Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17682 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17682 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 21/9/1955
COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 13/4/1953
NOME nata a Roma 1’11/10/1961
COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 30/1/1985
COGNOME NOME nata a Roma il 14/7/1982
Persi NOME, nata a Roma il 12/1/1959
NOME nata a Roma il 2/2/1980
avverso l’ordinanza del 10/4/2024 della Corte di appello di Perugia
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 10 aprile 2024 la Corte di appello di Perugia, decidendo a seguito di annullamento con rinvio, disposto dalla Seconda Sezione di questa Corte, ha rigettato l’istanza di revocazione proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché dai terzi interessati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il decreto di confisca emesso il 26 settembre 2017 dal Tribunale di Roma – Sezione misure di prevenzione, confermato parzialmente dalla Corte di appello di Roma il 25 giugno 2019.
La misura di prevenzione patrimoniale era stata disposta nei confronti di NOME e NOME COGNOME ritenuti pericolosi sociali sulla base degli elementi posti a fondamento della sentenza di condanna per i delitti di associazione a delinquere e di illecita concorrenza con minaccia e violenza, pronunciata dal Tribunale di Roma il 24 febbraio 2017.
Avverso l’anzidetta ordinanza della Corte di appello di Perugia ha proposto ricorsi per cassazione il difensore di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, il quale ha dedotto la violazione o l’erronea applicazione dell’art 28 d.lgs. n. 159/2011 nonché la mancanza, la contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione. Secondo i ricorrenti, la Corte di appello di Perugia avrebbe erroneamente affermato che l’epoca di commissione dei reati ex art. 513-bis cod. pen. è più risalente di quella del reato di associazione a delinquere, oggetto della sopravvenuta sentenza della Corte di appello di Roma del 9 febbraio 2021, che, oltre ad assolvere dal reato di cui all’art. 416 cod. pen., avrebbe dichiarato l’estinzione per prescrizione dei quattro reati ex art. 513-bis cod. pen., commessi tra il mese di agosto 2011 e il mese di gennaio 2012. Tali reati, dunque, non potrebbero essere considerati al fine dell’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, in quanto al di fuori del perimetro temporale della pericolosità sociale dei prevenuti, individuato dalla sentenza rescindente nel periodo antecedente all’anno 2011.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati.
Per la migliore comprensione della vicenda sottoposta all’esame di questo Collegio, è utile ricordare i provvedimenti emessi nei confronti di NOME e NOME COGNOME prima dell’ordinanza impugnata.
Come già detto, con decreto del 26 settembre 2017, confermato parzialmente dalla Corte di appello di Roma il 25 giugno 2019, è stata disposta la confisca di vari beni nei confronti di NOME e NOME COGNOME in quanto ritenuti pericolosi sociali sulla base degli elementi posti a fondamento della sentenza pronunciata il 24 febbraio 2017 dal Tribunale di Roma, che li aveva condannati per il reato di associazione a delinquere (così diversamente qualificata l’originaria imputazione ex art. 416-bis cod. pen.), contestato come commesso dall’anno 2003, e per i reati di illecita concorrenza con minaccia e violenza, commessi negli anni 2011-2012.
I ricorrenti avevano presentato istanza di revocazione ai sensi dell’art. 28 d.lgs. 159/11 avverso il decreto di confisca, emesso dalla Corte di appello di Roma il 25 giugno 2019, divenuto irrevocabile il 27 maggio 2020.
Tale istanza era stata fondata sull’assenza dei presupposti di applicazione della misura, atteso che era divenuta irrevocabile la sentenza della Corte di appello di Roma, emessa il 9 febbraio 2021, che, in riforma della pronuncia del Tribunale della stessa città del 24 febbraio 2017, aveva assolto NOME e NOME COGNOME dall’imputazione di cui all’art. 416 cod. pen. con la formula “perché il fatto non sussiste” e aveva dichiarato di non doversi procedere per i reati di cui all’art. 513bis cod. pen., perché estinti per prescrizione. Secondo i ricorrenti, il nuovo elemento era costituito dalla pronuncia irrevocabile di assoluzione, che avrebbe determinato il venir meno dei presupposti originariamente posti a fondamento della misura di prevenzione patrimoniale.
Con ordinanza del 4 maggio 2022 la Corte di appello di Perugia aveva rigettato l’istanza di revocazione, avendo evidenziato che la sopravvenuta assoluzione dal delitto associativo non costituiva elemento idoneo a modificare il giudizio di pericolosità formulato a carico dei proposti per gli anni dal 2003 al 2013, in quanto tale giudizio si fondava, comunque, sui reati di cui all’art. 513-bis cod. pen., risalenti nel tempo e la cui commissione era stata accertata, pur se dichiarati prescritti, e su una estorsione, realizzata negli anni 2012 – 2013.
Il Collegio di appello di Perugia aveva, quindi, confermato la misura patrimoniale sui beni acquisiti dai nominati antecedentemente all’anno 2013.
