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Pericolosità sociale e affidamento in prova: la Cassazione

Un uomo condannato a oltre tre anni di reclusione ha richiesto l’affidamento in prova ai servizi sociali. Il Tribunale di Sorveglianza ha respinto l’istanza, evidenziando la sua pericolosità sociale a causa di nuovi procedimenti penali avviati per reati commessi dopo la condanna. La Corte di Cassazione ha confermato tale decisione, stabilendo che le nuove accuse sono incompatibili con un presunto percorso di riabilitazione, rendendo irrilevanti altri elementi positivi come la disponibilità di un alloggio e di un lavoro.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: Quando le Nuove Accuse Bloccano l’Affidamento in Prova

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una fondamentale misura alternativa alla detenzione, mirata al reinserimento del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione prognostica positiva da parte del giudice. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: la pericolosità sociale del soggetto, desunta da nuovi procedimenti penali pendenti, può essere un ostacolo insormontabile, anche di fronte a elementi apparentemente favorevoli come un lavoro e un alloggio.

I Fatti del Caso

Un uomo, condannato a una pena di tre anni e quattro mesi di reclusione, oltre a una multa, presentava istanza per essere ammesso all’affidamento in prova al servizio sociale. A sostegno della sua richiesta, la difesa produceva documentazione volta a dimostrare l’esistenza di un percorso di reinserimento concreto: una dichiarazione di disponibilità alloggiativa da parte della compagna e buste paga attestanti un’attività lavorativa regolare presso una società cooperativa. Questi elementi erano stati presentati per superare i dubbi sollevati dalle forze dell’ordine durante le indagini preliminari.

La Decisione del Tribunale di Sorveglianza

Nonostante la documentazione prodotta, il Tribunale di Sorveglianza di Milano respingeva l’istanza. La decisione si fondava su due pilastri: in primo luogo, gli accertamenti delle forze dell’ordine non avevano dato riscontri positivi e il condannato non si era presentato in udienza, mostrando un apparente disinteresse. In secondo luogo, e in modo decisivo, il Tribunale rilevava la pericolosità sociale dell’interessato, basata non tanto sui precedenti penali, ma su plurimi procedimenti pendenti per reati commessi in epoca successiva a quelli oggetto della condanna in esecuzione. Tra questi, figurava un delitto della stessa natura di uno di quelli per cui era stato condannato (spendita di monete false).

Il Ricorso in Cassazione e la Valutazione della Pericolosità Sociale

La difesa proponeva ricorso in Cassazione, lamentando un difetto di motivazione. Sosteneva che il Tribunale avesse ignorato le prove fornite (alloggio e lavoro) e avesse dato un peso eccessivo ai precedenti penali, senza considerare il percorso di resipiscenza intrapreso dal condannato. Secondo il ricorrente, l’assenza in udienza era irrilevante e il richiamo ai nuovi procedimenti era fuorviante.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo la motivazione del Tribunale di Sorveglianza corretta e dirimente. Il punto centrale della decisione della Suprema Corte risiede nella valutazione della pericolosità sociale. I giudici hanno chiarito che il problema non era un’enfatizzazione dei vecchi precedenti penali, ma la presenza di dati oggettivi e attuali: i nuovi procedimenti pendenti. Questi, sebbene non ancora definiti con sentenza irrevocabile, rappresentano fatti concreti che si pongono in totale incompatibilità con l’affermazione di un “radicale cambio di rotta” nella vita del condannato. La commissione di nuovi presunti reati, per di più della stessa indole di quelli già giudicati, mina alla base qualsiasi prognosi favorevole circa il futuro comportamento del soggetto. Di conseguenza, le carenze di motivazione lamentate dalla difesa su altri aspetti, come l’alloggio e il lavoro, perdono di rilevanza. Anche se tali elementi fossero stati pienamente provati, il giudizio negativo sulla pericolosità sociale sarebbe rimasto valido e sufficiente a negare la misura alternativa.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale nell’esecuzione penale: la concessione di una misura alternativa come l’affidamento in prova richiede una valutazione complessiva della personalità del condannato e una prognosi positiva sul suo reinserimento. La presenza di procedimenti pendenti per fatti commessi dopo la condanna può essere interpretata come un indicatore di persistente pericolosità sociale e di un mancato percorso di resipiscenza. Questo elemento oggettivo può prevalere su altri fattori positivi, legittimando il diniego della misura richiesta.

Avere una casa e un lavoro garantisce l’accesso all’affidamento in prova?
No. Secondo questa sentenza, anche se l’effettività del domicilio e l’esistenza di un’opportunità di lavoro fossero accertate, un giudizio sfavorevole basato sulla pericolosità sociale del soggetto può prevalere e portare al rigetto della richiesta.

Nuovi procedimenti penali possono impedire la concessione di una misura alternativa?
Sì. La Corte ha ritenuto che i procedimenti pendenti per reati presuntivamente commessi in data successiva a quelli della condanna in esecuzione costituiscono dati oggettivi che si pongono in incompatibilità con l’affermazione di un radicale cambio di rotta, giustificando un giudizio di pericolosità sociale che osta alla concessione della misura.

Perché la Corte ha dato tanto peso a procedimenti non ancora definiti da una sentenza?
Perché, ai fini della valutazione per una misura alternativa, il giudice non deve accertare una colpevolezza, ma formulare una prognosi sul futuro comportamento. I fatti oggetto dei nuovi procedimenti, sebbene non ancora giudicati, sono considerati “dati oggettivi” che contraddicono l’idea di un percorso di riabilitazione e indicano una persistente tendenza a delinquere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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