Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 16477 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 16477 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CARMAGNOLA( ITALIA) il 30/07/1986
avverso il decreto del 10/10/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con il decreto in epigrafe, la Corte di appello di Torino, Sezione misure di prevenzione, confermava il provvedimento reso dal Tribunale di Torino, Sezione misure di prevenzione, in data 24 gennaio 2024, con il quale erano state applicate, nei confronti di NOME COGNOME la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per tre anni e la confisca di beni mobili (conti correnti e depositi di denaro) e immobili (3/5 di un fabbricato in Asti), intestati, in parte, a familiari.
Ribadiva la Corte di merito che il COGNOME era persona che viveva abitualmente dei proventi di attività delittuose, così come richiesto dall’art. 4, lett. c), in relazione all’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011, tenuto conto che egli, privo di attività lavorativa stabile, con redditi esigui dichiarati soltanto nel 2018 e nel 2021, un lungo arco temporale di otto anni, protrattosi dal maggio 2012 all’ottobre 2020, aveva commesso delitti contro il patrimonio suscettibili di generare significativi guadagni illeciti, riuscendo a impadronirsi di orologi di lusso e preziosi per un importo complessivo pari a centinaia di migliaia di euro; in particolare, agendo, con analoghe modalità e con tecniche professionali collaudate, presso club di golf o resort di lusso ubicati in varie parti d’Italia (province di Torino, Alessandria, Vercelli, Pordenone Siena), spesso intrufolandosi negli spogliatoi.
La Corte di appello confermava, inoltre, la confisca dei 3/5 della proprietà dell’immobile sito in Asti, INDIRIZZO intestato a NOME COGNOME, convivente del proposto, e acquistato in forza di compravendita stipulata in data 11 marzo 2019.
Non era contestato neppure dalla difesa che la provvista per l’acquisto dell’immobile di Asti, pagato 75.000,00 euro, derivasse dalla vendita, al prezzo di 165.000,00 euro, conclusa nel giugno 2018, di un immobile sito in None, acquistato il 2 aprile 2014 al prezzo di 150.000,00 euro più IVA.
Osservava la Corte territoriale che l’acquisto del 2014 era stato effettuato in periodo di pericolosità e quando il proposto e il suo nucleo familiare versavano in una situazione di palese sperequazione patrimoniale ed economica e che, almeno parte dell’acquisto, con particolare riferimento alle rate di mutuo corrisposte dal 2014 al 2017 per l’importo totale di 80.000,00 euro, era stato pagato con somme di provenienza ignota e ragionevolmente illecita, dal momento che sul conto corrente BNL intestato a NOME COGNOME affluivano cospicui versamenti in denaro contante di origine sconosciuta, con cui, poi, venivano pagate le rate semestrali del mutuo.
Accertato che una porzione dell’acquisto immobiliare del 2014 era stata finanziata con il disinvestimento di buoni postali di NOME COGNOME e con elargizioni liberali della madre e della zia di NOME, non era stato, tuttavia, dimostra e, anzi, risultava smentito da alcuni dati di segno contrario, che le somme pagate per le rate del mutuo fossero di provenienza lecita; al riguardo, i giudici del gravame sottolineavano che nel periodo di erogazione delle somme in questione il proposto era stabilmente dedito alla commissione di delitti produttivi di sostanziosi guadagni e in cui il nucleo familiare non dichiarava alcun reddito.
Concludevano, sul punto, i giudici del gravame che doveva considerarsi legittima la confisca dell’immobile di Asti per la quota dei 3/5, stante il parzia impiego di risorse di documentata provenienza lecita per un importo pari a 76.000,00 euro.
Infine, l’entità della cauzione risultava correttamente parametrata ai significativi guadagni derivati dall’attività illecita del proposto.
Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge per motivazione apparente in punto di pericolosità di cui all’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011.
La Corte di appello avrebbe basato il suo giudizio sulla pericolosità sociale del BRESCIANI su due sole condanne definitive, poiché avrebbe erroneamente accomunato, in un unico elenco, anche le semplici denunce, i proscioglimenti e le declaratorie di estinzione del reato per prescrizione.
La Corte di merito sarebbe, poi, incorsa in errore nel valutare, fra gli altri, reato di bancarotta, oggetto della condanna indicata alla lettera a) di pag. 2 del decreto impugnato, in quanto “improduttivo di profitto”.
Il provvedimento, ancora, non avrebbe dato contezza argomentativa dell’accertamento compiuto in merito all’essersi il proposto reso autore di delitti da cui aveva tratto profitto nel caso in cui fosse mancata una sentenza di condanna irrevocabile.
Quanto al procedimento per il furto contestato ai danni di NOMECOGNOME, commesso in data 13 maggio 2012, definito con decreto di archiviazione, si rimprovera ai giudici del gravame di non aver fornito adeguata valutazione della individuazione fotografica eseguita dalla persona offesa, unico elemento probatorio rilevante.
Altrettanto inadeguata, nella prospettazione difensiva, doveva reputarsi la motivazione relativamente alla denuncia per truffa commessa nel marzo 2014 ai danni di RAGIONE_SOCIALE, posto che da tale reato il proposto era stato assolto.
