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Pericolosità sociale: espulsione e onere della prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino straniero contro la misura di sicurezza dell’espulsione. La valutazione della pericolosità sociale, secondo la Corte, si basa su una pluralità di elementi concreti come gravi precedenti penali, assenza di lavoro lecito e mancanza di radicamento sociale, elementi che non possono essere superati dalla sola buona condotta carceraria o da generiche promesse di ospitalità e lavoro.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: Quando Giustifica l’Espulsione dallo Stato?

L’analisi della pericolosità sociale è un tema centrale nel diritto penale, soprattutto quando determina l’applicazione di misure di sicurezza come l’espulsione di un cittadino straniero. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i criteri rigorosi per tale valutazione, chiarendo come elementi quali la buona condotta carceraria o generiche offerte di lavoro non siano sufficienti a contrastare un giudizio fondato su concreti indici di pericolosità. Questo caso offre uno spaccato dettagliato su come i giudici bilanciano la storia personale e criminale di un individuo con le sue prospettive di reinserimento.

I Fatti del Caso

Un cittadino straniero, condannato a una pena complessiva di sette anni e dieci mesi di reclusione per gravi reati contro il patrimonio e con precedenti per stupefacenti, si vedeva applicare dal Magistrato di Sorveglianza la misura di sicurezza dell’espulsione dallo Stato. Il provvedimento si basava sulla sua conclamata pericolosità sociale, desunta dalla mancanza di un titolo di soggiorno, dall’assenza di un’attività lavorativa lecita e dalla gravità dei reati commessi.

L’interessato presentava reclamo al Tribunale di Sorveglianza, sostenendo di avere la disponibilità di un alloggio presso uno zio e un’offerta di lavoro presso un supermercato. Il Tribunale, tuttavia, rigettava il reclamo, ritenendo tali elementi inidonei a dimostrare una concreta possibilità di lavoro e una solida rete familiare di supporto.

Contro questa decisione, l’uomo proponeva ricorso in Cassazione, lamentando un’errata valutazione della sua pericolosità. A suo dire, la mancanza del permesso di soggiorno era una conseguenza della detenzione e non di una scelta volontaria. Inoltre, evidenziava la sua buona condotta in carcere e un percorso di professionalizzazione intramurario, elementi che, a suo avviso, avrebbero dovuto essere considerati per attestare un’attenuazione della sua pericolosità.

La Decisione della Cassazione e la Valutazione della Pericolosità Sociale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, considerandolo meramente ripetitivo delle argomentazioni già presentate e respinte in sede di reclamo, oltre che manifestamente infondato. La Corte ha sottolineato che il ricorrente non aveva mosso censure specifiche alla logicità della motivazione del Tribunale, ma si era limitato a richiedere una nuova e diversa valutazione dei fatti, attività preclusa al giudice di legittimità.

La Suprema Corte ha confermato la correttezza del ragionamento del Tribunale di Sorveglianza, che aveva basato il suo giudizio su una pluralità di elementi convergenti nel delineare un profilo di attuale pericolosità sociale.

Le Motivazioni: Pluralità di Indici per la Pericolosità Sociale

La sentenza si fonda su principi consolidati, evidenziando come la valutazione della pericolosità non possa basarsi su singoli aspetti isolati, ma debba scaturire da un’analisi complessiva della personalità e della storia del soggetto. I punti chiave della motivazione sono i seguenti:

1. Irrilevanza della Sola Buona Condotta Carceraria: La Corte chiarisce che il buon comportamento tenuto durante la detenzione, specialmente se non accompagnato da esperienze all’esterno (come permessi premio o lavoro esterno), non è di per sé sufficiente a dimostrare un reale cambiamento dello stile di vita e una diminuita propensione a delinquere. È un elemento positivo, ma non decisivo.

2. Assenza di Radicamento Sociale e Lavorativo: Il Tribunale aveva correttamente evidenziato che la mancanza di un lavoro lecito in Italia, unita alla presenza irregolare, legittimava il sospetto che l’unica fonte di sostentamento del soggetto provenisse da attività illecite. La disponibilità di uno zio ad ospitarlo e un’offerta di lavoro non firmata sono state ritenute troppo vaghe e non idonee a costituire una solida rete di supporto capace di favorire un percorso di legalità.

3. Gravità dei Precedenti Penali: La Corte ribadisce che, ai sensi dell’art. 133 del codice penale, la gravità dei reati per cui è intervenuta condanna è un fattore primario nella valutazione. Nel caso di specie, i gravi delitti contro il patrimonio e i precedenti per droga dimostravano una spiccata inclinazione a delinquere, motivata da un fine di lucro, che fondava legittimamente il giudizio di pericolosità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La pronuncia riafferma un principio fondamentale: il giudizio sulla pericolosità sociale è un’analisi complessa e fattuale, riservata al giudice di merito. Per contrastare tale valutazione, non basta addurre elementi generici o isolati, come una promessa di lavoro o un comportamento corretto in ambiente protetto come il carcere. È necessario, invece, fornire prove concrete e specifiche che dimostrino un effettivo e radicale mutamento dello stile di vita e l’esistenza di una rete di supporto reale e stabile. La Corte di Cassazione, in sede di legittimità, si limita a verificare la coerenza e la logicità del ragionamento del giudice, senza poter entrare nel merito della scelta effettuata. Questa sentenza serve quindi da monito sull’onere probatorio che grava su chi intende dimostrare il superamento della propria pericolosità ai fini dell’applicazione di una misura di sicurezza.

La buona condotta in carcere è sufficiente a escludere la pericolosità sociale di un individuo?
No. Secondo la Corte, la buona condotta carceraria, se non accompagnata da sperimentazioni all’esterno, non è di per sé sufficiente a dimostrare un radicale mutamento dello stile di vita e a superare un giudizio di pericolosità basato su altri elementi concreti.

Come viene valutata la pericolosità sociale per applicare la misura di sicurezza dell’espulsione?
La valutazione si basa su un’analisi complessiva di più fattori, tra cui la gravità dei reati commessi, la presenza di precedenti penali e di polizia, l’assenza di un’attività lavorativa lecita, la mancanza di un permesso di soggiorno e l’assenza di una solida e concreta rete familiare e sociale di supporto.

Un’offerta di lavoro o la disponibilità di un parente possono impedire l’espulsione?
Non necessariamente. Nel caso esaminato, questi elementi sono stati ritenuti inidonei perché non dimostravano il possesso di una concreta possibilità di lavoro né di una rete familiare di sostegno stabile e permanente, capace di contrastare la propensione a commettere nuovi reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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