Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2642 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2642 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANZARO nel procedimento a carico di:COGNOME NOME nato a BADOLATO il DATA_NASCITA NOME nato a BADOLATO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a SANTA CATERINA DELLO IONIO il DATA_NASCITA NOME nato a CHIARAVALLE CENTRALE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a SANTA CATERINA DELLO IONIO il DATA_NASCITA NOME nato a CATANZARO il DATA_NASCITA
ARAGIONE_SOCIALE
avverso il decreto del 23/11/2022 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 23 novembre 2022, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma di quello emesso dal Tribunale della stessa città il 15 ottobre 2018, ha revocato la confisca dei beni riconducibili – ancorché, in parte, formalmente intestati ai congiunti – ad NOME COGNOME ed ha, invece, confermato il provvedimento di primo grado nella parte relativa all’applicazione, nei suoi confronti, della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza per cinque anni
I citati decreti sono stati emessi nell’ambito del procedimento di prevenzione promosso nei confronti di NOME COGNOME, imprenditore attivo nell’area di Badolato, che i giudici di merito hanno ritenuto soggetto portatore di pericolosità sociale qualificata a far data dal 2003.
In proposito, la Corte di appello ha valorizzato, innanzitutto, la partecipazione di NOME ad una vicenda estorsiva consumatasi tra i mesi di marzo e maggio del 2008.
Nell’occasione, egli, venuto a conoscenza del fatto che il rappresentante di una impresa interessata alla gestione del porto di Badolato aveva, in esito a lunghe trattative, raggiunto un accordo di cooperazione un certo imprenditore, lo contattò rappresentandogli che la sottoscrizione di tale patto avrebbe scatenato una guerra di ‘RAGIONE_SOCIALE, posto che il partner prescelto non incontrava il gradimento di chi esercitava, in quella zona, il controllo mafioso, e lo invitò a recedere dall’intesa ed a rivolgersi ad un soggetto economico di matrice locale.
Ha ritenuto che tale episodio, sintomatico del radicamento di NOME in ambienti di criminalità organizzata, attesti la propensione delinquenziale del proposto, ulteriormente confermata dal fatto che NOME, all’indomani dell’irrevocabilità della sentenza di condanna, si diede alla latitanza, evidentemente potendo contare su validi appoggi in ambito criminale, e la necessità di contenerla mediante l’adozione di idonee misure preventive.
Avuto riguardo ai profili patrimoniali della procedura, la Corte di appello ha richiamato i canoni delineati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla necessità di circoscrivere l’ablazione ad incrementi patrimoniali sproporzionati eccedenti rispetto alle fonti lecite di reddito del proposto e del suo nucleo familiare, in ossequio ad un parametro di ragionevolezza temporale che tenga conto dell’epoca di commissione del c.d. reato-spia.
Di conseguenza, considerato che NOME risulta avere rivolto attenzione alla gestione del porto di Badolato a partire dal 2003, ha individuato in quell’anno il
momento di inizio della sua pericolosità sociale, a partire dal quale ha compiuto la verifica della relazione tra entrate ufficiali ed impieghi.
In quest’ottica, ha assegnato decisiva rilevanza alla disponibilità, in capo a NOME ed ai familiari, alla data del 31 dicembre 2002, di risorse economiche sufficienti a giustificare l’effettuazione, nei successivi anni di sua pericolosità sociale, l’acquisizione dei beni e delle aziende della cui confisca si discute e rilevato che l’estraneità della maturazione di tali risorse al delineato perimetro della pericolosità sociale preclude, in forza dell’applicazione dei correnti canoni ermeneutici, l’adozione del provvedimento ablativo.
