Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2877 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2877 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, nella persona del sostituto procuratore NOME COGNOME, che ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 06 giugno 2023 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME contro l’ordinanza emessa in data 27 febbraio 2023 con cui il magistrato di sorveglianza di Roma gli ha applicato la misura di sicurezza dell’espulsione dallo Stato con riferimento al cumulo di pena disposto dalla Procura della Repubblica di Velletri, comportante una condanna cumulativa a sette anni e dieci mesi di reclusione.
Il magistrato di sorveglianza aveva rilevato che il COGNOME era privo di un titolo di soggiorno, tanto da essere stato espulso in Albania con provvedimento amministrativo, non svolgeva alcuna attività lavorativa lecita o meno, aveva riportato condanne per gravi reati contro il patrimonio e segnalazioni di polizia per reati di detenzione o cessione di sostanze stupefacenti. Il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto, pertanto, adeguatamente motivato l’ordine di espulsione per la pericolosità del soggetto, avendo questi, nel reclamo, solo menzioNOME la disponibilità di uno zio ad ospitarlo e una disponibilità lavorativa presso un supermercato, elementi inidonei a dimostrare il possesso di una concreta possibilità di lavoro e di una rete familiare di sostegno.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo, con il quale deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen., in relazione all’accertamento della pericolosità.
Il provvedimento impugNOME fonda la valutazione di pericolosità del ricorrente sulla sua presenza irregolare nello Stato, l’assenza di un radicamento sul territorio e la mancanza di lecite forme di sostentamento.
La mancanza del permesso di soggiorno non costituisce, invece, un indice di pericolosità sociale, perché è dovuta alla sua carcerazione e non ad una scelta volontaria. Egli è stato arrestato ed ha iniziato la detenzione prima che decorressero i novanta giorni di permanenza in Italia previsti per chiedere tale permesso, ed è stato poi impedito ad ottenerlo a causa dello stato di detenzione. L’ordinanza non ha motivato in che modo la mera presenza irregolare possa dimostrare la sua pericolosità, avendo egli tenuto una condotta carceraria corretta ed avendo seguito un percorso intramurario di professionalizzazione.
Il radicamento sul territorio è dimostrato dalla dichiarata disponibilità di uno zio ad ospitarlo in un alloggio di sua proprietà.
Il possesso di lecite forme di sostentamento è reso difficile dalla condizione di ex-detenuto, ma egli ha dimostrato la propria volontà di procurarsi un lavoro venendo assunto da una ditta sin dal dicembre 2021, e quindi subito dopo il
rientro in Albania. Egli, inoltre, ha depositato una dichiarazione di disponibilità all’assunzione da parte di un supermercato in Italia, da lui non firmata per accettazione solo perché ormai espulso dal Questore.
Infine, le informazioni di polizia acquisite fanno riferimento solo alla condotta tenuta prima della detenzione, mentre il Tribunale avrebbe dovuto valutare anche il periodo trascorso in carcere e il periodo successivo, al fine di verificare l’attualità della sua pericolosità sociale
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è meramente ripetitivo del reclamo proposto davanti al Tribunale di sorveglianza, oltre che manifestamente infondato, e deve essere dichiarato inammissibile.
L’ordinanza impugnata ha respinto la richiesta di revocare il provvedimento applicativo dell’espulsione dallo Stato, quale misura di sicurezza, ribadendo la sussistenza della pericolosità sociale del ricorrente sotto plurimi profili, già esaminati e ritenuti rilevanti dal magistrato di sorveglianza. Il ricorrente censura l’ordinanza senza negare la sussistenza di tali elementi, ritenuti dimostrativi della sua pericolosità, ma solo chiedendo una loro diversa valutazione.
1.1. Non viene negato, infatti, che egli sia stato sempre privo del permesso di soggiorno, al punto da essere stato espulso dallo Stato in via amministrativa. Il ricorrente stesso cita la giurisprudenza di legittimità, secondo cui tale circostanza non può fondare una prognosi sfavorevole circa la possibilità di commettere nuovi reati, se non quando da essa consegua l’impossibilità di procurarsi lecitamente i mezzi di sussistenza. Il Tribunale, riportandosi alla motivazione del magistrato di sorveglianza, ha evidenziato la sussistenza di tale ultima problematica, ribadendo l’assenza di una concreta possibilità di lavoro; il magistrato di sorveglianza aveva anche sottolineato, citando una nota della questura di Roma datata 11/01/2023, che il ricorrente non risulta avere mai svolto alcuna attività lavorativa in Italia, neppure irregolare, legittimando così il sospetto che la sua unica fonte di sostentamento siano stati i proventi di attività illecite, dal momento che egli è stato condanNOME per gravi delitti contro il patrimonio, ed ha precedenti di polizia per il delitto di cessione o detenzione illecita di sostanze stupefacenti. Il ricorrente non si confronta con questa motivazione, limitandosi a ripetere, quanto alla proprie fonti di sostentamento, di avere ricevuto, mentre era detenuto, un’offerta di lavoro presso un
supermercato, da lui non potuta accettare essendo stato, poco dopo, espulso dall’Italia, e di avere svolto attività lavorativa in Albania, appena giunto lì a seguito dell’espulsione. Tali sue osservazioni sono irrilevanti, in quanto non contrastano l’affermazione dei giudici circa il non avere egli mai svolto in Italia alcuna attività lecita, affermazione che giustifica la valutazione di pericolosità sociale.
1.2. Il ricorrente non nega neppure, di fatto, l’assenza di radicamento sul territorio italiano. Egli si limita a ripetere di avere ottenuto la disponibilità di un zio ad ospitarlo, senza precisare neppure la capacità e l’intenzione di questi di offrirgli un permanente mantenimento, ma egli non risulta avere mai convissuto con detta persona, e non risulta avere altri legami familiari. La valutazione, ribadita nell’ordinanza impugnata, dell’assenza di una rete familiare di supporto, è quindi logica e fondata su elementi concreti, e correttamente tale situazione è stata ritenuta confermativa dell’impossibilità di formulare una prognosi favorevole, circa la capacità del ricorrente di astenersi dal commettere altri delitti, e quindi della sua pericolosità sociale.
1.3. Il ricorrente, infine, non si confronta con l’affermazione del Tribunale di sorveglianza circa la rilevanza dei suoi precedenti penali e di polizia per valutare la sua pericolosità sociale, in quanto sostiene che essi non consentono di attualizzare tale valutazione. Al contrario, la gravità dei delitti per i quali è stato condanNOME, e la sussistenza di precedenti di polizia per altri delitti diversi, ma altrettanto gravi, dimostra la sua rilevante inclinazione a delinquere e la sua propensione a mantenersi commettendo delitti di vario genere, motivati da un fine di lucro, elemento sul quale l’ordinanza impugnata fonda legittimamente la valutazione della sussistenza di tale pericolosità. Il ricorrente afferma che la valutazione di pericolosità dovrebbe fondarsi, invece, sul buon comportamento tenuto durante la detenzione e dopo di essa, ma la buona condotta carceraria, priva di sperimentazioni all’esterno, non è sufficiente per ritenere che sia intervenuto un radicale mutamento dello stile di vita, e l’intervenuta espulsione amministrativa ha impedito di verificare quale sia stata la condotta del ricorrente dopo il periodo di detenzione carceraria.
Il ricorso, quindi non si confronta, con la ratio decidendí dell’ordinanza impugnata, in particolare nella parte in cui essa fonda la valutazione della pericolosità sociale del ricorrente anche sulla gravità dei delitti da lui commessi, così conformandosi ai principi di questa Corte, secondo cui il giudizio della pericolosità deve essere effettuato sulla scorta dei parametri valutativi di cui all’art. 133 cod. pen., tenendo conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo (v. Sez. 2, n. 14704 del 22/04/2020, Rv. 279408).
Esso, inoltre, ripropone i motivi già esposti nel reclamo richiedendo, di fatto, a questa Corte una diversa valutazione degli elementi dai quali il Tribunale di sorveglianza ha desunto la sua pericolosità sociale. Deve invece ribadirsi che esula dai poteri di questa Corte, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugNOME, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’iter argonnentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione (v. Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Rv. 216260, e le molte pronunce successive).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. GLYPH Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente