Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26565 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26565 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 16/06/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibili i ricorsi; letta la memoria di replica presentata nell’interesse di NOME COGNOME dai difensori, avvocato NOME COGNOME e avvocato NOME COGNOME con la quale hanno insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Palermo, con il decreto indicato in epigrafe, disposta la revoca della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, per carenza attuale di pericolosità sociale, nei confronti di NOME
COGNOME e la revoca della confisca di prevenzione su alcuni beni – la ditta individuale COGNOME NOME, un assegno intestato alla predetta; la particella n. 1166 ricadente nel fl. 7 in relazione al terreno sito in Gibellina, INDIRIZZO, di proprietà del Comune di Gibellina -, ha confermato la confisca del capitale sociale della società RAGIONE_SOCIALE in cui sono soci al 95% NOME COGNOME e al 5% il COGNOME -, degli immobili adibiti a mattatoio e dell’autovettura in sequestro.
2.Con i comuni motivi di ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME denunciano:
2.1. vizio di violazione di legge (in relazione agli artt. 4, comma 1, lett. c) d Igs. n. 159 del 6 settembre 2011, art. 117 Cost. e artt. 2 e 1 del Protocollo addizionale CEDU n. 4 e art. 7 della CEDU.
Premesso che la pericolosità sociale di NOME COGNOME, perimetrata al periodo 2011/2015, è stata ricondotta alla pericolosità cd. generica, per avere il ricorrente vissuto abitualmente anche in parte con i proventi di attività delittuose, i ricorrenti eccepiscono che, a seguito della sentenza n. 24 del 2019 della Corte Costituzionale – che ha ridefinito i presupposti che possono dare luogo alla cd. pericolosità sociale generica – non era prevedibile, al momento della commissione dei fatti, che le condotte illecite potessero essere sussunte tra i “casi” che rendevano applicabile la misura di prevenzione;
2.2. violazione di legge (in relazione agli artt. 4, comma 1, lett. c) d. Igs. n. 159 cit.artt. 110 cod. pen., 216 e 223, R.D. n,267 del 16 marzo 1942).
Il ricorrente è stato ritenuto socialmente pericoloso per avere vissuto abitualmente anche in parte con i proventi di attività delittuose riconducibili alle condotte di bancarotta per distrazione, fino al 2014, di suini in favore della RAGIONE_SOCIALE e ad altre condotte di bancarotta documentale in danno dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE seguite dal furto di energia elettrica commesso il 25 marzo 2015. Al ricorrente venivano ascritte, quale amministratore di fatto, alcune condotte di bancarotta patrimoniale e documentale dalle quali è stato assolto con sentenza del 25 giugno 2024 dal G.U.P. del Tribunale di Sciacca sul rilievo che la figura dell’amministratore di fatto non è concettualmente ipotizzabile nei confronti di una impresa individuale e che, ai fini della punibilità dei fatti, sarebbe stato necessario estendere la dichiarazione di fallimento alla società di fatto RAGIONE_SOCIALE e al socio occulto, atto rientrante nella competenza del Tribunale Fallimentare. La Corte di appello ha disatteso le censure già poste al riguardo con l’appello evidenziando “l’autonomia” del procedimento di prevenzione rispetto al processo penale” e sul rilievo che il COGNOME risponde del reato di cui all’art. 216 I. fall. in concorso con l’imprenditore individuale COGNOME e, in sostanza, riconducendo il giudizio di pericolosità a modalità di fatto diverse da quelle che, come
amministratore di fatto, gli venivano ascritte nel processo penale. La Corte di appello, con precisione e logicità, avrebbe dovuto indicare il contributo morale e/o materiale alle condotte di bancarotta documentale che gli venivano ascritte. Vieppiù contraddicendo l’impostazione posta a base della sentenza di assoluzione, la Corte di appello ha insistito nel ritenere il ricorrente coinvolto nella gestione della RAGIONE_SOCIALE Carni richiamando le dichiarazioni rese da soggetti che direttamente lo coinvolgevano in compiti di natura gestoria e operativa della ditta e sostenendo che la ditta “concretamente veniva diretta dal Montalbano”, dichiarazioni affatto pertinenti con le condotte di bancarotta documentale o distrattive ascrittegli. In realtà gli organi fallimentari non hanno esteso al ricorrente la qualifica, presupposto obiettivo per la contestazione del reato fallimentare, in carenza di elementi idonei a configurare la esistenza di una società di fatto tra il Montalbano e il Cappello. La Corte di appello è incorsa nell’erronea applicazione della legge penale sia nel ritenere sussistente la società di fatto che i criteri che sovrintendono all’accertamento del presupposto obiettivo al quale ancorare le condotte distrattive, connesse al delitto di bancarotta, dal quale era stato prosciolto. La motivazione del decreto impugnato è del tutto carente in ordine all’asserito contributo causale del Montalbano, quale extraneus, ai fatti di bancarotta. Il solo furto di energia elettrica non è idoneo a fondare il giudizio di pericolosità sociale.
Argomenti, questi, reiterati con la memoria di replica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME sono infondati e propongono questioni che, anche in diritto, sono state esaminate e decise dalla Corte di appello facendo coerente applicazione, in linea con i gravi elementi indiziari acquisiti, dei criteri che, in materia di prevenzione e della pericolosità sociale di cui agli 4, lett. c) e 1, lett. b) del d. 1gs. n. 159 del 6 settembre 2011 sono stati individuati nella giurisprudenza di legittimità.
2.NOME COGNOME, anche se è stata revocata la misura personale per difetto attuale della pericolosità sociale, è stato ritenuto socialmente pericoloso ai sensi dell’art. 1, lett. b), d. 1gs. n. 159 del 2011 in quanto persona che vive abitualmente di proventi dell’attività delittuosa. La pericolosità sociale del COGNOME è stata ritenuta sussistente nel periodo compreso tra il 2010 (epoca di commissione della bancarotta documentale relativa al fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dichiarato 18 novembre 2010 e del furto in relazione al quale il proposto aveva riportato condanna irrevocabile) e il 2015.
Il ricorrente propone una lettura della sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del 27 febbraio 2019 avulsa dalla interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di legittimità, poiché sostiene che la lettura “tassativizzante” della disposizione di cui all’art. 1, lett. b) del d.lgs. n. 159 cit. – che individua e preci i requisiti per ritenere integrato il presupposto della pericolosità sociale cd. generica -, varrebbe solo per il futuro e non per le condotte antecedenti che, per effetto della formulazione della disposizione in esame, censurata per la sua genericità, avrebbe ‘ i 4,! ntegrato una fattispecie generica e indeterminata, in carenza di elementi certi e idonei a consentirne la prevedibilità da parte dei consociati.
La Corte di appello, ha evidenziato, per contro, che per effetto della richiamata pronuncia interpretativa di rigetto della Corte costituzionale lnon è stata introdotta una nuova categoria di pericolosità sociale, dovendosi verificare se le condotte criminose poste in essere dal proposto NOME COGNOME siano riconducibili alla fattispecie descritta dall’art. 1, lett. b), d. Igs. n. 159 cit., conformemente parametri interpretativi indicati dalla Corte Costituzionale.
Osserva la Corte territoriale, allineandosi alla interpretazione della sentenza sviluppata nelle decisioni della Corte di legittimità, ma in senso contrario alla lettura proposta dal ricorrente, che solo le condotte che, in ipotesi, avrebbero assunto in passato, in base ad una lettura non tassativizzante dei requisiti di cui alla lett. b) dell’art. 1, cit., rilievo tale da condurre ad una valutazione pericolosità sociale, potrebbero non rientrare in detta categoria criminologica alla luce dei requisiti indicati nella sentenza, dopo l’intervento della Corte costituzionale. La decisione del Giudice delle leggi non avalla, tuttavia, la contraria interpretazione.
Secondo tale sentenza, infatti, le categorie di delitto che legittimano l’applicazione della misura fondata sul giudizio di pericolosità generica devono presentare il triplice requisito, da ancorare a precisi elementi di fatto di cui i giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione, per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca l’unica o, quantomeno, una rilevante fonte di reddito per il predetto.
Come anticipato, la Corte costituzionale, aderendo all’interpretazione giurisprudenziale della disposizione maggiormente restrittiva, si è limitata a ricondurre nelle maglie della determinatezza solo condotte palesemente sintomatiche di pericolosità generica (Sez. 5, n. 19227 del 24/01/2022, Immobiliare Peonia, Rv. 283397).
La Corte di merito, con motivazione affatto carente o apparente, come sarà di seguito precisato analizzando le condotte criminose poste in essere dal
Montalbano, ha ritenuto che il giudizio di pericolosità sociale del Montalbano non si collocasse in una “zona grigia”, suscettibile di ricadere nell’alveo della interpretazione in negativo, essendo, invece, puntualmente sussumibile nei requisiti che la Corte Costituzionale, con maggiore determinatezza rispetto al passato, ha delineato.
3.Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
3.1.11 ricorrente sostiene che, per effetto dell’intervenuta sentenza di proscioglimento del 23 giugno 2024, con formula per non aver commesso il fatto, nel processo per bancarotta della RAGIONE_SOCIALE ditta individuale facente capo a NOME COGNOME non sussiste il presupposto per ritenere che il proposto viva abitualmente di delitti.
3.2.11 tema della rilevanza della sentenza di assoluzione o proscioglimento intervenuta nel processo penale nel procedimento di prevenzione costituisce una questione controversa nella giurisprudenza di questa Corte.
La Corte di appello ha richiamato l’ orientamento secondo cui il giudice, attesa l’autonomia tra processo penale e procedimento di prevenzione, può valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità generica del proposto ex art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., ove risultino delineati, con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività, quei fatti che pur ritenuti insufficienti – nel merito o per preclusioni processuali – per una condanna penale, possono, comunque, essere posti alla base di un giudizio di pericolosità (Sez. 2, n. 15704 del 25/01/2023, COGNOME, Rv. 284488).
Centrale in tale prospettiva esegetica è la regola della “valutazione autonoma” del giudice della prevenzione nel valutare fatti, documenti, testimonianze, intercettazioni emerse dal processo penale e, quindi, con esiti divergenti e anche antitetici, rispetto alla valutazione di quegli stessi elementi effettuata dal giudice penale, tanto sulla base del diverso standard probatorio tra processo penale (prova) e procedimento di prevenzione (indizi).
In senso contrario rispetto a tale orientamento, che è, comunque, quello maggioritario, si è, invece, ritenuto che il giudice della prevenzione, in sede di verifica della pericolosità generica del soggetto proposto per l’applicazione di misura ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 159 cit., non può ritenere rilevanti, in base al principio della “valutazione autonoma”, fatti per i quali sia intervenuta sentenza definitiva di assoluzione, in quanto la negazione penale irrevocabile di un determinato fatto impedisce di assumerlo come elemento
indiziante ai fini del giudizio di pericolosità (Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280145).
Il percorso ricostruttivo di tale opzione ermeneutica ha evidenziato come il principio di non contraddizione sia ostativo ad assumere un fatto, negato dalla sentenza di assoluzione, come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità. La sentenza ora richiamata ha sottolineato, peraltro, la diversa declinazione del principio dell’autonoma valutazione rispetto alla sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, purché, in tal caso, il fatto risulti delineato con sufficiente chiarezza o sia comunque ricavabile in via autonoma dagli atti, precisando che l’unico limite all’autonomia del giudizio di prevenzione è quello dell’esclusione, in sede penale, con pronunce irrevocabili, di determinati fatti, posto che «la negazione penale irrevocabile di un determinato fatto impedisce di ritenerlo esistente e quindi di assumerlo come elemento del giudizio di prevenzione (Sez. 2, n. 11846 del 19/01/2018, COGNOME, Rv. 272496; conf. Sez. 5, n. 48090 del 08/10/2019, COGNOME, Rv. 277908; Sez. 2, n. 26774 del 30/04/2013, COGNOME, Rv. 256820, secondo cui l’unico limite posto all’autonomia valutativa del giudice della prevenzione è che «i fatti storici ritenuti sintomatici della pericolosità del proposto non devono essere stati smentiti in sede di cognizione penale»).
Tale principio è stato da ultimo ribadito precisando che il giudice, nonostante l’autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, non può attribuire rilevanza, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità generica del proposto ex art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, a fatti per i quali sia intervenuta sentenza definitiva di assoluzione posto che, in virtù del principio di non contraddizione dell’ordinamento e della presunzione di innocenza come interpretata dalla Corte EDU, la negazione penale irrevocabile di un determinato fatto impedisce di assumerlo come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità (Sez. 6, n. 45280 del 30/10/2024, COGNOME, Rv. 287312).
Altre e numerose pronunce di questa Corte danno conto di una parziale diversità nell’impostazione di fondo, ritenendo che, in tema di misure di prevenzione, il giudice, attesa l’autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, possa valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità generica del proposto, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che, pur ritenuti non sufficienti – nel merito o per preclusioni processuali – per una condanna penale ben possono essere posti alla base di un giudizio di pericolosità (Sez. 2, n. 31549 del
06/06/2019, RAGIONE_SOCIALE Rv. 27722505; in analoga prospettiva, Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266364).
Per completezza va, infine, evidenziato che «il principio della “autonoma valutazione” (di fatti accertati o comunque desumibili da decisioni di assoluzione emesse in sede penale) si è affermato, quasi in via esclusiva, nel settore della contiguità mafiosa ed in riferimento ad una descrizione della categoria criminologica (il soggetto indiziato di appartenenza all’organismo mafioso), categoria che tollera, per la sua diversità ontologica dalla prova della condotta partecipativa in senso pieno (art. 416-bis cod. pen.) la diversità di apprezzamento, nei due settori dell’ordinamento, delle medesime circostanze di fatto (le frequentazioni stabili con il soggetto mafioso, ad esempio, ben possono rappresentare indice rivelatore di contiguità – ove accertate – pur se ritenute insufficienti a fondare una decisione affermativa di penale responsabilità)» laddove «nel settore della pericolosità “semplice” di cui all’art. 1 d. Igs. n.159 del 2011, ed in particolare per quanto riguarda l’ipotesi della lettera b molto minore, per non dire assente, è la possibilità di porre in essere, sul piano interpretativo ed in rapporto alla mediata osservanza del principio di tassatività prima descritta, una simile operazione», posto che «la norma di riferimento, come si è detto, impone di constatare la ricorrente commissione di un delitto (attività delittuose) produttivo di reddito», sicché «se la realizzazione del delitto è esclusa in sede penale – e ciò sia in rapporto all’elemento materiale che a quello psicologico, non potendosi certo sostenere una sopravvivenza del disvalore di un delitto in assenza di dolo – manca uno dei presupposti su cui lo stesso legislatore articola la costruzione della fattispecie» (Sez. 1, n. 43826 del 19/04/2018, R, non massimata sul punto).
3.3.La Corte di merito, nel caso in esame, facendo applicazione dei principi fin qui enunciati, pur prendendo atto dell’intervenuto proscioglimento del COGNOME dai reati di bancarotta documentale e patrimoniale che gli erano ascritti nel processo penale, in concorso con il COGNOME, quale amministratore di fatto della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE per difetto della qualifica soggettiva di imprenditore, quale amministratore o socio occulto, non configurabile in relazione ad un’impresa individuale e non estesa, in sede fallimentare, attraverso la contestazione di tale tipologia di cointeressenza nella gestione della ditta, ha, nondimeno, individuato i precisi e imprescindibili elementi di fatto suscettibili di denotare la cointeressenza del COGNOME nella gestione della RAGIONE_SOCIALE e, soprattutto, il suo concorso, quale beneficiario delle condotte distrattive, che hanno determinato la spoliazione del patrimonio della ditta RAGIONE_SOCIALE a favore della società RAGIONE_SOCIALE – le cui quote, al 95%,venivano dal Montalbano cedute alla COGNOME il 29 novembre 2016 – e rispetto alla quale, in conseguenza dell’inabilitazione che aveva colpito il Montalbano a seguito del fallimento della
società RAGIONE_SOCIALE era subentrato, quale amministratore, tale NOME COGNOME con atto del 24 maggio 2019.
La Corte di appello ha ritenuto che, al di là dell’incarico formale di socio lavoratore, il ricorrente svolgeva sistematica e continuativa attività di gestione non solo nel settore commerciale.
Il decreto impugnato ha ricostruito, infatti, le descritte vicende societarie e amministrative della RAGIONE_SOCIALE e, soprattutto, i rapporti che avevano coinvolto detta società nella gestione della RAGIONE_SOCIALE /da un lato evidenziando la connessione temporale e l’intreccio di interessi tra la precedente società fallita facente capo al RAGIONE_SOCIALE (la “RAGIONE_SOCIALE“) e la RAGIONE_SOCIALE dall’altro lato spiegando che l’intero complesso aziendale della fallita “RAGIONE_SOCIALE” era rimasto nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE perché, affittato alla RAGIONE_SOCIALE era stato da questa società subaffittato alla RAGIONE_SOCIALE che con la RAGIONE_SOCIALE condivideva gli uffici amministrativi, in carenza di movimentazioni bancarie che denotassero il pagamento dei corrispettivi tra le predette società (pag. 27 e segg. del decreto impugnato).
Sulla scorta di tali elementi e delle dichiarazioni rese da fornitori della RAGIONE_SOCIALE (NOME COGNOME; NOME COGNOME); dagli acquirenti di merci (NOME COGNOME; NOME COGNOME) e dal responsabile del servizio veterinario della competente RAGIONE_SOCIALE Trapani, sede di Salemi, la Corte di appello è pervenuta alla ragionevole conclusione che in realtà la RAGIONE_SOCIALE aveva fatto da anello di congiunzione attraverso il meccanismo dei contratti di affitto e subaffitto del complesso aziendale relativo all’attività di allevamento in Gibellina INDIRIZZO – fra le attività della fallita “RAGIONE_SOCIALE” e la nuova società RAGIONE_SOCIALE entrambe riferibili incontestatamente al Montalbano.
La Corte di appello ha, infine, evidenziato che NOME COGNOME aveva nominato NOME COGNOME detentore dell’allevamento e possessore della carta servizi della RAGIONE_SOCIALE, nomine che autorizzavano il COGNOME ad eseguire le movimentazioni dei capi di allevamento sul registro di stalla informatizzato, operazioni che COGNOME aveva realizzato a favore di “RAGIONE_SOCIALE“, altra società di cui il proposto era legale rappresentante, mediante la cessione di capi di bestiame per un importo ascendente ad oltre 200.000 C, somma mai pagata dalla società formalmente acquirente, e con la cessione in favore di RAGIONE_SOCIALE di tutti i capi di allevamento (oltre 1900 capi, per un importo di 143.000 C, mai corrisposto), operazione, questa, risalente al 31 maggio 2014 e di poco precedente la dichiarazione di fallimento della RAGIONE_SOCIALE
La società “RAGIONE_SOCIALE“, di cui NOME COGNOME era socio all’80% del capitale mentre altro socio era il padre, era stata la società dal cui patrimonio erano state prelevate le somme, mai restituite, per la costituzione della
RAGIONE_SOCIALE e la destinataria, nei mesi da ottobre a novembre 2014, di bonifici bancari effettuati da RAGIONE_SOCIALE che avevano determinato lo svuotamento del conto aziendale.
3.4.Si tratta di condotte che, per la loro concatenazione e per i soggetti – fisici e giuridici – che vi sono formalmente coinvolti, non possono valutarsi riduttivamente come inadempimenti contrattuali – secondo la ricostruzione difensiva, in merito alle operazioni di cessione- trattandosi invece di atti chiaramente depauperativi del patrimonio aziendale della RAGIONE_SOCIALE Carni che la Corte di appello, facendo coerente applicazione dei principi di questa Corte in materia di attività distrattive, ha ricostruito come operazioni integranti l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di essa la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento di azioni apprestate a favore degli organi concorsuali.
L’attività gestoria, e preminente rispetto al Cappello, del Montalbano; le accertate condotte distrattive e depauperative del patrimonio della RAGIONE_SOCIALE in favore di società riconducibili al predetto Montalbano, condotte che si sono accompagnate alle tenuta della documentazione contabile della RAGIONE_SOCIALEin modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento e degli affari della società fallita, funzionale all’occultamento e alla dissimulazione degli atti depauperativi del patrimonio aziendale” (così il decreto impugnato a pag. 32), hanno integrato la piattaforma indiziaria per ritenere provato il concorso, quale extraneus, di NOME COGNOME nel fallimento della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE
In tema di reati fallimentari, è, infatti, configurabile il concorso nel reato d bancarotta fraudolenta da parte di persona estranea al fallimento qualora la condotta realizzata in concorso col fallito sia stata causa efficiente per la produzione dell’evento e il terzo concorrente abbia operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa (Sez. 5, n. 27367 del 26/04/2011, COGNOME, Rv. 250409), condotta distrattiva integrata da qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni ed altre attività, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori.
3.5. Ne consegue anche la compiuta motivazione del giudizio di pericolosità sociale del Montalbano, ai sensi degli artt. 4, lett. c) e 1, lett. b), d. Igs. n. 159 nel periodo che va dal 2010 al 2014, in forza delle descritte condotte, seguite dal furto di energia elettrica commesso il 28 marzo 2015 a favore di “RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, furto che non costituisce un episodio a sè stante ma che si colloca nella scia delle descritte condotte distrattive a favore della società “RAGIONE_SOCIALE“.