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3. Il Procuratore generale della Repubblica presso yl GLYPH Tribunerle di Catanzaro propone ricorso per cassazione vertente su un’unica, articolata censura, con la quale deduce violazione di legge e della quale si darà atto, in ossequio al canone enunciato dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Eccepisce, in particolare, che, se la commissione del reato di estorsione, che è valsa a NOME la condanna definitiva alla pena di dieci anni di reclusione e 9.000 euro di multa, è indice, anche per il contesto di riferimento e per la tangibile metodologia mafiosa che la connota, di inserimento in perniciosi ambienti criminali, e se la scelta del proposto di darsi alla latitanza, all’atto del definitività della condanna, sopraggiunta nel novembre del 2021, costituisce sintomo del mantenimento dei pregressi legami, la storia, anche giudiziaria, di NOME COGNOME avrebbe, tuttavia, imposto la retrodatazione dell’inizio del periodo di pericolosità sociale alla fine degli anni ’70.
In proposito, taccia di apparenza la motivazione del decreto impugnato nella parte in cui ha escluso che le condotte illecite poste in essere da NOME nel 1978 e, poi, nel 1983, per le quali egli è stato reiteratamente condannato per il delitto di favoreggiamento personale, comprovino che, anche a quelle date, egli fosse portatore di un coefficiente di pericolosità sociale tale da giustificare l’adozione, con riferimento agli acquisti di quel periodo, di misure ablatorie.
Ricorda, in particolare, che nel 1984 NOME è stato tratto in arresto quale fiancheggiatore di NOME NOME COGNOME, esponente dell’omonima organizzazione di ‘RAGIONE_SOCIALE, ruolo comprovato dalla sua partecipazione ad una riunione dedicata all’organizzazione di sequestri di persona e dall’ospitalità da lui elargita a NOME COGNOME, al tempo latitante.
Tali vicende assumono rilievo, continua il ricorrente, perché attestano l’appartenenza di NOME, sin dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, alla medesima compagine mafiosa – cui è legato anche per ragioni di carattere
familiare – nella cornice della cui attività si iscrive la condotta estorsiva da lui posta in essere nel 2008.
Dopo avere rimarcato che il rigetto, nel 1998, di precedente proposta di applicazione di misura di prevenzione patrimoniale non comporta, nel caso di specie, vincoli di sorta, posto che, in questa materia, la preclusione derivante dal giudicato opera rebus sic stantibus, il Procuratore generale aggiunge che dalla retrodatazione dell’inizio del periodo di pericolosità sociale discende il sicuro apprezzamento della larghissima sproporzione tra redditi di fonte lecita ed incrementi patrimoniali, estesa al periodo 1979-2002, in cui NOME ha, in buona sostanza, speso molto di più di quanto egli risulta avere guadagnato, ciò che, osserva conclusivamente, giustifica la confisca dell’intero compendio a lui riconducibile direttamente o per interposta persona.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso.
NOME COGNOME ed i terzi interessati NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato memorie – che i terzi interessati hanno corredato con cospicua documentazione – con le quali hanno chiesto dichiararsi, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso, in quanto rivolto avverso il decreto del 23 novembre 2022 e non anche contro l’ordinanza emessa dalla Corte di appello il 18 febbraio 2022, per effetto della quale il momento di inizio della pericolosità sociale di NOME COGNOME è stato fissato all’anno 2003.
Hanno rilevato, quanto al merito, che il provvedimento impugnato è assistito da motivazione tutt’altro che apparente e, anzi, pienamente coerente con la normativa che regola la materia e l’interpretazione che ne dà la giurisprudenza di legittimità ed analizzato, poscia, le emergenze istruttorie che, singolarmente e nel loro insieme, depongono, a loro modo di vedere, nel senso della sicura legittimità del decreto impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vertente su motivo non consentito.
In via di premessa, occorre ricordare che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso – con scelta ritenuta non irragionevole da Corte cost. n. 321 del 2004 e n. 106 del 2015 – soltanto per
violazione di legge, giusta il disposto degli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
Ne consegue, ha chiarito la giurisprudenza di legittimità, che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e) , cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dall’art. 10, comma 8, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365), che ricorre anche «quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio» (Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080 – 01), mentre il travisamento della prova rileva, solo qualora abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo totalmente erroneo (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435 – 01).
