Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4557 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4557 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME (CUI CODICE_FISCALE) nato a AGRIGENTO il 26/05/1982
avverso il decreto del 06/05/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
A
Ritenuto in fatto
1. Con decreto del 6 maggio 2024, la Corte d’appello di Palermo – sezione misure di prevenzione ha rigettato il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento, emesso dal Tribunale di Agrigento il 19 settembre 2023, che confermava la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, disposta per la durata di anni cinque con provvedimento del Tribunale del 12 febbraio 2018, poi ridotta ad anni quattro dalla Corte d’appello con decreto del 14 ottobre 2019.
In motivazione, la Corte di appello ha ritenuto di non poter valorizzare gli elementi indicati dalla difesa, valutando come tuttora persistente la pericolosità sociale qualificata dell’istante, il quale era stato condannato per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. e per vari episodi estorsivi, con sentenza divenuta irrevocabile in data 8 maggio 2019.
Avverso il decreto, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure ad un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., con cui si duole di violazione di legge in relazione agli artt. 11, comma 2, e 4 e ss. del d. Igs. 150 del 2011.
Le conclusioni della Corte d’appello sarebbero meramente assertive, oltre che carenti in punto di accertamento della pericolosità sociale del ricorrente; in particolare, risultano non motivati i requisiti di attualità e concretezza del pericolo, posto che i giudici della sorveglianza si sono soffermati unicamente su elementi precedenti l’arresto del COGNOME (condannato, per fatti commessi fino al 2013, con sentenza divenuta irrevocabile nel 2019), evitando qualsivoglia analisi circa gli elementi di fatto accertati nel momento applicativo della misura adottata. Una valutazione siffatta finisce per sovrappone struttura, funzione e ratio del processo penale (ricollegato a un determinato fatto costituente reato) al procedimento di prevenzione, nel quale il giudizio di pericolosità sociale può ben riguardare condotte che non costituiscono illecito penale. Come già nel provvedimento del Tribunale di Agrigento, anche nel decreto qui impugnato i requisiti della concretezza e attualità della pericolosità sociale sarebbero stati illegittimamente ancorati all’idea di un’appartenenza quasi “dinastica” del ricorrente all’associazione mafiosa “cosa nostra”, ciò che implica l’adozione di un automatismo non consentito dalla legge. In tal modo, la Corte d’appello avrebbe trascurato i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, alla luce dei quali la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo può essere bensì applicata, a
condizione, però, che essa non costituisca l’unico fondamento dell’accertamento dell’attualità della pericolosità sociale.
Peraltro, ove si consideri che l’originaria valutazione circa la pericolosità sociale del ricorrente è riferibile a fatti interrottisi nel lontano 2013, appare a fortiori illegittima la mancata attualizzazione del giudizio reso dalla Corte d’appello, che ha immotivatamente trascurato gli elementi positivi (quali, segnatamente, il rispetto delle prescrizioni inerenti alla condizione di sorvegliato speciale, lo svolgimento di regolare attività lavorativa, il decorso di un apprezzabile lasso di tempo rispetto all’inizio della misura di prevenzione applicata), emersi in favore del proposto.
3. Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, a) le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. L’unico motivo di ricorso è inammissibile. Ritiene il Collegio che esso, pur deducendo violazione di legge, si traduca, in sostanza, nella non consentita critica della motivazione del provvedimento impugnato. Invero, in tema di procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione in cui va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (v., di recente, Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulè, Rv. 279284 – 01).
Le censure prospettate – di mancata attualizzazione del giudizio di pericolosità sociale e di automatismo valutativo nell’ancorare il giudizio a una presunzione di persistente pericolosità sociale – derivano peraltro da un mancato confronto, critico ed effettivo, con la motivazione dell’impugnato decreto.
Anche l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità valorizzata dalla difesa, pur essendo centrata rispetto al tema in questione, sembra prescindere dal confronto con le peculiarità del caso di specie, pur nitidamente delineate dal giudice d’appello. Ricorso e decreto impugnato valorizzano, a ben vedere, orientamenti giurisprudenziali in parte coincidenti (il riferimento è a Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271511 – 01, richiamata dalla Corte d’appello e a Sez. 6, n. 20577 del 07/07/2020, COGNOME Rv. 279306 – 01,
rievocata dal ricorrente), che ammettono, sì, la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo, subordinando tuttavia tale possibilità 1) alla verifica di specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto 2) alla condizione che la presunzione di stabilità del vincolo associativo non sia l’unico fondamento dell’accertamento di attualità della pericolosità.
