Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22622 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22622 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Reggio Calabria il DATA_NASCITA;
avverso la ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria del 23/01/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
letta la memoria del difensore AVV_NOTAIO, la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
n
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria ha respinto l’appello proposto, ai sensi dell’art.680 cod. proc. pen., da NOME COGNOME avverso quella emessa dal Magistrato di sorveglianza della stessa città in data 9 novembre 2023, con la quale era stata disposta nei suoi confronti la misura di sicurezza della libertà vigilata (ordinata con la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 27 febbraio 2016, irrevocabile il 3 luglio 2018) per la durata di anni uno e mesi sei.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico ed articolato motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. pe insistendo per l’annullamento del provvedimento impugnato.
In particolare il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., il vizio di motivazione rispetto alla ritenuta sussistenza della sua persistente pericolosità sociale non essendo stati indicati gli elementi in forza dei quali è stato confermato tale giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Anzitutto va ricordato che, ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza, occorre verificare la persistenza della pericolosità sociale del condannato, tenendo conto non solo della gravità dei fatti-reato commessi, ma anche dei fatti successivi e del comportamento tenuto dal condannato durante e dopo l’espiazione della pena (Sez. 1, Sentenza n. 1027 del 31/10/2018, dep. 2019, Rv. 274790 – 01).
Ciò posto, si osserva che la misura di sicurezza in oggetto era stata ordinata (per la durata di quattro anni) con la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria sopra indicata, con la quale NOME COGNOME era stato riconosciuto responsabile del reato di cui all’art.416-bis cod. pen. e condannato alla pena di anni dodici di reclusione, in quanto considerato promotore ed organizzatore di una associazione di stampo mafioso, riconducibile alle famiglie COGNOME e COGNOME, per fatti contestati dal 2001 al 2011.
3.1. Orbene, l’ordinanza impugnata sfugge alle censure mosse dal ricorrente poiché – con motivazione adeguata ed esente da vizi logici – ha confermato il giudizio di attuale pericolosità sociale alla luce dei numerosi e gravi precedenti
penali di NOME COGNOME, del grave reato per il quale era stata ordinata la libertà vigilata (associazione di stampo mafioso, nell’ambito della quale egli aveva rivestito il ruolo di promotore), della mancanza di una attività lavorativa, della sua permanenza nel medesimo territorio dove erano stati commessi i reati e per l’assenza – come riferito dall’UEPE – di segni di riflessione critica rispetto alle pregresse scelte devianti.
3.2. Sulla base di tali elementi complessivamente considerati il Tribunale di sorveglianza, senza incorrere in vizi logici, ha escluso che la pericolosità sociale fosse venuta meno dando rilievo, al riguardo, anche al fatto che il condannato era stato scarcerato da non molto tempo e che, pertanto, era necessario un adeguato periodo di osservazione delle sue condotte nel corso della misura di sicurezza prima di potere eventualmente dichiarare cessata la sua pericolosità.
Rispetto a tale compiuto ragionamento svolto dal Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria il ricorrente – pur lamentando il vizio di motivazione – sollecita a questa Corte una differente (come tale inammissibile) valutazione degli elementi processuali rispetto a quella coerentemente effettuata dal giudice a quo.
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 29 aprile 2024.