La Corte d’appello nel decreto impugnato (pag. 34 e ss.) ha evidenziato che le condotte distrattive poste in essere in pregiudizio della RAGIONE_SOCIALE Carni per la loro peculiare natura, la capacità lucro-genetica e l’elevato valore dei cespiti oggetto delle illecite distrazioni, sono state indubbiamente produttive per il Montalbano di concreti profitti illeciti, con i quali egli si è anche in parte mantenuto e che hanno costituito nel periodo in questione l’unica o, quantomeno, una significativa fonte di reddito per il medesimo, essendo accertato che nel periodo in cui si è manifestata la pericolosità sociale del Montalbano (e segnatamente nell’arco temporale dal 2011 al 2014) il predetto non ha dichiarato nessun reddito lecito: è, pertanto, del tutto logica la conseguenza che detto profitto illecito, in presenza della sproporzione, ha concorso sia al soddisfacimento dei consumi familiari sia alle operazioni di accantonamento di risorse che sono state poi investite nell’acquisto immobiliare effettuato dal Montalbano nell’ottobre 2014.
Tali fatti sono stati commessi a vantaggio delle società “RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , vale a dire di società riconducibili al medesimo proposto, la cui attività è stata generatrice di entrate illecite in quanto inquinate dalle compiute distrazioni.
4.E’ manifestamente infondato il rilievo difensivo secondo cui l’inquadramento del ricorrente tra i soggetti cd. “pericolosi specifici” ha violato il principio de domanda, il principio di devoluzione e il diritto al contraddittorio.
La Corte di appello, preso atto della sentenza di assoluzione del COGNOME nel processo per bancarotta a suo carico, ne ha motivato il giudizio di pericolosità sociale quale “concorrente” del COGNOME, sebbene tale inquadramento non fosse stato posto a fondamento della proposta né della decisione di primo grado, avendo avuto il ricorrente piena conoscenza degli elementi di fatto sui quali si fondava la proposta e sui quali è fondata la più precisa definizione giuridica della Corte di appello, in relazione alla quale è stato assicurato alla difesa un contraddittorio effettivo e congruo.
Va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di prevenzione, non si configura la violazione del principio di correlazione tra contestazione e decisione a condizione che sia stato assicurato alla difesa un contraddittorio effettivo in merito all’abitualità della commissione di delitti idonei a produrre profitti tali da aver costituito il reddito esclusivo, o comunque significativamente rilevante, del proposto, nonché in merito alla perinnetrazione temporale della pericolosità, alla riconducibilità degli acquisti a tale periodo ed alla
commissione di reati fonte di profitti in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che si intendono confiscare, non si configura la violazione
del principio di correlazione tra contestazione e decisione (Sez. 6, n. 29157 del
12/04/2023, COGNOME Rv. 285039): conclusione, questa, giustificata dalla fluidità
degli addebiti tipica del giudizio di prevenzione.
Solo per completezza va rilevato che anche nel processo penale, in relazione all’art. 521 cod. proc. pen., si ritiene che non integra la violazione del principio di
correlazione tra il reato contestato e quello ritenuto in sentenza la decisione con la quale un soggetto venga condannato per bancarotta fraudolenta nella qualità di
socio amministratore di fatto, anziché quale amministratore unico di diritto, qualora rimanga immutata l’azione distrattiva ascrittagli (Sez. 5, n. 36155 del
30/04/2019, COGNOME Rv. 276779).
5.Va, infine, rilevato che il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME pienamente adesivo alle ragioni del COGNOME, è altresì inammissibile nella parte
in cui deduce la violazione di legge sul punto del ritenuto giudizio di pericolosità
sociale del Montalbano e della sua perimetrazione temporale.
Il tema, controverso, della legittimazione del terzo interessato, perché ritenuto intestatario fittizio dei beni, a contestare anche i presupposti per l’applicazione della misura, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso, è stato esaminato dalle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno concluso nel senso che il terzo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità dei beni confiscati deducendo ogni elemento utile in relazione al thema probandum (Notizia di decisione delle Sezioni Unite in relazione al ricorso n. 27791(/2024 deciso all’udienza del 27/03/2025, Putignano e altri): nulla, sulla questione specifica della effettività titolarità dei beni, deduce la COGNOME.
6.Consegue al rigetto dei ricorsi la condanna di NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 16 giugno 2025.