Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17921 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17921 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME nato in Marijanovae il 15/5/1971
NOME COGNOME nata in Bosnia-Erzegovina il 18/11/1975
avverso il decreto del 12/12/2024 della Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rigettare i ricorsi;
letta la memoria di replica, depositata dall’Avv. NOME COGNOME il 3 aprile 2025 nell’interesse del ricorrente, con cui sono state reiterate le deduzioni formulate nel ricorso, di cui si è chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 12 dicembre 2024 la Corte di appello di Torino ha confermato il provvedimento emesso dal Tribunale della stessa città il 13 marzo
2024 nei confronti di NOME COGNOME con cui gli è stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di tre anni, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, ed è stata disposta la confisca di beni facenti parte del compendio aziendale dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE oltre che del 90% delle quote della ditta RAGIONE_SOCIALE e dell’autovettura Mercedes, formalmente intestati a NOME COGNOME coniuge di NOME COGNOME.
Avverso il decreto della Corte di appello hanno proposto ricorsi per cassazione i difensori di NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto i motivi di seguito indicati.
3.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge con riferimento all’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 1 e 4 D.Ivo n. 159/2011, per avere la Corte di appello ritenuto che la pericolosità sociale del proposto fosse attuale, nonostante i fatti occorsi risalissero al periodo 1990/2008.
3.2. Inosservanza o erronea applicazione della legge con riferimento all’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 1 e 4 D.Ivo n. 159/2011, per avere la Corte territoriale ritenuto la pericolosità del proposto sulla base di fatt occorsi nel 2017, in ordine ai quali è intervenuto provvedimento di archiviazione.
3.3. Violazione o falsa applicazione dell’art. 27 Cost. e motivazione apparente, per avere il Collegio di appello fatto ricorso alla sentenza del Tribunale di Asti del 15 maggio 2024, senza valutare in modo critico le risultanze e ritenendola erroneamente irrevocabile.
3.4. Inosservanza o erronea applicazione di legge penale con riferimento all’art. 606 lett. b) cod. proc. pen., per avere la Corte di appello desunto la pericolosità specifica del ricorrente in ragione dei reati a lui contestati ai sens dell’art. 512-bis cod. pen., trascurando, però, che non poteva affermarsi che il proposto avesse fatto ricorso all’intestazione fittizia di alcuni beni: l RAGIONE_SOCIALE, le quote di RAGIONE_SOCIALE e l’autovettura Mercedes.
3.5. Inosservanza o erronea applicazione di legge con riferimento all’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 4 D.Ivo n. 159/2011 nonché difetto di motivazione, per avere la Corte territoriale confermato la confisca dei beni in alcun modo riconducibili alla pericolosità del proposto.
Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 20 D.Ivo n. 159/2011 in ordine alla confiscabilità dei suoi beni. La Corte di appello avrebbe trascurato di considerare che la società RAGIONE_SOCIALE era stata acquisita con fondi
provenienti dal conto di NOME COGNOME alimentato con provvista della RAGIONE_SOCIALE, società intestata alle terze interessate e gestita di fatto dal proposto, in relazione alla quale l’unico apporto di quest’ultimo era il contributo d’opera e di relazioni personali che lo stesso aveva arrecato all’interno dell’azienda. Non essendo confiscabili le quote dell’azienda, oggetto del presente procedimento, neppure sarebbe confiscabile l’autovettura Mercedes, acquisita con fondi provenienti da conto alimentato con i proventi della lecita attività aziendale; attività che ben potrebbe avere generato leciti introiti, sufficienti per l’acquisizione dell’autovettura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
I primi tre motivi del ricorso di NOME COGNOME sono manifestamente infondati.
2.1. La Corte di appello di Torino ha confermato il decreto emesso dal Tribunale, avendo ritenuto dimostrata la pericolosità sociale del proposto, sia generica che specifica ex art. 4, comma 1 lett. b), D.Igs. n. 159 del 2011. In particolare, quanto alla pericolosità generica, la menzionata Corte ha affermato che NOME COGNOMEè persona che vive abitualmente dei proventi di delitti, tenuto conto che egli, privo di attività lavorativa stabile, con esigui reddit dichiarati soltanto nel 2017, 2018 e 2021, in lungo arco temporale, dagli anni ’90 sino al 2008 e dal 2017 sino al 2022, ha commesso sistematicamente svariati delitti contro il patrimonio suscettibili di generare non trascurabili guadagni illeciti, riuscendo ad impadronirsi di acciaio, ferro e metalli vari per importi pari svariate centinaia di migliaia di euro nonché da ultimo realizzando, a partire dall’anno 2017 sino al novembre 2022, reati di usura, estorsione, parimenti produttivi di non trascurabili guadagni illeciti».
Siffatte conclusioni risultano in linea con la lettura dell’art. 1, lett. b), D. 159/2011, offerta dal N Giudice delle leggi, che – nella prospettiva del rispetto dei canoni costituzionali e convenzionali che impongono i caratteri di «precisione, determinatezza e prevedibilità che deve possedere ogni norma che costituisca la base legale di un’interferenza nei diritti della persona riconosciuti dalla CEDU o dai suoi protocolli» (Corte cost. n. 24 del 27 febbraio 2019, § 11.2) – ha confermato la necessità della verifica «del triplice requisito – da provarsi sulla base di precisi «elementi di fatto», di cui il tribunale dovrà dare conto puntualmente nella motivazione – per cui deve trattarsi di delitti: a) commessi abitualmente (e, dunque, in un significativo arco temporale) dal soggetto; b) che
abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui; c) i quali a loro volta costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del soggetto, o, quanto meno, una componente significativa di tale reddito» (Corte cost. n. 24 del 27 febbraio 2019, § 12.2).
La verifica del triplice requisito è stata correttamente effettuata dalla Corte del merito, che, inoltre, contrariamente a quanto censurato dal ricorrente, ha ancorato l’attualità della pericolosità sociale di quest’ultimo non a reati commessi in tempi lontani, avendo fatto riferimento anche a fatti occorsi dal 2017 sino a novembre 2022 e, quindi, a condotte realizzate in epoca prossima all’applicazione della misura.
2.2. Va poi rilevato che nessuna violazione di legge si ravvisa neanche nell’avere i Giudici della prevenzione posto a fondamento del giudizio di pericolosità non solo i fatti oggetto di condanne definitive (intervenute in relazione a condotte poste in essere dagli anni ’90 sino al 2008), ma anche quelli verificatisi dal 2017 sino al novembre 2022, relativi a usura ed estorsione, come emergenti dai relativi procedimenti penali.
La Corte di appello ha evidenziato che elementi significativi potevano trarsi anche dai procedimenti definiti con archiviazione, tra cui quello relativo ai delitt di usura e tentata estorsione del settembre 2017. Ciò alla luce delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, che si saldavano con le risultanze di cui al successivo procedimento del 2022, concernente reati di usura, estorsione e intestazione fittizia, per i quali il Tribunale di Asti aveva riconosciuto la penale responsabilit dell’imputato; risultanze che erano sintomatiche di un’ampia, duratura e pervasiva attività di prestito di somme di denaro in favore di svariati soggetti.
A tal riguardo va ricordato che, nella giurisprudenza di questa Corte, è risalente l’affermazione secondo cui tra il procedimento di prevenzione e il processo penale sussistono profonde differenze funzionali e strutturali, perché nel primo si valutano condotte complessive, ma significative della pericolosità sociale, mentre nel secondo si giudicano singoli fatti da rapportare a tipici modelli di antigiuridicità. Si è, quindi, evidenziato che il procedimento di prevenzione è autonomo rispetto a quello penale, ma nel procedimento di prevenzione il giudice è legittimato a servirsi di elementi probatori e indiziari tratti dai procedimenti penali, prescindendo dalla conclusione alla quale il giudice è pervenuto, facendosi carico di individuare le circostanze di fatto rilevanti, accertate in sede penale, e rivalutarle nell’ottica del giudizio di prevenzione (Sez. 2, n. 15704 del 25/01/2023, COGNOME, Rv. 284488 – 01; Sez. 1, n. 5522 del 3/11/1995, Repaci, Rv. 203027 – 01).
Il giudice, quindi, può valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità generica del
proposto ex art. 1, comma 1, lett. b), D.Igs. n. 159/2011, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che, pur ritenuti insufficienti – nel merito o p preclusioni processuali – per una condanna penale, ben possono essere posti alla base di un giudizio di pericolosità (cfr.. Sez. 2, n. 4191 dell’11/01/2022, COGNOME, Rv. 282655 – 01; Sez. 2, n. 25042 del 28/04/2022, COGNOME, Rv. 283559 – 03, in cui questa Corte ha ribadito tale principio proprio in una fattispecie in cui il giudizio di pericolosità era stato fondato sulla valutazione d atti di indagine e non su sentenze di condanna o, anche, di proscioglimento).
Di tali coordinate ermeneutiche ha fatto corretta applicazione la Corte torinese, che ha valorizzato elementi probatori e indiziari tratti dai procedimenti penali a carico del ricorrente ed ha effettuato una nuova ed autonoma valutazione dei fatti ivi accertati, dando atto delle ragioni per cui essi erano sintomatici dell’attuale pericolosità del proposto.
Ne discende che anche sotto tale profilo il provvedimento impugnato risulta sorretto da una motivazione non inficiata da violazioni di legge o apparente, così che si sottrae ai rilievi consentiti in questa sede.
Va ribadito che, nel procedimento di prevenzione, alla stregua di quanto già disposto dall’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3-ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575 e, oggi, dagli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, del D. Lg.vo n. 159 del 2011, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge. Ne consegue che è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta ovv della contraddittorietà della motivazione, di cui all’art. 606, lett. e), cod. pro pen., potendosi denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello, esclusivamente il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (cfr, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01, laddove, in motivazione, la Corte ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato).
Le censure veicolate con il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME e quelle formulate nel ricorso di NOME COGNOME non rientrano tra quelli consentiti.
La Corte territoriale ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto che si trattasse di intestazioni fittizie. In particolare, ha sottolineato che, al momento dell’acquisto delle quote e della costituzione delle due società di cui si discute, ossia RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, COGNOME era soggetto socialmente pericoloso e in possesso di non trascurabili guadagni di origine illecita, trattandosi di persona dedita già da anni alla commissione di furti di materiale ferroso e, da ultimo, incline alla perpetrazione di azioni usurarie ed estorsive ai danni di varie vittime. La Corte territoriale ha aggiunto che RAGIONE_SOCIALE, società costituita nel 2017, era senza dubbio riconducibile a COGNOME, come concordemente dichiarato dal commercialista, da clienti e dipendenti della compagine e come si desumeva anche dal tenore di alcune conversazioni captate durante le indagini. Il ricorrente, inoltre, era delegato ad operare sul conto sociale della compagine formalmente riconducibile alla figlia NOME effettuando su tale conto anche i versamenti di denaro provento di attività usuraria (cfr. annotazione in atti della Guardia di finanza di Asti e capo 2) di cui al procedimento penale numero 845/2022 RGNR, per cui è intervenuta condanna in primo grado).
Con riferimento alla società RAGIONE_SOCIALE, acquistata il 20 settembre 2022 da NOME COGNOME (casalinga e priva di reddito), la Corte di appello ha sottolineato, per un verso, che erano stati impiegati fondi provenienti dal conto di NOME COGNOME alimentato con provvista della RAGIONE_SOCIALE società, come detto gestita dal proposto; per altro verso, ha valorizzato la conversazione captata il 9 settembre 2022, in cui il ricorrente dava istruzioni al commercialista, svelando di aver fittiziamente intestato la compagine neocostituita alla moglie, provvedendo direttamente ad acquistare le quote sociali con risorse di sua spettanza.
Quanto all’autovettura Mercedes, acquistata nel maggio 2022 per la rilevante cifra di 134.000 euro, essa era stata comprata con somme provenienti sempre dal menzionato conto, formalmente intestato a NOME COGNOME e riferibile a COGNOME ma di fatto gestito esclusivamente dal proposto.
A fronte di tali argomentazioni, logiche ed esaurienti, le doglianze, messe a fuoco dai ricorrenti, pur formalmente etichettate anche come violazione di legge, finiscono per refluire nell’alveo di un non consentito sindacato della motivazione del provvedimento impugnato, come tale non riconducibile al vizio di violazione di legge che, come già detto, è l’unico devolvibile a questa Corte in materia di misure di prevenzione.
Anche le censure di entrambi i ricorrenti sulla disposta confisca non colgono nel segno.
Secondo la Corte di appello, gli elementi emergenti dal procedimento penale del 2022 (intercettazioni e dichiarazioni rese nell’ambito di tale giudizio),
unitamente alla descritta condizione reddituale personale del proposto e alla riscontrata assenza in capo al coniuge di una distinta ed effettiva capacità
reddituale, tale da giustificare la reale titolarità dei beni, sottoposti a confisc costituivano elementi di significativo rilievo ai fini della ritenuta riconducibilit
NOME COGNOME dei menzionati beni, acquistati in periodo di pericolosità. La Corte territoriale, oltre a ribadire che il prevenuto era persona dedita alla commissione
di delitti contro il patrimonio e con entrate decisamente inferiori alle uscite, ha evidenziato che anche i guadagni, tratti dallo svolgimento delle attività sociali
delle due società, erano da ritenersi illeciti, non solo perché frutto dell’impiego a monte di capitali illeciti, ma anche in considerazione dell’attività di traffico illec
di rifiuti concretamente espletata, peraltro svolta in regime di totale evasione fiscale, con conseguente operatività del disposto di cui all’art. 24 D.Igs n.
159/2011.
Alla luce di quanto precede va rilevato che i presupposti della confisca sono stati individuati dal Giudice della prevenzione in modo completo e sulla base di un chiaro e logico percorso argomentativo, nell’ambito del quale le deduzioni difensive sono state adeguatamente richiamate e valutate, pur non essendo state condivise.
Di contro, le censure dei ricorrenti sono orientate a ottenere una diversa valutazione del merito della decisione, non consentita in questa sede.
5. La declaratoria di inammissibilità dei ricorsi comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente