prevenzione, ma Kck ICZI deve essere compensato da okvalutazione accertativa che è tanto maggiore quanto più l’esito del procedimento penale è favorevole al proposto.
La Corte di appello di Salerno non ha fatto corretta applicazione di detti principi.
Il giudizio di pericolosità sociale c.d. generica è stato fatto discendere dall evocazione di due decreti di sequestro preventivo finalizzati alla confisca, per il primo dei quali la Corte si è limitata ad affermare che dalla informativa della Guardia di RAGIONE_SOCIALE emergeva che una data società per gli anni 2016- 2017 non aveva presentato nessuna dichiarazione relativa alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, e, per il secondo decreto, emesso in un procedimento per il quale era stata rigettata la richiesta di misura cautelare personale, che la società denominata “RAGIONE_SOCIALE“, riconducibile direttamente o indirettamente al proposto, aveva acquistato una quantità di prodotto petrolifero in misura di gran lunga maggiore a quella indicata nelle dichiarazioni annuali, e che, si assume, sarebbe stato poi rivenduto in totale evasione delle imposte dal 2013 al 2017.
In tale contesto si è poi dato atto che altri decreti di sequestro sarebbero stati emessi da altre Autorità giudiziarie, aggiungendo: a) quanto alla società “RAGIONE_SOCIALE“, che nessuna documentazione contabile era stata rinvenuta, per essere stata essa persa a causa di un furto, verosimilmente non veritiero, e che di detta società amministratore di fatto sarebbe stato COGNOME NOME; b) che gli accertamenti bancari e della Guardia di RAGIONE_SOCIALE avevano consentito di riscontrare “l’ipotesi di vendita in nero”.
A fronte della inesistenza di una sentenza di condanna ovvero anche solo di provvedimenti cautelari personali stabilizzati e relativi alla sussistenza dei fatti, si t di un accertamento sincopato e sostanzialmente fondato su provvedimenti di sequestro, solo genericamente richiamati, da cui non è dato comprendere: a) il contenuto specifico degli accertamenti posti a fondamento del giudizio di pericolosità, soltanto genericamente evocati (cfr., pag. 13- 14 decreto impugnato); b) il contenuto delle “prove” poste a fondamento del giudizio di pericolosità; c) la oggettività di quei fatti soprattutto, gli esiti di quei procedimenti nel cui ambito furono emessi quei decreti di sequestro preventivo; d) se quei decreti di sequestro furono impugnati, e, posto che lo furono, se furono confermati; e) le ragioni per cui COGNOME NOME sarebbe stato amministratore di fatto della società “RAGIONE_SOCIALE“; f) il senso e la portata dell ricostruzione “analitica reddituale” operata dalla Guardia di RAGIONE_SOCIALE.
Un provvedimento, quello impugnato, che, in assenza di un accertamento dei fatti per cui si procede nell’ambito di un procedimento penale, avrebbe dovuto spiegare “tutto” e che, invece, si è limitato a richiamare genericamente il contenuto di atti indagine trasfusi in provvedimenti di sequestro di cui non è dato sapere alcunchè in relazione, come chiarito dalla Corte costituzionale, alla oggettiva sussistenza del fatto e alla sua commissione da parte dei soggetti per i quali si procede.
Ne deriva che il decreto impugnato deve essere annullato; la Corte di appello applicherà i principi indicati e spiegherà se e in che termini sia possibile emettere un giudizio di pericolosità sociale generica nei riguardi dei proposti.
I residui motivi sono assorbiti.
P. Q. M.
Annulla il decreto impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma, 1’8 novembre 2023.