Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 32535 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 32535 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME nato a Roma il DATA_NASCITA; COGNOME NOME nata a Gorga il DATA_NASCITA; COGNOME NOME nato a Roma DATA_NASCITA;
avverso il decreto del 28 novembre 2024 della Corte d’appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la memoria depositata dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio del decreto impugnato.
RITENUTO IN FATTO
1. La vicenda processuale trova la sua genesi nel decreto, del 19 giugno 2023, con il quale il Tribunale di Roma, ritenendo NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME soggetti pericolosi ai sensi dell’art. 4, lett. b) e c) (in relazione all’ar comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, disponeva la confisca: a) della totalità delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE e di tutto il suo patrimonio; b) de totalità delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE e l’intero suo patrimoni c) dei beni immobili, mobili registrati, rapporti bancari attivi, depositi titoli di genere, cassette di sicurezza, polizze, intestati alla COGNOME e a NOME COGNOME; e) dell’intero complesso aziendale e patrimoniale di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE, in quanto società partecipata per l’intero da NOME e NOME COGNOME.
Tutti beni che, secondo la prospettazione accusatoria, non solo risultavano essere di valore sproporzionato al reddito dichiarato, ma erano essi stessi frutto di attività illecite (di cui costituivano il reimpiego), i cui proventi (delit sarebbero stati reinvestiti nella stessa società che li produceva (la RAGIONE_SOCIALE), generando ulteriore illecita ricchezza, poi fatta confluire, con atto di “scissione” societaria, nella RAGIONE_SOCIALE, società facente capo, anche questa, alla stessa compagine societaria.
A riscontro della ricostruzione offerta, venivano indicate le plurime condotte illecite ascritte ai proposti:
nel procedimento penale n. 44561/17 RGPM, definito con la condanna intervenuta nel 2020 per il delitto di traffico illecito continuato di rifiuti, gest di rifiuti non autorizzata, realizzazione di una discarica non autorizzata e inquinamento ambientale, e 12-quinquies comma 1, d.l. n. 306 del 1992 (oggi 512-bis cod. pen.);
b) nel procedimento penale n. 5258/20 RGPM, che, per quanto definito con sentenza di assoluzione (intervenuta successivamente al decreto di sequestro), darebbe comunque conto dell’illiceità delle condotte ascritte (di gestione illecita di rifiuti).
c) nel procedimento n. 4092/2018 RGPM, per il delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen., per diverse condotte di appropriazione indebita di somme della RAGIONE_SOCIALE e per connessi reati tributari e finanziari.
E alla luce di tali plurimi elementi probatori, il Tribunale fondava un giudizio di pericolosità sociale dei proposti, qualificata dalla natura dei reati loro ascritti essa stessa, contenente, in sé, quella “generica” di cui alla lettera b) dell’art. 1 d.lgs. n. 159 del 2011, in ragione degli ingenti profitti derivanti dalla consumazione di tali reati; perimetrava, così, la pericolosità dei proposti tra la data in cu
NOME aveva iniziato ad operare e il successivo sequestro penale dell’azienda (eseguito il 1° agosto 2018).
Investita delle impugnazioni formulate nell’interesse dei proposti, la Corte di appello di Roma ribadiva il giudizio di pericolosità operato dal Tribunale e confermava l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale.
Avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello, ricorrono per cassazione i tre proposti, formulando, a mezzo di un unico comune ricorso, due motivi d’impugnazione.
3.1. Il primo, afferente alla ritenuta pericolosità qualificata, deduce violazione dell’art. 4 d. Igs. n. 159 del 2011 e si articola in tre distinte censur connesse tra loro: a) la dedotta mancanza di un effettivo impianto argomentativo, nella parte in cui la Corte d’appello si sarebbe limitata ad aderire alle determinazioni del Tribunale, ripercorrendo il relativo impianto motivazionale ed interponendo telegrafiche espressioni, inespressive di un autonomo percorso giustificativo che desse conto delle plurime doglianze difensive quanto, in particolare, dell’imponente documentazione offerta nel corso del giudizio, rappresentativa dell’intero iter autorizzativo alla gestione dei rifiuti da parte de RAGIONE_SOCIALE e della relativa iscrizione all’RAGIONE_SOCIALE (in sé significativa dell’assoluta infondatezza dell’assunto accusatorio); b) la ritenuta oggettiva incoerenza tra l’accertata esistenza – nel giudizio di merito dell’autorizzazione alla gestione dei rifiuti e l’assenza ritenuta nel giudizio prevenzione, che, illogicamente, avrebbe valorizzato un mero refuso (riconosciuto come tale dalla stessa amministrazione) contenuto nell’autorizzazione rilasciata nel 2017 (mancante dell’indicazione di una categoria di rifiuti); c) la ritenuta sovrapponibilità tra i fatti contestati nel giudizio poi conclusosi con esi assolutorio e quelli oggetto del giudizio definito con sentenza di condanna, al netto di un minimo segmento fattuale rappresentato da sei trasporti presso una discarica abusiva, peraltro effettuati da un dipendente infedele e comunque in sé inidonei a fondare un giudizio di pericolosità qualificata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.2. Il secondo motivo, afferente alla ritenuta pericolosità generica, deduce violazione dell’art. 1, lett. b) e 24 d.lgs. n. 159 del 2011 nella parte in cui la Co d’appello:
nel ritenere la disponibilità, in capo ai proposti, di beni sproporzionati redditi percepiti, non avrebbe considerato che l’appropriazione (specificamente derivante, secondo la prospettazione accusatoria, dai prelevamenti effettuati dai conti societari), non sarebbe mai stata oggetto di alcun procedimento penale e troverebbe la sua giustificazione nel connesso acquisto di materiale ferroso da
soggetti privati e ambulanti non iscritti all’RAGIONE_SOCIALE (ritenuto illecito dalla Co territoriale in ragione di un’errata interpretazione della normativa di riferimento);
nel ritenere l’intestazione fittizia, non avrebbe valutato l’assolut trasparenza dell’operazione di scissione societaria (tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) e la conservazione della medesima partecipazione societaria, senza introduzione di partecipazioni esterne.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati nei limiti di quanto di seguito indicato.
Indeducibile è la prima censura (afferente, per come si è detto, alla dedotta inesistenza di un compiuto impianto motivazionale).
2.1. L’assunto dal quale parte la difesa è corretto. Com’è noto, infatti, rientrano nella nozione di «violazione di legge» (vizio rilevabile in questa sede ai sensi dell’art. 10 comma 3, d. Igs. n. 159 del 2011), oltre agli errores in iudicando o in procedendo, anche quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argonnentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, tali da rendere l’impianto argonnentativo offerto inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice, ossia, in altri termini, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente (Sez. U., n. 5876 del 28 gennaio 2004, COGNOME, Rv. 226712).
Ebbene, a prescindere dall’ipotesi di “mancanza assoluta di motivazione” (riconducibile ai casi di mancanza grafica o di sentenza illeggibile), l’ipotesi pi frequente è quella della motivazione apparente, nella quale «manca del tutto la trama argomentativa, sia in ordine agli elementi di fatto, sia in ordine alla loro concatenazione logica», sicché «c’è un’asserzione, ma manca l’argomentazione». Ed è questo il caso della mera pedissequa riproduzione della formulazione della norma di riferimento (senza alcuna personalizzazione dello stampato da parte del giudice), della mera esposizione di materiale probatorio acquisito (apoditticamente definito come “autoevidente”, senza alcuna argomentazione valutativa di esso) o, come nell’ipotesi prospettata dalla difesa, della motivazione del giudice di appello che, a fronte di una specifica contestazione contenuta nei motivi, si limiti ad affermare che le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado sono condivisibili, senza nemmeno indicare i passaggi motivazionali della medesima sentenza che possano confutare le censure proposte, omettendo il vaglio critico delle risultanze e l’illustrazione della ritenuta riconducibilità del fatto c
ricostruito alla fattispecie GLYPH contestata; tutti casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata è soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente, in quanto non permette, a fronte delle censure prospettate, di comprendere l’iter logico seguito che ha condotto il giudice (dell’impugnazione) a superare le censure prospettate.
2.2. Ma tanto, in concreto, non è. Come correttamente evidenziato dal AVV_NOTAIO generale, l’inserimento, nel percorso argomentativo, di espressioni proprie interposte tra i passi motivazionali del decreto emesso dal Tribunale o la specifica indicazione dei passaggi motivazionali della medesima sentenza relativa alle censure proposte, lungi dal rappresentare un’acritica adesione alle argomentazioni offerte in primo grado, dimostrano una presa in considerazione concreta delle censure difensive (seppur con adesione alle conclusioni del primo giudice). E ciò, in relazione a tutti i singoli profili evidenziati dalla difesa: si riferimento alla scansione procedimentale e al rilascio delle relative autorizzazioni, sia con riferimento alla deposizione del teste COGNOME e al riconoscimento dell’errore nel rilascio dell’autorizzazione, sia, in ultimo, con riferimento alla valutazione dell giustificazioni dei prelevamenti di denaro effettuati dai proposti. Sicché, la deduzione difensiva, lungi dal sostanziare una carenza motivazionale (legittimante, in termini di violazione di legge, il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti relativi alle misure di prevenzione: Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 269119), si risolve nella prospettazione di un vizio motivazionale, inammissibile in questa sede, in quanto preclusa dall’esplicito disposto di cui all’art. 10, comma 3, d. Igs. n. 159 del 2011.
3. Corretta, invece, è la deduzione offerta con la seconda censura.
3.1. Il giudizio di pericolosità espresso in sede di prevenzione, com’è noto, va scisso – nelle sue componenti logiche – in una prima fase di tipo “constatativo”, rapportata alla importazione di dati cognitivi idonei a rappresentare l’avvenuta condotta contraria alle ordinarie regole di convivenza tenuta – in passato – dal soggetto proposto, cui si unisce una seconda fase di tipo essenzialmente prognostico, per sua natura alimentata dai risultati della prima, tesa a qualificare come “probabile” il ripetersi di condotte antisociali, inquadrate nelle categorie criminologiche di riferimento previste dalla legge (Sez. 1, n. 23641 del 11/02/2014, Mondini, Rv. 260103, in motivazione).
Il soggetto coinvolto in un procedimento di prevenzione, in altre parole, non viene ritenuto “colpevole” o “non colpevole” in ordine alla realizzazione di un fatto specifico, ma viene ritenuto “pericoloso” o “non pericoloso” in rapporto al suo precedente agire (per come ricostruito attraverso le diverse fonti di conoscenza) elevato ad “indice rivelatore” della possibilità di compiere future condotte
perturbatrici dell’ordine sociale costituzionale o dell’ordine economico e ciò in rapporto all’esistenza delle citate disposizioni di legge che “qualificano” le diverse categorie di pericolosità (Corte Costituzionale, sentenza n. 49 del 2015).
Ciò considerato, nella fase ricostruttiva del giudizio di pericolosità (alimentata clan.; CAM,50,erabar±e di “fatti” storicamente apprezzabili e costituenti a loro volta “indicatori” della possibilità di iscrivere il soggetto proposto in una delle categori criminologiche previste dalla legge), il giudice della prevenzione può (e deve) valutare ogni elemento fattuale idoneo a fondare il successivo giudizio prognostico, in quanto rappresentativo dell’avvenuta condotta contraria alle ordinarie regole di convivenza; a prescindere dall’esistenza o meno di un parallelo accertamento giudiziale (di cognizione).
In questi termini, quindi, il giudice della prevenzione ben può autonomamente ricostruire la rilevanza anche dei fatti oggetto di un separato procedimento penale, anche ove in quella sede non si sia ancora giunti ad una sentenza di condanna e anche ove sia stata pronunciata una sentenza di proscioglimento, purché il fatto risulti delineato con sufficiente chiarezza o sia comunque ricavabile in via autonoma dagli atti.
E, in questo giudizio, proprio in ragione dell’autonomia del procedimento di prevenzione, il giudice non può esaurire il proprio compito col richiamare sic et simpliciter eventuali provvedimenti coercitivi emessi in sede penale o l’ordinanza di rinvio a giudizio o sentenze di assoluzione per insufficienza di prove ovvero anche di condanna non definitive (tutte fonti astrattamente utilizzabili nel giudizio di pericolosità), ma ha l’obbligo di procedere ad una valutazione autonoma di tali elementi probatori, pur se tratti da procedimenti penali in corso o definiti, sia specificando gli elementi concretamente considerati, sia spiegando le ragioni della loro valenza per una prognosi di pericolosità sociale, comune o qualificata (Sez. 1, n. 1701 del 12/06/1990, COGNOME, Rv. 184950).
A tal fine, per come si è detto, non è necessario che il fatto sia stato accertato, con una sentenza di condanna; è ben possibile, per il giudice della prevenzione, utilizzare elementi probatori e indiziali, di minore efficacia (come, ad esempio, le chiamate in correità o in reità, che nel procedimento di prevenzione non richiedono necessariamente riscontri individualizzanti, – in esso non applicandosi l’art. 192 cod. proc. pen.: Sez. 1 n. 20160 del 29/04/2011, Bagalà, 250278 – e anche se risultate inidonee a fornire la prova della responsabilità penale, purché non palesemente inattendibili o smentite da elementi contrari: Sez. 1, n. 8922 del 20/11/2000, dep. 2001, COGNOME, Rv. 218362) e dare atto delle ragioni per cui siano da ritenere sintomatici dell’attuale pericolosità del proposto (Sez. 6 n. 4668 del 08/01/2013, COGNOME, Rv. 254417; Sez. 5, n. 1968 del 31/03/2000, COGNOME, Rv. 216054).
L’unico limite posto all’autonomia valutativa del giudice della prevenzione (insieme, ovviamente, a quello di non avvalersi di prove vietate: Sez. U. n. 13426 del 25/03/2010, Cagnazzo, Rv. 246271) è che i fatti storici ritenuti sintomatici della pericolosità del proposto non devono essere stati smentiti in un giudizio penale. Quando, infatti, è stata emessa sentenza irrevocabile di assoluzione, il principio di tassatività e quello, ancor più generale, di unitarietà e di non contraddizione dell’ordinamento (Sez. 1, n. 31209 del 24/03/2015, COGNOME, Rv. 264319) precludono al giudice della prevenzione di assumere, quale elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità, un fatto la cui esistenza sia sta negata in un giudizio penale; e ciò sia in rapporto all’elemento materiale che a quello psicologico, non potendosi certo sostenere una sopravvivenza del disvalore di un delitto in assenza di dolo (Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280145; Sez. 2, n. 11846 del 19/01/2018, Carnovale, Rv. 272496; Sez. 5, n. 48090 del 08/10/2019, COGNOME, Rv. 277908; Sez. 2, n. 26774 del 30/04/2013, COGNOME, Rv. 256820).
3.2. Delineate tali coordinate ermeneutiche, il provvedimento impugnato, oltre ad essere affetto da vizi espressivi che rendono non (compiutamente) comprensibile il ragionamento giustificativo della decisione (tra i quali l’indicazione dei dati identificativi dei procedimenti penali, che non sempre sono tra loro congruenti), trova il suo limite proprio nella fase ricostruttiva del giudizi prognostico e, quindi, nell’apprezzamento dei fatti considerati “indicatori” della ritenuta pericolosità.
La difesa, infatti, aveva dedotto che l’intervenuta assoluzione (perché il fatto non sussiste e perché il fatto non costituisce reato) non solo minava il fondamento della sentenza di condanna del 20 dicembre 2020 (alla luce dell’assoluta sovrapponibilità tra i fatti contestati nel giudizio poi conclusosi con esit assolutorio e quelli oggetto del giudizio definito con sentenza di condanna, al netto di quel minimo segmento fattuale in precedenza evidenziato), ma non consentiva neanche di ritenere che la NOME avesse, ab origine, effettuato un’attività intrinsecamente illecita.
A fronte di ciò, la Corte d’appello (e prima ancora il Tribunale), ha comunque fondato il suo giudizio di pericolosità (anche) sui fatti ascritti nel det procedimento, ritenendo che l’assoluzione sarebbe fondata non su “elementi di fatto” – l’accertamento del rilascio di AUA – ma su mere “deduzioni” e “valutazioni” argomentative (peraltro viziate da un ritenuto errore nella lettura del provvedimento emesso il 19 gennaio 2019 dalla Regione Lazio). Ma tanto significa (ri)valutare i fatti contestati nel procedimento penale n. 5258/20 RGPM; significa non tener conto, in violazione del principio di unitarietà e non contraddizione dell’ordinamento, dell’accertata insussistenza sia del fatto che del relativo
coefficiente soggettivo; accertamento che, per come si è detto e contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, preclude al giudice della prevenzione di assumere, quali elementi indizianti ai fini del giudizio di pericolosità, i medesimi fatti oggetto del giudizio conclusosi con il detto esito assolutorio.
3.3. Il Collegio è consapevole che il giudizio di pericolosità non si fonda in via esclusiva sulle condotte oggetto del procedimento poi definito con esito assolutorio (non valutabili quali indici di pericolosità), ma su una pluralità di elementi ulteriori, astrattamente idonei a fondare, autonomamente, il provvedimento ablatorio (le condotte accertate nel procedimento penale n. 44561/17 RGPM, nel quale i proposti sono stati condannati per traffico illecito continuato di rifiuti, gestione di rifiuti non autorizzata, realizzazione di un discarica non autorizzata, inquinamento ambientale e 12-quinquies comma 1, dl. n. 306 del 1992, oggi 512-bis cod.pen.; le condotte contestate nel procedimento n.4092/2018 RGPM, per il delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen., per plurimi fatti di appropriazione indebita di somme della RAGIONE_SOCIALE, esse stesse frutto di attività delittuosa in materia ambientale e fiscale e per connessi reati tributari e finanziari; le parallele condotte, addotte dalla stessa difesa a giustificazione dei detti prelevamenti, rappresentative, nella ricostruzione prospettata dalla Corte d’appello, di ulteriori illeciti RAGIONE_SOCIALE), ma la prospettata (indebita) rivalutazion di fatti ormai coperti da giudicato assolutorio non solo rende inutilizzabili, quali elementi rappresentativi della ritenuta pericolosità, le condotte in questo contestate (delle quali, per come si è detto, alla luce dell’intervenuta formula assolutoria, perché il fatto non sussiste e non costituisce reato, è stata esclusa non solo la rilevanza penale, ma ogni connesso disvalore), ma, come correttamente ritenuto dalla difesa, incide anche sull’operata perimetrazione del periodo di manifestazione della pericolosità che, dovendo riguardare un arco temporale coincidente con le acquisizioni patrimoniali di origine illecita, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche “misura temporale” del suo ambito applicativo, limitando l’area delle entità economiche suscettibili di ablazione soltanto a quei beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605). Venutq meno, infatti, la possibilità di valutare le condotte oggetto del giudicato assolutorio come elemento rappresentativo di pericolosità, viene conseguentemente meno la ritenuta perimetrazione della pericolosità nei termini in precedenza indicati, ossia tra la data in cui la RAGIONE_SOCIALE aveva iniziato ad operare e il successivo sequestro penale dell’azienda. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.4. E tanto riverbera i suoi effetti anche sulla ritenuta pericolosità generica, non solo sotto il profilo, già evidenziato, della perimetrazione temporale
della pericolosità (da rivalutare all’esito dell’esclusione di alcune delle condotte contestate), ma anche perché, non potendosi ritenere intrinsecamente pericolosa l’esercizio dell’attività imprenditoriale, difetta la dimostrazione del presupposto necessario per la confisca delle società apprese con il vincolo reale, ossia che la costituzione delle società e, con essa, l’acquisizione, anche in via di fatto, delle relative partecipazioni, sia stata strumentale al perseguimento di attività illecite (Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 277225).
In conclusione, il decreto impugnato deve essere annullato, con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
Così deciso il 10 luglio 2025
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