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Pericolosità sociale: Cassazione annulla misura sicurezza

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che imponeva la libertà vigilata a un condannato. La decisione è stata criticata perché la valutazione della pericolosità sociale si basava unicamente sulla gravità del reato commesso, ignorando la condotta positiva tenuta dall’individuo dopo la condanna. La Suprema Corte ha ribadito che la valutazione deve essere attuale e complessiva, rinviando il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: La Cassazione Sottolinea l’Importanza della Condotta Post-Reato

La valutazione della pericolosità sociale è un pilastro fondamentale nell’applicazione delle misure di sicurezza. Con la sentenza n. 21012 del 2024, la Corte di Cassazione torna a ribadire un principio cruciale: tale valutazione non può ancorarsi esclusivamente alla gravità del reato commesso in passato, ma deve obbligatoriamente tenere conto del comportamento del condannato successivo alla sentenza. Questo caso offre uno spunto prezioso per comprendere come il sistema giudiziario bilanci la necessità di sicurezza collettiva con il percorso di risocializzazione dell’individuo.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine da una condanna per detenzione illecita di sostanze stupefacenti, a seguito della quale era stata disposta la misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato. Il Tribunale di Sorveglianza, in una prima decisione, aveva rigettato il reclamo dell’interessato. Questa ordinanza, tuttavia, era stata annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione, la quale aveva censurato il ragionamento del Tribunale come illogico e basato su elementi congetturali, sottolineando la necessità di considerare anche il comportamento tenuto dall’imputato dopo la condanna.

Il Tribunale di Sorveglianza, chiamato a decidere nuovamente come giudice del rinvio, ha sostituito la misura dell’espulsione con quella della libertà vigilata per un anno. Tuttavia, anche questa nuova decisione è stata impugnata, portando il caso nuovamente all’attenzione della Suprema Corte.

La Valutazione della Pericolosità Sociale nel Ricorso

Il condannato ha articolato il suo ricorso su tre motivi principali, tutti incentrati sulla scorretta valutazione della sua pericolosità sociale:

1. Violazione del vincolo del rinvio: Il ricorrente ha lamentato che il Tribunale avesse fondato la nuova misura di sicurezza, ancora una volta, sulla sola “non lieve entità del fatto”, lo stesso errore già sanzionato dalla Cassazione nel primo annullamento.
2. Errata applicazione delle norme sulle misure di sicurezza: Si è contestato che la misura fosse stata applicata non sulla base di una pericolosità attuale e concreta, ma come uno strumento per “verificare” la volontà di reinserimento sociale del soggetto, trasformandola in una sorta di indagine su una pericolosità solo presunta.
3. Vizio di motivazione: Il Tribunale è caduto in contraddizione. Da un lato, ha riconosciuto il comportamento positivo del condannato dopo la condanna come sintomo di una volontà di reinserimento, ma dall’altro ha imposto la libertà vigilata basandosi apoditticamente sulla gravità del reato originario, senza adeguata giustificazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato, annullando nuovamente l’ordinanza e rinviando per un nuovo giudizio. I giudici di legittimità hanno evidenziato come il Tribunale di Sorveglianza sia incorso nella medesima violazione di legge già rilevata in precedenza.

Il punto centrale della decisione è che la valutazione della pericolosità sociale, ai sensi dell’art. 203 del codice penale, deve essere un giudizio complessivo e attuale. Non può limitarsi a considerare la gravità del reato, ma deve estendersi a tutti gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., inclusa la condotta del reo successiva al fatto. Ignorare il percorso di risocializzazione intrapreso dal condannato e basare una misura di sicurezza sulla sola gravità del passato crimine costituisce un errore di diritto.

La Corte ha inoltre definito “distorto” l’uso delle regole sull’accertamento della pericolosità. Le misure di sicurezza non possono essere utilizzate come uno strumento per “testare” la volontà di reinserimento di una persona. La loro applicazione presuppone l’esistenza attuale e concreta di una pericolosità, non la necessità di confermare un percorso rieducativo. Imporre una misura per tali finalità esula dal controllo di legalità e si traduce in un’applicazione illegittima.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio cardine dello stato di diritto: le misure che limitano la libertà personale, incluse quelle di sicurezza, devono fondarsi su un accertamento rigoroso, individualizzato e attuale. La gravità di un reato commesso in passato è certamente un elemento di valutazione, ma non può essere l’unico né il preponderante. Il percorso di vita di una persona dopo la condanna, i suoi sforzi per reinserirsi socialmente e la sua condotta concreta sono fattori imprescindibili che il giudice ha il dovere di esaminare attentamente. L’annullamento con rinvio impone al Tribunale di Sorveglianza di colmare le lacune motivazionali e di riesaminare il caso nel pieno rispetto di questi principi, garantendo che ogni decisione sulla pericolosità sociale sia frutto di un’analisi completa e non di presunzioni.

Su quale base un giudice deve valutare la “pericolosità sociale” di un condannato?
La valutazione deve essere attuale, concreta e complessiva. Deve tenere conto non solo della gravità del reato commesso, ma anche della condotta tenuta dalla persona dopo la condanna e di tutti gli altri elementi indicati dall’art. 133 del codice penale, come la sua personalità e il suo percorso di vita.

Una misura di sicurezza può essere applicata basandosi esclusivamente sulla gravità del reato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, fondare l’applicazione di una misura di sicurezza unicamente sulla “non lieve entità del fatto” costituisce una violazione di legge, poiché omette la necessaria e obbligatoria valutazione della condotta attuale e post-condanna del soggetto.

Quali sono i limiti del “giudice del rinvio”?
Il giudice del rinvio, cioè il giudice che deve riesaminare un caso dopo un annullamento da parte della Cassazione, è vincolato a rispettare i principi di diritto affermati dalla Corte stessa. Non può ripetere gli stessi errori logici o giuridici che hanno causato il precedente annullamento e deve attenersi alle indicazioni fornite per il nuovo giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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