Infine, carenze della motivazione andavano stigmatizzate con riguardo agli episodi indicati nel provvedimento impugnato sub a6) e a7), in quanto tuttora pendenti.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia l’apparenza della motivazione, a proposito della confisca, in ordine alla ritenuta mancata giustificazione della legittima provenienza dei beni e alla ritenuta sperequazione tra i beni medesimi e i redditi dichiarati dal nucleo familiare.
La difesa non contesta l’affermazione, resa nel decreto impugnato, secondo cui, al momento dell’acquisto dell’immobile di None (2014), sia il proposto che la convivente fossero persone prive di redditi dichiarati o legalmente percepiti.
Viceversa, contesta, per le ragioni esposte con il primo motivo, che all’epoca COGNOME fosse soggetto socialmente pericoloso, poiché a suo carico pendevano solo due procedimenti: l’uno, per il furto di Rolex risalente al maggio 2012, poi archiviato per prescrizione; l’altro, per la truffa in danno di Ferrero s.p.a., definito con sentenz di assoluzione.
Denuncia, inoltre, la manifesta illogicità della motivazione a proposito della ritenuta legittimità della confisca parziale dell’immobile di Asti.
Invero, secondo la difesa del ricorrente, una volta considerata lecitamente finanziata una porzione dell’acquisto immobiliare del 2014, ossia la parte pagata in atto (76.000,00 euro), tale importo, unito alla plusvalenza derivante dalla vendita di tale immobile, era nella sua entità assolutamente coincidente con il prezzo di 75.000,00 euro corrisposto per l’acquisto dell’immobile di Asti, che non poteva, perciò, essere confiscato.
Del tutto carente era la motivazione sulla ravvisata sperequazione tra beni e redditi dichiarati, sperequazione apoditticamente affermata in quanto contrastante con le produzioni documentali fornite dalla difesa in riferimento ai significativi ingres leciti percepiti da NOME COGNOME, padre del BRESCIANI, negli anni 2017 e 2018.
2.3. Con il terzo ed ultimo motivo, si eccepisce la carenza della motivazione, per apparenza, in ordine alla durata della misura di prevenzione applicata e all’entità della disposta cauzione.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO .
Il ricorso è, nel complesso, infondato e va, pertanto, rigettato.
Occorre premettere che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 10, comma 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (e del precedente art. 4, I. 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3-ter, secondo comma, I. 31 maggio 1965, n. 575).
Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del citato art. 4 I. n. 1423 del 1956 (ora art. 10, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011), il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365 – 01; Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, COGNOME, Rv. 261590 – 01).
Nella nozione di violazione di legge va, quindi, ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulé, Rv. 279284).
Tanto premesso, infondato deve reputarsi il primo motivo di ricorso, con il quale si rimprovera alla Corte di merito di aver fondato il giudizio di pericolosità c.d generica (art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011) nei confronti del proposto anche tenendo conto di procedimenti pendenti e di esiti di archiviazione per estinzione del reato dovuta a prescrizione.
Le linee guida ermeneutiche tracciate, costantemente, dalla Corte di legittimità in argomento, si pongono, invero, in contrasto con la prospettazione difensiva, in quanto rimandano al condiviso principio per cui, in sede di verifica della pericolosità del soggetto proposto per l’applicazione di una misura di prevenzione ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. n. 159 del 2011, il giudice della prevenzione può valutare non solo gli elementi di fatto accertati con sentenza di condanna, ma anche quelli emergenti da procedimenti penali pendenti per reati a tal fine significativi, nell’ambito dei quali siano stati formulati giudizi non escludenti la responsabilità de proposto (Sez. 2, n. 37849 del 30/05/2024, COGNOME, Rv. 287063 – 01; Sez. 6, n. 36216 del 13/07/2017, COGNOME e altro, Rv. 271372 – 01), a condizione che nq4 sia
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stata emessa una sentenza irrevocabile di assoluzione, in quanto la negazione penale di un fatto impedisce di assumerlo come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità (Sez. 6, n. 45280 del 30/10/2024, COGNOME, Rv. 287312 – 01; Sez. 1, n. 4489 del 26/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284166 – 01; Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280145 – 01); ne consegue che detto potere di autonoma valutazione sussiste anche nel caso di emissione di una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione purché il fatto risulti delineato con sufficiente chiarezza o sia comunque ricavabile in via autonoma dagli atti (Sez. 2, n. 4191 del 11/01/2022, COGNOME, Rv. 282655 – 01; Sez. 2, n. 11846 del 19/01/2018, COGNOME, Rv. 272496 – 01).
3.1. Occorre, altresì, rammentare che, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, le “categorie di delitto” legittimanti l’applicazione di u misura fondata sul giudizio di c.d. pericolosità generica, ai sensi dell’art. 1, commal, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011, devono presentare il triplice requisito – da ancora a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione – per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo (Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280145 – 03; Sez. 2, n. 27263 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 275827 – 01; Sez. 6, n. 21513 del 09/04/2019, COGNOME, Rv. 275737 01).