In detta prospettiva, oltre ad essere esclusi i vizi tipici concernenti la tenuta logica del discorso giustificativo, è improponibile, sotto forma di violazione di legge, anche la mancata considerazione di prospettazioni difensive, quando le stesse, in realtà, siano state prese in considerazione dal giudice o risultino assorbite dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato o comunque non siano potenzialmente decisive ai fini della pronuncia sul punto attinto dal ricorso.
3. Ritiene il Collegio che il decreto impugnato, esaminato alla luce del richiamato canone ermeneutico, da un canto, e delle doglianze del ricorrente, dall’altro, superi senz’altro il vaglio di legittimità, avendo la Corte di appello supportato la decisione impugnata con un apparato argomentativo ricco, articolato e coerente, privo di profili critici di rilevanza tale, nell’economia complessiva del ragionamento, da qualificare la motivazione in termini di sostanziale apparenza.
I giudici della prevenzione, muovendo dalla premessa dell’attualità della pericolosità sociale e della conseguente sussistenza delle condizioni per l’applicazione della misura di prevenzione personale, hanno orientato la decisione, quanto a quella patrimoniale, al principio, consacrato dalla giurisprudenza di legittimità nella sua espressione più autorevole, secondo
cui «La pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche “misura temporale” del suo ambito applicativo; ne consegue che , con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibil di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato» (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605 – 01), al quale consegue l’obbligo del giudice di individuare, previamente « il preciso periodo di manifestazione della pericolosità sociale, determinandone, pur solo attraverso elementi indiziari, i momenti iniziale e finale in funzione del coinvolgimento del predetto nelle attività illecite, con conseguente ingiustificato arricchimento» e di procedere, sulla base dei risultati in tal modo raggiunti, «all’ulteriore valutazione attinente l’eventuale sproporzione degli acquisti rispetto alle entrate lecite, al fine di sottoporre ad ablazione i beni il cui valore appaia incongruo» (in questi termini, cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 23000 del 20/05/2021, COGNOME, Rv. 281457 – 01).
In forza del richiamato approdo, risulta, dunque, superato – nell’ipotesi in cui la pericolosità qualificata del proposto venga ancorata ad un lasso temporale determinato – l’indirizzo, in precedenza maggioritario (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 35240 del 27/06/2013, Cardone, Rv. 256266 – 01), che estendeva la confisca di prevenzione ai beni che il proposto avesse acquisito, direttamente o indirettamente, in epoca antecedente a quella a cui si era manifestato la sua pericolosità, qualora ne fosse risultata la sproporzione rispetto ai redditi e l’assenza di fonti lecite di acquisto.
4. La Corte di appello ha successivamente chiarito (cfr. pagg. 18-26) che, una volta individuati i momenti iniziale e finale della pericolosità sociale e verificata, con riferimento a detto periodo, la sperequazione tra entrate di fonte lecita ed incrementi patrimoniali, i destinatari della proposta interessati sono ammessi a dimostrare di avere utilizzato, per gli acquisti, risor s e entrate a far parte del loro patrimonio in epoca estranea, perché precedente, al perimetro delineato.
Prova, questa, che, nel caso in esame, è stata utilmente fornita, posto che dagli accertamenti eseguiti è emerso che NOME ed i suoi familiari potevano contare, al 31 dicembre 2002, su un patrimonio sufficiente a giustificare gli acquisti successivamente effettuati che, invece, sono sproporzionati per eccesso rispetto ai redditi prodotti dai medesimi soggetti nel periodo in cui NOME COGNOME è stato portatore di pericolosità sociale.
La corretta perimetrazione della pericolosità sociale assume, quindi, valenza decisiva, come del resto indicato dal Procuratore generale ricorrente nell’eccepire l’illegittimità del decreto impugnato nella parte in cui, recependo le indicazioni già fornite con l’ordinanza emessa all’atto del conferimento dell’incarico peritale, la ha esclusa con riferimento al periodo precedente all’anno 2003.
