Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22270 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22270 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/11/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23 novembre 2023 il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro ha rigettato l’istanza di ammissione alle misure alternative dell’affidamento in prova al servizio sociale e della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-bis, ord. pen. presentata nell’interesse di NOME in relazione alla condanna ad un anno e sei mesi di reclusione di cui alla sentenza del Tribunale di Catanzaro del 13 novembre 2019.
Il Tribunale ha indicato i numerosi precedenti penali dai quali è gravato il condannato che ha esordito nella commissione di reati negli anni ’80 e, allo stato, risulta averne consumati fino al 2022.
Si tratta di numerosi reati contro il patrimonio, contro l’amministrazione della giustizia (evasioni, violenza e resistenza a pubblico ufficiale), contro la persona (atti persecutori), in materia di stupefacenti ed altro.
Nonostante l’esito positivo di precedenti misure alternative, i giudici hanno messo in evidenza le negative informazioni di polizia e l’estrema pesantezza del curriculum criminale indicativo della spiccata proclività alla commissione di condotte antisociali, con una recidivanza manifestatasi anche successivamente alla fruizione delle predette misure.
In ragione della descritta pericolosità sociale, l’istanza presentata dal condannato è stata respinta.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME, per mezzo del proprio difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito violazione di legge con riferimento agli artt. 47-ter ord. pen. e vizio di motivazione con riguardo all’art. 1 legge 26 novembre 2010, n. 199, oltre che degli artt. 132 e 133 cod. pen.
In particolare, ha lamentato la mancata concessione della misura di cui alla norma da ultimo richiamata che prescinde da ogni valutazione di meritevolezza.
Ha altresì lamentato l’inidoneità della valutazione della pericolosità sociale sulla scorta di un esame estremamente sintetico della personalità basato solo sui precedenti penali.
2.2. Con il secondo motivo ha eccepito l’erronea valutazione delle risultanze processuali con particolare riferimento alla relazione sociale dell’UEPE del 22 novembre 2023.
Nella predetta relazione era stata prospettata la possibilità di applicare al condannato una misura idonea a consentire la partecipazione alle attività
trattamentali.
Nel negare la concessione della detenzione domiciliare, il Tribunale avrebbe omesso di valutare gli indici positivi (fra cui la disponibilità di una stabile dimor all’interno del nucleo familiare che comprende la sola moglie) idonei a permettere l’esecuzione della misura alternativa.
Ha evidenziato che si verte in tema di soggetto solo sporadicamente dedito alla commissione di delitti, dalla natura mite e perfettamente integrato nel contesto in cui vive.
Da ciò deriverebbero i vizi connotanti la valutazione e la motivazione adottate dal Tribunale di sorveglianza di Catanzaro.
3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Invero, si procede a seguito di istanza presentata dal condannato e trasmessa al Tribunale di sorveglianza ai sensi dell’art. 656 cod. proc. pen. a seguito dell’emissione dell’ordine di esecuzione da parte del Pubblico ministero che ne ha disposto la contestuale sospensione.
Il condannato ha richiesto le misure alternative dell’affidamento in prova e della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter ord. pen. sulle quali sulle quali il Tribunale si è pronunciato.
Diversa la modalità esecutiva prevista dall’art. 1 legge 26 novembre 2010, n. 199 secondo cui «la pena detentiva non superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, è eseguita presso l’abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza (···)»·
Le cause di esclusione da tale particolare modalità esecutiva della pena riguardano: i condannati a taluno dei delitti indicati dall’art. 4-bis ord. pen., i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai sensi degli artt. 102, 105 e 108 cod,. pen., i detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare ex art. 14-bis ord. pen., salvo il caso di accoglimento del reclamo previsto dall’art. 14ter ord. pen., il caso in cui vi sia la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga, o ricorrano specifiche e motivate ragioni per ritenere sussistente il pericolo di commissione di altri delitti ovvero quando non vi sia l’idoneità e
l’effettività del domicilio, anche in funzione della tutela delle persone offese dal reato.
