Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26566 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26566 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME SalvatoreCOGNOME nato il 05/09/1967 a Marina di Gioiosa ionica avverso il decreto del 04/02/2025 della Corte d’appello di Reggio Calabria.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATI -0
La Corte d’appello di Reggio Calabria, con il provvedimento in epigrafe, ha confermato il decreto di quel tribunale con il quale è stata dichiarata persistente 1a pericolosità sociale di NOME COGNOME e ordinata l’esecuzione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, già imposta con decreto dello stesso Tribunale del 10 giugno 2000, aggravata con decreto del 20 febbraio 2004.
Il profilo prognostico della persistente e attuale pericolosità sociale del proposto è desunto, in primis, dalla circostanza che si tratta di soggetto di spicco nell’ambito della criminalità organizzata nel circondario di Reggio Calabria. Lo stesso ha
riportato condanna (dopo un annullamento con rinvio da parte di questa Corte) nell’ambito del procedimento n. 3624/2016 ad anni 10, mesi 9 e giorni 20 di reclusione per il reato di cui all’art. 416-bis, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 (ed altro), commesso fino al settembre 2015. La Corte ha rilevato che l’appartenenza alla ‘ndrangheta non è mai stata oggetto di distacco da parte del proposto. La permanenza del vincolo anche durante il periodo detentivo è un dato indiscutibile, attesa l’appartenenza di COGNOME a una mafia storica. Per contro non sono emersi dati positivi, atteso che, a fronte di una buona condotta nel periodo di detenzione patito in Calabria, il proposto è stato raggiunto da ben nove procedimenti disciplinari durante la più lunga carcerazione a Rebibbia. Né può essere considerato dirimente il solo elemento positivo dell’iscrizione a un corso universitario.
Il difensore di COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso detto decreto, censurandone la violazione di legge e il vizio di motivazione poiché la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente verificato la configurabilità del requisito di attualita della pericolosità sociale, ancorato viceversa a una condanna riferita a tatti risalenti nel tempo. I Giudici del merito hanno valorizzato circostanze neutre, quali la mancanza di segni di ravvedimento e di rescissione con l’ambiente criminale, svalutando, per contro, l’efficacia risocializzante della detenzione e il comportamento corretto e improntato al dialogo sempre mantenuto nonostante i procedimenti disciplinari; in tale ottica l’iscrizione al corso universitario negli anni 2017-2018 va letta come parte di un più ampio percorso di rivisitazione autocritica del proprio vissuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Premesso che in materia di prevenzione il ricorso per cassazione è consentito esclusivamente per violazione di legge, le doglianze proposte si palesano per un verso generiche, siccome meramente ripetitive di quelle mosse con l’atto di appello e già motivatamente disattese da quel giudice, e per altro verso manifestamente infondate.
La Corte di appello, richiamati gli elementi evidenziati nel decreto emesso dal Tribunale, ha confermato il giudizio di pericolosità sociale del ricorrente, in ragione della posizione di primo piano rivestita nell’ambito della criminalità organizzata (in particolare, risultando tuttora pendente nel circondario di Reggio Calabria il procedimento n. 3624/2016 per diversi reati, tra i quali quello di cui all’art. 416-bis cod. pen., commesso dal gennaio 2005 e fino al settembre 2015), dell’assenza di manifestazioni di collaborazione durante il periodo di detenzione, e di dissociazione
dal sodalizio, e di ben nove procedimenti disciplinari nei suoi confronti, relativi al periodo di detenzione presso la Casa circondariale di Rebibbia.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso e necessario accertare il requisito dell’attualità della pericolosità e, là dove sussistano elementi sintomatici di una partecipazione del proposto al sodalizio mafioso, è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell’accertamento di attualità della pericolosità (Sez. 6, n. 20577 del 07/07/2020, COGNOME, Rv. 279306).
Nel decreto impugnato, la Corte di appello si è misurata con gli elementi ricavabili dal caso concreto, ritenendo non dirimenti gli elementi nuovi favorevoli dedotti dal proposto (quali, in particolare, la buona condotta nel periodo detentivo trascorso presso le Case circondariali di Reggio Calabria e Locri, e l’iscrizione a un corso universitario), e rilevando per contro, anche alla luce di plurimi comportamenti oggetto di ben nove rapporti disciplinari durante il periodo di carcerazione presso la Casa circondariale di Rebibbia, la mancanza di comportamenti sintomatici della presa di distanza dall’opzione criminale in precedenza condivisa all’interno del sodalizio, non avendo il proposto posto in essere alcun comportamento di dissociazione, né di allontanamento dalla consorteria.
Sotto diverso profilo non sono stati affatto sottovalutati gli argomenti difensivi, dal momento che le relazioni comportamentali favorevoli redatte dagli operatori penitenziari, e la condotta di vita del proposto nei mesi successivi alla scarcerazione, sono state ritenute dai Giudici della prevenzione subvalenti nell’ambito del complessivo esame della condotta tenuta dal ricorrente. E ne hanno conseguentemente e logicamente desunto, in diritto, il giudizio prognostico negativo in ordine all’attuale ed effettiva pericolosità sociale.
Trattasi, a ben vedere, di apprezzamenti di merito che, siccome congruamente giustificati con coerente apparato argomentativo e corretti in linea di diritto, non sono affatto sindacabili in sede di controllo di legittimità del provvedimento impugnato.
Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma ritenuta equa di tremila euro alla Cassa delle ammende.
»2
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in tavore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16/06/2025