Quel che il ricorrente non considera adeguatamente è la corretta applicazione del principio summenzionato al caso in esame. Dopo aver rievocato la complessiva posizione assunta dal COGNOME -accertata da sentenza definitiva- nel contesto malavitoso agrigentino di appartenenza (con ruolo apicale del cd. ottavo mandamento) e l’intensa militanza mafiosa dello stesso nell’ambito, in particolare, delle attività estorsive, la Corte d’appello ha evidenziato la mancanza di elementi indicativi di un avvenuto abbandono di logiche criminali in precedenza condivise e, quindi, l’impossibilità di formulare un ragionevole giudizio di effettiva cessazione di pericolosità qualificata. Del pari condivisibile – e certo non sostenuta da argomentazioni meramente apparenti – è la scelta di non poter valorizzare gli elementi indicati dalla difesa, ritenuti correttamente dalla Corte alla stregua di fattori neutri, posto che il rispetto delle prescrizioni inerenti lo status di sorvegliato speciale non costituisce un valore aggiunto, utile a rimeditare la pericolosità sociale, ma un comportamento dovuto. Medesime considerazioni valgono con riferimento agli altri profili che la difesa richiedere di valorizzare (l’attività lavorativa: v. Sez. 1, n. 37487 del 18/09/2009, COGNOME, Rv. 245355- e il decorso del tempo), dei quali il giudice della prevenzione ha rimarcato l’insufficienza a fungere da concreti segnalatori di una qualche forma di dissociazione, seppur silente. In tal senso, non possono valorizzarsi le censure difensive (ispirate alle considerazioni di Corte cost. n. 291 del 2013 sulla risodalizzazione) volte a valorizzare il tempo decorso in detenzione.
A tal proposito, può essere interessante notare che, nel precedente valorizzato dalla difesa (COGNOME, Rv. 279306 – 01), la Corte di cassazione annullava con rinvio il provvedimento impugnato, rilevando l’omessa valutazione, da parte della Corte di appello, di una serie di elementi -potenzialmente indicativi dell’abbandono delle logiche criminali in precedenza condivise all’interno del sodalizio camorristico d’appartenenza, quali il lungo periodo di permanenza del ricorrente in stato detentivo, la confessione resa, la formulazione di un’offerta reale alle persone offese dei reati, a fini risarcitori. Nel caso in scrutinio, la Corte d’appello ha invece sottolineato l’assenza (negli anni successivi all’inizio della detenzione, peraltro patita, a partire dal 2012, in regime di art. 41 bis ord. pen.) di elementi di fatto utili a smentire la persistente appartenenza del proposto all’associazione mafiosa (quale, ad esempio, un intrapreso percorso rieducativo
volto a rinnegare il sistema ideologico mafioso, un aperto sconfessare un certo codice di valori).
Diversamente da quanto lamentato dalla difesa, i requisiti della concretezza e attualità della pericolosità sociale non sono stati ancorati, sic et simpliciter, con motivazione di puro stile, all’idea di un’appartenenza quasi “dinastica” del ricorrente all’associazione mafiosa “cosa nostra”. Nel tratteggiare brevemente la pregressa vicenda del ricorrente nel contesto mafioso d’appartenenza, la Corte d’appello ha inteso invece evidenziare uno snodo argomentativo che, lungi dall’indebolire la motivazione, ne rafforza la tenuta logica. Ci si riferisce alla dovuta considerazione, rimarcata dalla Corte d’appello, per gli “elementi originariamente acquisiti” (Sez. 1, n. 19657 del 24/01/2017, Palermo, Rv. 269947 – 01), ciò che implica anche la necessità di considerare attentamente il tipo e il grado di pericolosità originariamente accertata.
Senza dubbio, tale verifica non deve andare disgiunta dall’analisi di ulteriori emergenze processuali e dell’evoluzione della personalità in relazione all’eventuale periodo di detenzione patito (si vedano le notazioni riservate da Sez. U COGNOME, cit., in motivazione, punto 7 del considerato in diritto, a Corte cost. n. 291 del 2013, a proposito della necessità di considerare la «detenzione intercorsa medio tempore, come elemento di fatto di possibile modifica dello status quo ante, precisandosi che tale accadimento non può essere considerato indifferente rispetto alle possibili modifiche delle scelte di fondo dell’interessato, proprio in ragione del principio rieducativo sotteso alla potestà statuale di applicazione ed esecuzione della pena, la cui esclusione minerebbe i connotati essenziali del patto sociale in argomento e la cui portata generale impone la considerazione di tale elemento di fatto anche nell’ipotesi di pericolosità derivante da elementi di appartenenza a strutture associative»).
Ma, nel caso di specie, tale doppia verifica è stata svolta in termini effettivi e adeguati dalla Corte d’appello, che, dopo aver premesso come l’accertata presenza di un vincolo associativo tendenzialmente stabile si proietti fisiologicamente verso il futuro, ha considerato non rilevanti gli elementi nuovi, di tenore positivo, asseritamente favorevoli al proposto, sottoposti dalla difesa all’attenzione del giudice d’appello della prevenzione.
Né ricorre, nel caso di specie, l’ipotesi di un’anomala distanza temporale tra i due gradi di giudizio di prevenzione, tale da imporre una speciale rinneditazione dell’attualità della pericolosità sociale del proposto (Sez. 5, n. 28343 del 12/04/2019, COGNOME, Rv. 276135 – 01).
Per le ragioni fin qui evidenziate, il Collegio dichiara inammissibile il ricorso. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna
,
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25/10/2024
Il consigliere estensore
Il presidente