La competenza a provvedere spetta, tuttavia, al Magistral:o di sorveglianza e non al Tribunale che, nel caso di specie, risulta avere provveduto sulla domanda che gli è stata devoluta con le istanze aventi ad oggetto le misure sulle quali aveva competenza a decidere.
A ciò si aggiunga che il Tribunale ha motivatamente illusl:rato le ragioni che lo hanno indotto ad affermare la «proclività a delinquere» del ricorrente e la sua «attuale pericolosità sociale» con la conseguente necessità del trattamento i nfra murale.
Si tratta di motivazione che, basata sull’esame dei precedenti penali e dei procedimenti pendenti, oltre che sulle perplessità sollevate anche dall’UEPE (che ha formulato una «prognosi incerta»), consente di affermare la condizione di pericolosità che, a norma dell’art. 1, comma 2, lett. d), legge n. 199 del 2010 esclude anche la concedibilità della diversa misura di cui al primo motivo di ricorso.
2. Il secondo motivo è inammissibile è
2.1. Le argomentazioni sviluppate dalla difesa e volte a censurare, sotto plurimi profili, la motivazione del provvedimento impugnato sono, in primo luogo, manifestamente infondate.
Il Tribunale ha motivato il rigetto della richiesta di misure alternative prendendo in considerazione l’ampia biografia penale del condannato, la pregressa ammissione alle misure alternative, le negative informazioni di polizia giudiziaria, le emergenze della relazione dell’UEPE dalle quali sono emersi un quadro di un soggetto con una «condotta antisociale che si concretizza in un rapporto controverso con l’Autorità», elementi di disagio socio – economico e la proposta di una misura restrittiva con possibilità di partecipare alle attivit trattamentali.
Proprio alla luce della recidivanza, manifestatasi anche suc:cessivamente alla fruizione delle misure alternative, il Tribunale è pervenuto alla conclusione avversata con il ricorso in esame.
L’ordinanza impugnata non ha, in alcun modo, trascurato, quindi, il contento della relazione dell’UEPE che il ricorrente ha posto a base essenziale del secondo motivo di ricorso.
Sul punto, con motivazione fondata sulla base dell’esame dei numerosi precedenti penali e di polizia e del rilievo assegnato alle condotte illecite poste in essere successivamente alla fruizione, in passato, di altre misure alternative, il
Tribunale ha giudicato il ricorrente non meritevole dell’affidamento in prova e della detenzione domiciliare.
La valutazione compiuta risulta immune dai vizi denunciati non presentando alcuna criticità in termini di logicità e coerenza.
Invero, si tratta di un percorso motivazionale assolutamente lineare e completo, sostanziatosi nella espressa (parziale) difformità dalle conclusioni della relazione dell’UEPE sulla base della rilevata permanenza del pericolo di recidiva (profilo, questo, che, dagli stralci della relazione trascritti nell’ordinanza, formato oggetto di valutazione solo parziale da parte dell’Ufficio esecuzione).
2.2. Ulteriore profilo di inammissibilità discende dalla circostanza che il ricorso sollecita la Corte di cassazione ad una sostanziale rivisitazione del giudizio sulla base di argomenti fattuali che, sulla scorta di quanto esposto al punto che precede, risultano essere stati compiutamente esaminati dai giudici di merito.
Le critiche esposte dal ricorrente riguardano profili in fatto, coerentemente scrutinati nella decisione impugnata e la cui riproposizione è tesa – in tutta evidenza – ad una rivalutazione della relazione compiutamente esaminata dal Tribunale ed una rilettura della personalità del condannato oggetto di completa disamina da parte dei giudici di merito.
Così facendo, il ricorso finisce con il proporre argomenti la cui rivalutazione è preclusa in sede di legittimità.
Deve essere ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi d macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento ( Sez. U., n. 24 del 24.11.1999, Spina, rv 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074).
Inoltre, «ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logicogiuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento» (Sez. 2 n. 19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105).
Da quanto premesso, è evidente che il ricorso non è stato articolati nei termini consentiti.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» al versamento della somma, equitativamente fissata in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/04/2024