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Pericolosità Sociale: Cassazione conferma sorveglianza

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una misura di sorveglianza speciale. La decisione si basa sulla valutazione della pericolosità sociale del soggetto, desunta da una serie di precedenti penali e procedimenti pendenti che delineano uno stile di vita dedito ad attività illecite, come furti e spaccio, ritenendo irrilevante l’inizio di un’attività lavorativa a fronte di un quadro indiziario così consolidato.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: Quando i Precedenti Penali Giustificano la Sorveglianza Speciale

La valutazione della pericolosità sociale di un individuo è uno dei cardini del sistema delle misure di prevenzione nel nostro ordinamento. Ma quali elementi concreti possono portare un giudice a ritenere una persona socialmente pericolosa al punto da applicare una misura restrittiva come la sorveglianza speciale? Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre chiarimenti fondamentali, confermando che una sequenza di reati e uno stile di vita incline al crimine sono sufficienti a giustificare tale misura, anche in presenza di un’attività lavorativa documentata.

I Fatti del Caso: Dalla Misura del Tribunale al Ricorso in Cassazione

Il caso ha origine da un decreto del Tribunale che applicava a un soggetto una misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per due anni, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. La Corte di Appello, successivamente, riformava parzialmente il decreto, confermando la misura ma inquadrando il soggetto nella categoria di coloro che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose.

Secondo i giudici di merito, i numerosi precedenti penali e procedimenti in corso (per reati come incendio, spaccio, lesioni, furti di autovetture e reati informatici) dimostravano che il soggetto traeva le sue principali fonti di sostentamento da attività illecite, mettendo in pericolo la sicurezza pubblica. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo la mancanza dei presupposti per la dichiarazione di pericolosità, l’assenza di una progressione criminale e l’esistenza di un’attività lavorativa che avrebbe dovuto escludere tale giudizio.

La Valutazione della Pericolosità Sociale da parte della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo inammissibile. I giudici hanno sottolineato che il ricorso in materia di misure di prevenzione è ammesso solo per violazione di legge, e non per contestare la valutazione dei fatti o la logica della motivazione del giudice di merito, a meno che questa non sia totalmente assente o meramente apparente.

Nel caso specifico, la Corte di Appello aveva fornito una motivazione adeguata e logica. Aveva correttamente evidenziato come la pluralità di condotte delittuose, commesse in un arco temporale significativo (dal 2019 al 2023), non fosse episodica, ma rappresentasse uno stile di vita consapevole e orientato al crimine. La Corte ha dato peso non solo ai precedenti penali definitivi, ma anche ai procedimenti pendenti e alle misure cautelari recenti, come quella per furto di autovetture, che indicavano una pericolosità sociale attuale.

Le Motivazioni: La Corretta Applicazione dei Principi sulla Pericolosità Sociale

La Suprema Corte ha ribadito che l’accertamento della pericolosità sociale qualificata deve basarsi su ‘elementi di fatto’ e non su meri indizi. Questi fatti devono dimostrare che l’individuo ha scelto il crimine come ‘pratica comune di vita’ per periodi significativi.

La Corte territoriale ha seguito esattamente questo principio. Ha analizzato i plurimi precedenti per reati contro il patrimonio e in materia di stupefacenti, l’inserimento in un gruppo criminale dedito ai furti d’auto e, d’altro canto, l’assenza di un’attività lavorativa continuativa e stabile. La documentazione prodotta dalla difesa, attestante un’attività lavorativa iniziata in concomitanza con un arresto, è stata considerata irrilevante a fronte di un quadro generale così consolidato. La ripetitività dei precedenti penali e lo stile di vita del soggetto hanno logicamente portato alla conclusione della sua pericolosità e al suo corretto inquadramento nella categoria di legge prevista per le misure di prevenzione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida un principio chiave: la valutazione della pericolosità sociale è un giudizio complessivo che non può essere smentito da singoli elementi isolati, come l’inizio di un’attività lavorativa. Per escludere la pericolosità, è necessario un cambiamento radicale e stabile dello stile di vita, non una mera apparenza. La decisione evidenzia che la continuità e la natura dei reati commessi nel tempo sono indicatori potenti di uno ‘stile di vita’ criminale, sufficienti a giustificare l’applicazione di misure di prevenzione volte a tutelare la collettività.

Quali elementi sono necessari per dimostrare la pericolosità sociale di un individuo?
Per dimostrare la pericolosità sociale sono necessari ‘elementi di fatto’ che attestino una pluralità di condotte delittuose non episodiche, distribuite in un significativo arco temporale, tali da far ritenere che il soggetto abbia scelto il crimine come pratica di vita abituale per il proprio sostentamento.

L’inizio di un’attività lavorativa può escludere il giudizio di pericolosità sociale?
No, secondo la sentenza, l’inizio di un’attività lavorativa, soprattutto se coincidente con un arresto o altre vicende giudiziarie, non è di per sé sufficiente a escludere la pericolosità sociale se contrapposto a un quadro consolidato di precedenti penali e uno stile di vita dedito al crimine.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, in materia di misure di prevenzione, è consentito solo per violazione di legge e non per riesaminare nel merito la valutazione dei fatti operata dai giudici precedenti. La Corte ha ritenuto che la motivazione della Corte d’appello fosse logica, completa e non meramente apparente, e che le censure del ricorrente mirassero a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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