Tale ordinanza è stata annullata con sentenza dell’8 novembre 2022 della Seconda Sezione di questa Corte, che ha rilevato la mancanza di motivazione in ordine sia all’incidenza della pronuncia di assoluzione per il reato di cui all’art. 416 cod. pen. sulla valutazione dei confini temporali della pericolosità sociale di NOME e NOME COGNOME essendo tale fattispecie contestata a partire dal 2003, sia alla esatta delimitazione del periodo di commissione dei delitti di cui all’art. 513-bis
cod. pen., che sembrava essere limitato agli anni 2011-2012. In particolare, la sentenza rescindente ha sottolineato che, a fronte della pronuncia relativa al reato associativo, nella quale era stata esclusa la sussistenza delle condotte sulle quali si fondava l’originaria indicazione della data di inizio della pericolosità sociale dei prevenuti, la Corte territoriale avrebbe dovuto effettuare uno specifico accertamento al fine di verificare se e in che modo la sopravvenuta assoluzione incidesse sulla valutazione della menzionata pericolosità. Ciò in quanto, come indicato nella sentenza delle Sezioni unite n. 4880 del 26 giugno 2014 (COGNOME, Rv. 262605 – 01), l’esatta perimetrazione temporale della pericolosità sociale costituisce uno dei presupposti originari della confisca di prevenzione.
3. Con ordinanza del 10 aprile 2024 la Corte di appello di Perugia ha rigettato la richiesta di revocazione, avendo rilevato che la perpetrazione delle condotte di illecita concorrenza, per le quali è stata pronunciata sentenza di estinzione per prescrizione, non si collocava esclusivamente negli anni 2011 e 2012, bensì risaliva all’anno 2003 , proseguendo “fino all’attualità” (ossia fino all’anno 2013), coprendo, tra l’altro, un periodo antecedente rispetto a quello di consumazione del reato di associazione per delinquere, oggetto della sentenza della Corte di appello di Roma del 9 febbraio 2021, contestato (solo) a partire dal 2006.
In particolare, nel provvedimento impugnato, si è sottolineato che dalla sentenza della Corte di appello del 2021 si evince che «i reati fine di cui all’art. 513-bis cod. pen. – cui sarebbe stata per gran parte finalizzata la contestata associazione per delinquere – consistevano nel compimento reiterato e continuato nel tempo, a decorrere dal 2003, di condotte minatorie, organizzate e illecite per instaurare un regime monopolistico in Acilia nel noleggio e nella collocazione presso gli esercizi commerciali di apparecchi per il gioco e le scommesse», con la precisazione che tali fattispecie, dal 2003 al 2011, erano state perpetrate «con un ben determinato clan dei casalesi» e dal 2006 in poi «i COGNOME avevano operato anche mediante la società RAGIONE_SOCIALE». Ciò posto, i confini temporali entro i quali doveva orientarsi la valutazione della pericolosità sociale dei COGNOME andavano individuati con riferimento al periodo di commissione dei reati di cui all’art. 513-bis cod. pen., con la conseguenza che la sentenza di assoluzione dal reato associativo non aveva valenza decisiva.
Alla luce di quanto precede deve rilevarsi, tuttavia, che dalla lettura della sentenza della Corte di appello di Roma del 2021 emerge che i reati di cui all’art. 513-bis cod. pen., pur contestati come commessi “dal 2003 all’attualità”, sono stati posti in essere nel 2011 e 2012. In tale pronuncia, infatti, dopo diffuse argomentazioni sull’insussistenza del reato associativo, sono stati passati in rassegna i quattro episodi ricondotti nell’alveo dell’art. 513-bis cod. pen. e si è
precisato che sono stati commessi «tra il mese di agosto 2011 e il mese di gennaio
2012», come si evinceva dalle conversazioni intercettate, intervenute, appunto, nel 2011 e nel 2012. Il periodo intercorrente tra l’anno 2003 e il 2011, invece, era
oggetto delle diverse contestazioni di concorso esterno ad associazione a delinquere di stampo mafioso (anni 2003 – 2006) e associazione a delinquere
semplice (anni 2006 – 2013); reati per i quali i due fratelli COGNOME sono stati assolti perché il fatto non sussiste.
Ne discende che la Corte di appello di Perugia pare avere ancorato il giudizio ex
di pericolosità dei fratelli COGNOME ai quattro reati art. 513-bis cod. pen., così
come accertati dalla Corte di appello di Roma, pur se dichiarati prescritti, ma tali reati, secondo quest’ultima Corte, sono stati realizzati nel 2011 e nel 2012 e non
in epoca precedente, come ritenuto, invece, nell’ordinanza impugnata.
In presenza di quest’ultimo dato e della conseguente necessità di valutare l’incidenza dell’assoluzione dal delitto di cui all’art. 416 cod. pen., come indicato
nella sentenza di annullamento con rinvio di questa Corte, deve rilevarsi che il dictum
Collegio di appello di Perugia ha solo apparentemente motivato in ordine al della pronuncia rescindente, là dove ha affermato che «la sentenza di assoluzione dal reato associativo non ha valenza realmente decisiva, al fine di valutare la pericolosità sociale di NOME e NOME COGNOME, tanto meno con riguardo al mero profilo cronologico (per gli anni antecedenti al 2011), che è quello la cui valutazione specifica è stata demandata» dal Giudice della legittimità.
Si impone, quindi, l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio alla Corte di appello di Perugia, che effettuerà un nuovo giudizio, emendando le criticità suindicate.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.
Così deciso il 4 aprile 2025.