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Pericolosità sociale: detenzione e misure di prevenzione

La Corte di Cassazione ha stabilito che la valutazione della pericolosità sociale di un individuo ai fini dell’applicazione di una misura di prevenzione, come la sorveglianza speciale, è legittima anche se il soggetto si trova in stato di detenzione per un lungo periodo. La Corte ha chiarito che esistono due momenti di valutazione distinti: uno al momento dell’applicazione della misura e uno, successivo, prima della sua effettiva esecuzione al termine della pena. Pertanto, la detenzione non rende inutile o inammissibile la prima valutazione.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale e Misure di Prevenzione: La Cassazione Chiarisce il Ruolo della Detenzione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta una questione cruciale nel campo delle misure di prevenzione: è possibile applicare la sorveglianza speciale a un soggetto che si trova già in carcere e che dovrà scontare una lunga pena? La risposta della Suprema Corte afferma che non solo è possibile, ma necessario, delineando un principio fondamentale sulla valutazione della pericolosità sociale e sulla sua attualità.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo, ritenuto in posizione apicale all’interno di un’associazione di tipo camorristico, al quale il Tribunale aveva applicato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza per due anni, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. La decisione si basava sulla sua accertata pericolosità sociale.

L’interessato, già detenuto e con la prospettiva di una lunga permanenza in carcere, ha impugnato il provvedimento. La sua tesi difensiva sosteneva che valutare la sua pericolosità oggi fosse un atto inutile e inammissibile, poiché al momento della sua futura scarcerazione sarebbe comunque stata necessaria una nuova valutazione per verificare se la pericolosità persistesse ancora. In pratica, si chiedeva di posticipare ogni decisione alla fine della pena.

La Corte di Appello ha respinto questa tesi, confermando la misura. Il caso è quindi giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e la Pericolosità Sociale

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, confermando la decisione dei giudici di merito. Il cuore della sentenza risiede nella netta distinzione tra due fasi di valutazione della pericolosità sociale:

1. La fase ‘genetica’: È quella iniziale, in cui il giudice accerta se sussistono i presupposti per applicare la misura di prevenzione. In questa fase, si valuta l’attualità della pericolosità basandosi su elementi concreti, anche se il soggetto è detenuto.
2. La fase ‘esecutiva’: È un momento successivo ed eventuale, che si verifica solo quando la persona termina di scontare la pena. Prima che la sorveglianza speciale diventi effettiva, il giudice deve nuovamente verificare se la pericolosità sociale sia ancora presente, tenendo conto del tempo trascorso in detenzione.

La Cassazione ha chiarito che la necessità della seconda valutazione non rende la prima superflua o illegittima. Anzi, la prima è indispensabile per ‘creare’ il titolo che, un domani, potrà essere eseguito.

Le Motivazioni

I giudici hanno sottolineato come la normativa antimafia, anche a seguito degli interventi della Corte Costituzionale, richieda un accertamento rigoroso dell’attualità della pericolosità. Questo significa abbandonare presunzioni automatiche basate solo sull’appartenenza a un clan. Tuttavia, non significa ignorare la stabilità del vincolo associativo e la gravità dei fatti commessi.

Nel caso specifico, la pericolosità del soggetto era stata dimostrata fino a un’epoca recente (ottobre 2020), e lo stato di detenzione non è stato ritenuto un fattore in grado di annullarla automaticamente. L’ordinamento, infatti, prevede già lo strumento per gestire questa situazione: la rivalutazione della pericolosità al termine della pena, come stabilito dall’art. 14, comma 2-ter, del D.Lgs. 159/2011.

Sostenere, come faceva il ricorrente, l’inammissibilità della prima valutazione sulla base della futura detenzione è stato definito ‘del tutto fuori sistema’. I due piani di giudizio sono autonomi e rispondono a finalità diverse: il primo accerta i presupposti per l’applicazione della misura, il secondo ne valuta la necessità al momento dell’esecuzione.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza pratica: lo stato di detenzione non congela il giudizio sulla pericolosità sociale. Le procure e i tribunali possono e devono procedere con l’applicazione di misure di prevenzione anche nei confronti di soggetti detenuti, se ne sussistono i presupposti attuali.

Questa impostazione garantisce che, al momento della scarcerazione, lo Stato disponga già di uno strumento di controllo pronto per essere attivato (previa nuova verifica), evitando così ‘vuoti’ di tutela in cui individui ancora pericolosi potrebbero tornare in libertà senza alcuna forma di sorveglianza.

Lo stato di detenzione di una persona impedisce l’applicazione di una misura di prevenzione come la sorveglianza speciale?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che lo stato di detenzione, anche se di lunga durata, non impedisce la valutazione della pericolosità sociale e l’applicazione della misura, che sono finalizzate a produrre effetti dopo la scarcerazione.

Se una misura di prevenzione viene applicata a un detenuto, dovrà essere rivalutata prima della sua esecuzione?
Sì. La legge stessa (art. 14, comma 2-ter, D.Lgs. 159/2011) prevede che la pericolosità sociale del soggetto debba essere nuovamente valutata al momento in cui la pena detentiva finisce e la misura di prevenzione deve essere effettivamente eseguita.

Perché la valutazione della pericolosità sociale viene fatta in due momenti distinti (applicazione ed esecuzione)?
Perché rispondono a scopi diversi. La prima valutazione (‘genetica’) serve a stabilire se esistono i presupposti per imporre la misura. La seconda (‘esecutiva’) serve a verificare se, dopo il periodo di detenzione, la persona è ancora socialmente pericolosa e se quindi la misura è ancora necessaria ed attuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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