Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23591 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23591 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CATANZARO( ITALIA) il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a .( SVIZZERA) il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a SOVERATO( ITALIA) il DATA_NASCITA
NOME nato a SOVERATO il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 23/06/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibili i ricorsi;
fr
Con decreto del 23 settembre 2023 la Corte di Appello di Catanzaro – a seguito del gravame interposto da NOME COGNOME (proposto) e da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (terzi interessati, ha revocato la confisca delle giacenze relative a una polizza assicurativa intestata alla COGNOME (meglio indicata nello stesso provvedimento) e ha confermato nel resto il decreto del Tribunale di Catanzaro, che aveva applicato a NOME COGNOME la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno per la durata di tre anni e aveva disposto la confisca dei compendi aziendali, degli immobili, dei beni mobili finanziari e delle giacenze specificate nel medesimo decreto.
Avverso il provvedimento di secondo grado il proposto e i terzi interessati hanno presentato ricorso per cassazione, per i motivi di seguito esposti (nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, d. att. cod. proc. pen.).
2.1. Gli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con unico atto, hanno articolato due motivi nell’interesse di NOME COGNOME nonché di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
2.1.1. Con il primo motivo sono state prospettate la violazione degli artt. 125, comma 3, e 192 cod. proc. pen., 1 e 4 d. Igs. 159/2011, e l’apparenza della motivazione in relazione all’attualità della pericolosità sociale di NOME COGNOME, tenuto conto:
degli elementi posti a fondamento della misura, tratti da due procedimenti penali (nei quali rispettivamente il proposto è stato condannato per associazione di tipo mafioso con statuizione irrevocabile, ma non per reati fine, ed è ancora sub iudice per l’«illecita concorrenza per il controllo del settore del taglio boschivo») e, in particolare, della collocazione nel tempo dei fatti in discorso e delle dinamiche criminali emerse nei detti procedimenti;
della sua ininterrotta detenzione dal 16 maggio 2017 (intramuraria) e dal novembre 2020 (domiciliare) nonché della presunzione di adeguatezza della misura carceraria ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. al fine di recidere i legami con il contesto associativo e della finalità rieducativa della pena;
degli elementi di fatto posti a fondamento della sostituzione della custodia cautelare e del provvedimento con il quale il Magistrato di sorveglianza ha rigettato la richiesta di differimento dell’esecuzione della pena proprio in ragione della restrizione domiciliare del proposto.
Tali dati dimostrerebbero l’assenza degli indicatori da cui trarre l’attualità della pericolosità sociale, che non può fondarsi solo sulla gravità delle contestazioni.
2.1.2. Con il secondo motivo è stata addotta la violazione degli artt. 20 e 24 d. Igs. 159/2011, con riguardo alla perimetrazione della pericolosità del proposto, il cui inizio è stato collocato nell’anno 2010 (potendosi essa al più ravvisare nei soli anni 2015 e 2016), così pervenendo in particolare alla confisca del compendio aziendale della RAGIONE_SOCIALE (mai attinta da interdittiva antimafia), giustificata dalla posizione che l’impresa avrebbe assunto sul mercato a seguito di attività estorsive e di illecita concorrenza pianificate ed attuate dal proposto; e ciò in contrasto con i dati probatori emersi in sede penale, non potendosi neppure valorizzare – in ossequio alla giurisprudenza costituzionale e di legittimità – le generiche dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (uno dei quali non ha neppure mai nominato il ricorrente), ritenute inidonee ad elevare una contestazione di estorsione, difettando l’accertamento (e tantomeno la quantificazione) di un profitto illecito in capo al proposto né potendo esso trarsi da una «sperequazione», invero non riscontrata.
2.2. L’AVV_NOTAIO, con unico atto, ha articolato un motivo nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, con il quale ha denunciato la violazione degli artt. 20 e 24 d. Igs. 159/2011 e la mancanza di motivazione. Nonostante quanto dedotto con i motivi di appello e con memoria difensiva in ordine al difetto dei presupposti per attribuire a NOME COGNOME la disponibilità dei beni intestati alla moglie, la Corte di merito ha fatto riferimento soltanto al loro rapporto di coniugio, quantunque l’art. 19, comma 3, d. Igs. 159/2011 indichi soltanto i soggetti nei confronti dei quali svolgere indagini (a differenza dell’art. 26, comma 2, stesso decreto) ed avrebbe del tutto omesso di motivare sul punto. Inoltre, sarebbe accertato che il fabbricato in Vallefiorita, INDIRIZZO (ancora in costruzione, ad eccezione del seminterrato e del piano terra, contrariamente a quanto esposto nel decreto impugnato, che ha pure erroneamente indicato in NOME COGNOME colui che ha venduto il terreno a NOME COGNOME, la quale invece l’ha acquistato da altri), è nell’effettiva disponibilità della COGNOME (al di là del rapporto di coniugio con il proposto) e in esso ha luogo l’attività sportiva della RAGIONE_SOCIALE che negli anni ha prodotto incassi e che si giova di un regime fiscale di favore (elemento contrario alla presunzione di disponibilità in capo al proposto, essendo stati assolto l’onere di allegazione che grava sul terzo interessato); nonostante quanto dedotto (anche per il tramite dei consulenti di parte) e documentato, sarebbero stati erroneamente imputati i costi di costruzione della fabbrica, sostenuti da un soggetto terzo con risorse lecite, ossia la RAGIONE_SOCIALE che negli anni di interesse aveva prodotto utili, essendo rimasta indimostrata la sua qualificazione come impresa mafiosa. Ancora, sarebbe stata erroneamente computata la spesa media ISTAT, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
sia perché non si è avuto riguardo ai «costi necessari» (alla luce dei parametri relativi alla «povertà assoluta») e ai «consumi effettivi», senza spiegarne le ragioni, sia perché si è riportato a debito nell’anno successivo il disavanzo di ogni anni. Ad avviso della difesa, il corretto apprezzamento di tali elementi avrebbe condotto a riconoscere «un saldo attivo» di oltre 66.000 euro, che imporrebbe la revoca della confisca su tutti i beni oggetto di ablazione (non essendo dato comprendere neppure perché essa sarebbe stata revocata soltanto per una polizza) intestati ai terzi.
La richiesta, dell’AVV_NOTAIO, di trattazione orale è stata rigettata poiché si procede ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Come chiarito dalla consolidata giurisprudenza di legittimità:
nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge ai sensi degli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, d. Igs. 159 del 2011; dunque, è escluso dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità il vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.), potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello (dagli artt. 7, comma 1, e 10, comma 2, d. Igs. n. 159 del 2011, in combinato disposto con l’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.; Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246 – 01; nonché Sez. 5, n. 11325 del 23/09/2019, dep. 2020, COGNOME; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080 01; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 257007 – 01);
la motivazione del tutto mancante oppure apparente e, dunque, inesistente, è ravvisabile soltanto quando essa sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 05/03/2015, Rv. 263100 – 01; Sez. 3, n. 11292 del 13/02/2002, Salerno Rv. 221437 – 01); in altri termini, «il vizio di motivazione apparente sussiste solo quando il giudice non dia in realtà conto del percorso logico seguito per pervenire alla conclusione che adotta, argomentando per clausole di stile o affermazioni generiche non pertinenti allo specifico caso
sottoposto alla sua valutazione» (Sez. 6, n. 31390 del 08/07/2011, COGNOME, Rv. 250686), ossia «allorché la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti» (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 196361 – 01; cfr. pure Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244).
Tanto premesso, il primo motivo del ricorso redatto dagli avvocati COGNOME, COGNOME e COGNOME, relativo alla qualificazione di NOME COGNOME come persona in atto socialmente pericolosa, è inammissibile.
La Corte di merito ha disatteso in parte qua il gravame, dando conto:
dell’accertamento definitivo (a far data dal 22 febbraio 2023) della responsabilità del ricorrente per il delitto di associazione di tipo mafioso (segnatamente, per aver svolto in seno al sodalizio de qua un ruolo di vertice, oltre a funzioni di organizzazione e direzione) nonché per più reati fine aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1, comma 1, cod. pen.;
della sua sottoposizione, nel medesimo procedimento, alla custodia cautelare in carcere dal 2017 (quando era in atto il suo agire antigiuridico) in ragione del pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., così ritenendo privo di rilievo il fatto che, dopo il biennio 2016/2017, egli non abbia posto in essere altri reati;
degli elementi emersi in altro procedimento, nel quale NOME COGNOME – sottoposta alla custodia cautelare in carcere nel 2020 – è stato condannato in primo grado per il delitto di cui all’art. 513-bis cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1, comma 1, cod. pen. (la Corte di merito ha evidenziato come egli abbia illecitamente inciso sulla determinazione delle imprese cui affidare appalti);
dell’irrilevanza, al fine di escluderne l’attuale pericolosità sociale, delle patologie dedotte dalla difesa e del corretto comportamento carcerario, fermo restando che, all’atto della sua liberazione (quando sarà stato ristretto in espiazione pena per un periodo superiore a due anni, ipotesi – rileva il Collegio che in atto non consta), dovrà compiersi la rivalutazione prescritta dall’art. 14, comma 2-ter, d. Igs. 159/2011.