3.2. La Corte di Appello di Torino ha fatto buon governo dei principi appena richiamati, non incorrendo affatto, come dedotto dal ricorrente, nel vizio di apparenza della motivazione.
La Corte territoriale ha, infatti, evidenziato che, sulla base di sentenze irrevocabili o di procedimenti pendenti , BRESCIANI risulta essere stato autore di almeno 6 episodi di furto di orologi di pregio (Rolex, Patek Philippe), monili e borse di note griffe, tutti oggetti stimati di particolare valore (tra i 10 e i 60 mila euro commessi in resoti -o golf club di lusso tra il maggio 2012 e l’ottobre 2020, nonché di un truffa di 36 mila euro commessa nel 2014 ai danni della RAGIONE_SOCIALE
I giudici del gravame hanno, poi, precisato che, in relazione ai reati oggetto di procedimenti ancora pendenti, le accuse mosse al proposto risultavano ancorate a specifici e persuasivi elementi di fatto, quali individuazioni fotografiche eseguite dalle
persone offese, deposizioni rese da testi oculari, video-riprese, arresti in flagranza e individuazioni eseguite da operanti di polizia giudiziaria.
Risultano, in definitiva, pienamente integrati, in base alla ineccepibile motivazione resa dai giudici di merito, siccome ancorata a precisi elementi di fatto, i tre requisiti richiesti dalla giurisprudenza di legittimità per giustificare l’applicaz di una misura fondata sul giudizio di c.d. pericolosità generica, ai sensi dell’art. 1 comma1, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011: invero, i delitti ascritti al BRESCIANI risultano commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, nella specie protrattosi per almeno otto anni; hanno certamente generato profitti in capo al proposto, come si desume dall’elevato valore di mercato dei beni provento di furto; hanno costituito, in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo, all’epoca non presentante dichiarazioni dei redditi.
Le censure opposte dal ricorrente, oltre ad essere infondate in diritto per quanto precisato in premessa a proposito della possibile valutazione, da parte del giudice della prevenzione, delle emergenze di procedimenti non definiti con sentenza irrevocabile, spendono rilievi non correlati al contenuto della motivazione, laddove, ad esempio, contestano l’apprezzamento, fra le condanne indicate nel provvedimento, di quella per bancarotta documentale, viceversa meramente elencata, ma non inserita tra quelle produttive di guadagni illeciti, ovvero assumono la definizione con decreto di archiviazione per prescrizione del procedimento per il furto di un orologio Rolex in danno di NOME COGNOME mentre la Corte di appello, a pag. 6 del decreto, sottolinea l’attuale pendenza di quel procedimento presso la Procura della Repubblica di Ivrea.
Per il resto, si tratta di critiche meramente generiche ed assertive, che contestano in modo apodittico la valutazione della consistenza indiziaria posta a fondamento del giudizio di pericolosità sociale.
Il secondo motivo, con cui si contesta la confisca dell’immobile, è, in primo luogo, manifestamente infondato laddove denuncia l’apparenza della motivazione.
Premesso che il decreto impugnato ha diffusamente motivato in ordine alla inadeguatezza delle entrate lecite del nucleo familiare per l’acquisto dell’immobile in None nel 2014, in coincidenza con il periodo di manifestazione della pericolosità sociale del proposto – privo, all’epoca, analogamente alla sua convivente NOME COGNOME di redditi dichiarati o legalmente percepiti – devono reputarsi manifestamente infondate le doglianze difensive concernenti la dedotta carenza di motivazione in ordine alla provenienza lecita di parte della provvista utilizzata per l’acquisto dell’immobile suddetto, i proventi della cui vendita sono poi stati impiegati per l’acquisto dell’immobile di Asti nel 2019, in quanto proprio la riconosciuta parziale
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provenienza lecita delle risorse utilizzate per l’acquisto del 2014 (derivanti, come detto, dal disinvestimento di buoni postali appartenenti a NOME COGNOME e da
erogazioni liberali di parenti) ha giustificato una confisca limitata solo al 60
dell’immobile comprato nel 2019.
Le ulteriori censure poste in termini di manifesta illogicità della motivazione, laddove la Corte di merito non avrebbe apprezzato come totalmente lecite le risorse
impiegate per l’acquisto del bene confiscato, non possono trovare ingresso in questa sede, non essendo riconducibili alle ipotesi di inesistenza o apparenza della
motivazione stessa.
5. Anche le doglianze proposte con il terzo motivo sono inammissibili, in quanto non si confrontano con la motivazione del decreto, che, a pagina 8, ha illustrato gli
elementi posti a fondamento della durata della sorveglianza speciale, valorizzando, con congruo argomentare, la reiterazione e la gravità dei fatti predatori, il significativ
ammontare delle ricchezze conseguite, la durata dell’attività delittuosa e il suo essersi sviluppata in molteplici località nazionali.
Altrettanto incensurabile è la motivazione sulla entità della cauzione imposta (nella misura di 10.000, 00 euro), correttamente ritenuta proporzionata all’elevato valore complessivo dei beni trafugati dal proposto.
In conclusione, il ricorso va rigettato, dal che consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
CORTE SUPREMA D! CASSAZIONE