La censura verte, nello specifico, sulla rilevanza riconosciuta alle condotte accertate nell’ambito dei procedimenti penali suggellati dalle condanne per il reato di favoreggiamento personale che, segnala il ricorrente, mettono in luce come COGNOME, sin dalla fine degli anni ’80, è stato strettamente legato, anche per ragioni di carattere familiare, al clan di RAGIONE_SOCIALE, a sua volta alleato con quello di Guardavalle, sotto la cui egida è stata commessa l’estorsione per quale egli ha riportato condanna.
Il Procuratore generale rammenta, ulteriormente, che già l’imprenditore NOME COGNOME, escusso nel procedimento c.d. «Schiera», ha descritto NOME COGNOME COGNOME stregua di soggetto gravitante in ambienti delinquenziali, consapevole della dislocazione sul territorio delle consorterie mafiose, dell’identità dei soggetti coinvolti e della matrice delle attività estorsive perpetrate ai danni di operatori economici della zona.
5. Le obiezioni del ricorrente non colgono nel segno.
Se è vero, infatti, che erra la Corte di appello nell’assumere (cfr. pag. 7), con riferimento ai delitti di favoreggiamento personale, che la riabilitazione disposta nel 2001 – giustificata, è agevole notare, dall’evoluzione della personalità di NOME in epoca successiva alla commissione dei reati – ne preclude l’apprezzamento quale sintomo di pregressa pericolosità sociale, non può trascurarsi, per contro, che la valutazione sottesa al provvedimento impugnato poggia su solide basi fattuali che, pur compatibili con una diversa e più severa esegesi, non consentono di qualificare la motivazione come inesistente o apparente.
Al riguardo, premesso che NOME COGNOME non risulta essere mai stato annoverato tra i partecipi di associazioni mafiose, la decisione impugnata pone l’accento sull’amplissimo iato temporale tra le condotte poste in essere, rispettivamente, nel 1978 e nel 1983, e quelle sfociate nella consumazione dell’accertato delitto estorsivo, ventennio contraddistinto dalla totale assenza di informazioni in ordine all’eventuale contiguità del proposto alle locali compagini di criminalità organizzata.
Dato, questo, di indubbia significatività, cui il ricorrente oppone contestazioni affidate alla pregnanza dei comportamenti tenuti da COGNOME che, però, tratteggia senza il conforto di documentazione di riscontro, ciò che rende il ricorso, per questa parte, generico per carenza di autosufficienza, vizio che si estende alle dichiarazioni di COGNOME, che pure non risultano allegate all’atto di impugnazione.
Né, tantomeno, può trarsi argomento, in senso favorevole alla pubblica accusa, dal tenore del decreto emesso, nel 1992, dal Tribunale di Catanzaro, con il quale è stata rigettata una precedente richiesta, nei confronti di NOME COGNOME, di applicazione di misura di prevenzione a cagione, si legge in quel provvedimento, del fatto che «la situazione (o stato) economico-patrimoniale del proposto non possa ricollegarsi e farsi risalire ad una presunta sua partecipazione ad attività delittuose, essendo confortata ed assistita dall’attività imprenditoriale dal proposto espletata».
Rebus sic stantibus, non può, quindi, stimarsi l’illegittimità della perimetrazione temporale della pericolosità sociale di NOME COGNOME operata dalla Corte di appello e, di conseguenza, della considerazione, in vista del superamento della sproporzione interna al periodo di pericolosità sociale, delle risorse di cui NOME ed i familiari disponevano al 31 dicembre 2022, la liceità della cui acquisizione non è, nella cornice delineata, in alcun modo sindacabile, come, del resto, chiarito dal decreto impugnato, alla pag. 17, ove si legge che «I beni acquisiti subito dopo il momento iniziale della pericolosità sociale possono essere pur sempre acquistati con risorse lecite, accumulate in un periodo antecedente, sfruttando i saldi attivi».
Ineluttabile conseguenza dei superiori rilievi è, in conclusione, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso il 22/09/2023.