Si tratta, con evidenza, di una motivazione tutt’altro che apparente, oltre che pienamente conforme al dato normativo, ragion per cui in parte qua il ricorso è manifestamente infondato; inoltre, rispetto a tale iter argomentativo, il ricorso – a ben vedere – ha prospettato irritualmente un vizio di motivazione (poiché ha dedotto «un’erronea applicazione della legge in ragione di una
carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta»: cfr. Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, COGNOME, Rv. 268404 – 01), proponendo pure un alternativo apprezzamento di merito a questa Corte di legittimità, peraltro, finendo col perorare un diverso apprezzamento di fatto in questa sede di legittimità discorso (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268360 – 01).
3. Il secondo motivo del ricorso redatto dagli avvocati COGNOME, COGNOME e COGNOME, relativo alle statuizioni ablative, è manifestamente infondato e denuncia un vizio non consentito. La medesima conclusione di impone per l’unico motivo di ricorso redatto dal solo AVV_NOTAIO NOME COGNOME, sempre inerente alla disposta confisca. Le censure in discorso possono essere esaminate congiuntamente.
La Corte di appello ha a chiare lettere attribuito a NOME COGNOME la pericolosità sociale dal 2010, rilevando – alla luce del compendio intercettivo in atti – che egli era membro del sodalizio mafioso già richiamato almeno da tale anno; inoltre, il Giudice distrettuale è pervenuto alla conferma della confisca (disposta dal Tribunale) esplicitando la ragione per cui (contrariamente a quanto assunto dalla difesa) nel caso in esame, nel ricostruire gli ordinari esborsi per il sostentamento della famiglia del proposto non possa aversi riguardo alla «soglia di povertà assoluta», per vero rimarcando come i dati probatori acquisiti (che il decreto ha indicato) dimostrino che il tenore di vita del nucleo familiare di NOME COGNOME – pur avendo prodotto redditi irrisori – fosse elevato (peraltro, aggiungendo che, anche ad aderire alla prospettazione difensiva, detti redditi minimi non avrebbero comunque consentito gli impieghi rilevati); ancora, quanto alla RAGIONE_SOCIALE, il decreto impugnato ha evidenziato come, proprio alla luce degli elementi in atti, essa fosse un’impresa mafiosa, da lui gestita, poiché ha goduto di una posizione di assoluto favore sul mercato proprio in forza del metodo impiegato per intimidire i concorrenti ed escluderli dal mercato.
Quanto all’edificazione dell’immobile abitato dalla famiglia del COGNOME e agli ulteriori impieghi – in particolare, le attività esercitate, relative associazione RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE -, la Corte di merito ha dato analiticamente conto degli esborsi necessari per la costruzione del primo e per l’avviamento delle seconde, rimarcandone la discrasia rispetto ai redditi leciti della famiglia (evidenziando pure come la COGNOME non abbia neppure inteso indicare la provenienza di importi elevati destinati al pagamento del fornitore dei materiali impiegati), sottolineando che la stessa RAGIONE_SOCIALE non disponeva di somme lecite sufficienti per far fronte ai costi di edificazione della fabbrica) e che, comunque, i profitti da essa prodotti avrebbero potuto attribuirsi al COGNOME al più per la metà (essendo titolare del solo 50% del capitale), e
soprattutto che – come rilevato – l’impresa deve qualificarsi mafiosa, il che ne rende illeciti i profitti.
Tale iter, evidentemente conforme a diritto, espone in maniera congrua le ragioni a sostegno dell’ablazione: ragion per cui non ricorrono di certo la denunciata violazione di legge e la totale omissione della motivazione (che potrebbe rilevare sub specie della motivazione apparente). Piuttosto, anche i motivi in esame, in realtà, hanno mosso censure alla ricostruzione compiuta dal Giudice distrettuale, ossia hanno addotto irritualmente un vizio di motivazione (segnatamente, per il travisamento degli elementi di prova), il che esime dal dilungarsi oltre (in particolare, per rimarcare che non può comunque giovare in sede di legittimità la deduzione parcellizzata di dati probatori neppure sub specie del travisamento: cfr. Sez. 2, n. 46288/2016, cit.).
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l’evidente inammissibilità dei motivi formulati impone di attribuire loro profili di colpa (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22/02/2024.