Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 15121 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15121 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SINOPOLI il 07/10/1959
avverso il decreto del 08/10/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto emesso in data 08/10/2024, la Corte di Appello di Reggio Calabria ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la decisione con cui il Tribunale della medesima città, il 07/10/2020, gli aveva applicato la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno, per anni tre.
Nel valutare i contenuti della impugnazione, la Corte di merito evidenziava, in sintesi, che correttamente il proposto era stato inquadrato nella categoria di pericolosità sociale qualificata ex art. 4, comma 1, lett. a) d. Igs. 159 del 2011, atteso che, già sottoposto a misura cautelare custodiale nell’ambito del c.d. procedimento Iris, NOME era stato condannato in primo grado in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., alla pena di dodici anni di reclusione, con decisione riformata solo quoad poenam in appello (sentenza emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria il 11/07/2024); attraverso un’analisi condotta in autonomia rispetto alle risultanze del giudizio di cognizione, i Giudici della prevenzione hanno osservato come dall’esame degli atti si ricavasse che il proposto, legato da vincoli di parentela con i capi indiscussi della cosca, fosse pienamente inserito nell’omonimo clan ‘ndranghetista, nell’ambito del quale si occupava della gestione delle armi, del controllo del territorio e dell’intrattenimento dei rapporto con gli esponenti di altri cosche, con i quali si discuteva di progetti estorsivi e del rispetto delle regole associative.
La Corte di merito riteneva altresì sussistente il requisito dell’attualità della pericolosità sociale, atteso il ruolo non marginale rivestito dal proposto nell’associazione mafiosa, il decorso di un non rilevante periodo temporale rispetto alla commissione dei fatti già giudicati (anche considerato che la partecipazione mafiosa era stata contestata nel procedimento Iris in forma aperta, dal 2013 in permanenza), e l’assenza di concreti e precisi elementi che evidenziassero la dissociazione dal
sodalizio.
Avverso detto decreto ha proposto ricorso per Cassazione, per mezzo del difensore, NOME COGNOME deducendo violazione di legge, in particolare degli artt. 1 e 4 d. Igs. 159 del 2011.
2.1. Il ricorrente censura in particolare l’impugnato decreto sotto il duplice profilo dell’inquadramento dell’Alvaro nella categoria dei soggetti pericolosi e della ritenuta attualità della pericolosità sociale.
Quanto all’inserimento del proposto nella categoria dei socialmente pericolosi, i Giudici della prevenzione hanno reso una motivazione carente e lacunosa, omettendo di condurre una analisi doverosamente autonoma rispetto alle risultanze del processo di cognizione, che ha visto COGNOME condannato nei due giudizi di merito. Peraltro, la
Corte di merito, per fondare il giudizio di pericolosità sociale, ha citato una intercettazione (la n. 1339) sul presupposto che essa facesse riferimento ad una detenzione di armi, senza considerare che in appello, a seguito di perizia trascrittiva disposta ex art. 603 cod. proc. pen., l’assunto si fosse dimostrato infondato.
Venendo al profilo dell’attualità della pericolosità sociale, osserva la Difesa come relativamente alla sentenza di secondo grado che ha confermato la ritenuta partecipazione in associazione mafiosa del proposto, non fossero ancora state depositate le motivazioni: l’onere motivazionale della Corte reggina in ordine a tale requisito non poteva quindi ritenersi mitigato. Dal momento, pertanto, che la condotta partecipativa era contestata all’COGNOME negli anni 2013, 2014, doveva ritenersi difettare l’attualità della sua pericolosità sociale.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME COGNOME nella sua requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Va, invero, premesso che l’assetto normativo in tema di sindacabilità della motivazione dei provvedimenti emessi in materia di misure di prevenzione – personali e patrimoniali – è rimasto ancorato al profilo della «assenza» di motivazione, posto che il Giudice delle leggi ha dichiarato la infondatezza (Corte cost., sent. n. 106 del 2015) della questione di legittimità costituzionale che era stata sollevata – sul tema – dalla V Sezione Penale di questa Corte di legittimità in data 22 luglio 2014. Resta fermo, pertanto, il criterio regolatore secondo cui il ricorso per cassazione in tema di decisioni emesse in sede di prevenzione non ricomprende – in modo specifico – il vizio di motivazione (nel senso della illogicità manifesta e della contraddittorietà), ma la sola violazione di legge (art. 4, undicesimo comma, legge n. 1423 del 1956/ art. 10, comma 3 d. Igs. n. 159 del 2011). Da ciò, per costante orientamento di questa Corte, deriva che è sindacabile la sola «mancanza» del percorso giustificativo della decisione, nel senso di redazione di un testo del tutto privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità (motivazione apparente) o di un testo del tutto inidoneo a far comprendere l’itinerario logico seguito dal giudice (tra le altre, Sez. I, n. 8641 del 26/02/2009, NOME, Rv. 242887).
Va ancora ricordato come, nel giudizio di prevenzione, operi la regola della piena utilizzazione di qualsiasi elemento indiziario desumibile anche da procedimenti penali in corso: è quindi possibile utilizzare nel giudizio di prevenzione, ai fini del giudizio di pericolosità sociale del proposto, elementi di prova o indiziari tratti da procedimenti
penali non ancora conclusi, naturalmente confrontandosi in modo autonomo con gli elementi stessi per stabilire se essi, una volta accertati, per la consistenza e il significato che posseggono, siano idonei a fondare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’applicazione della misura (Sez. 1, n. 24707 del 01/02/2018, COGNOME, Rv. 273361; Sez. 6, n. 36216 del 13/07/2017, COGNOME, Rv. 271372; Sez. 5, n. 1831 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265862).
NOME Orbene, nel caso in scrutinio, la Corte di appello ha ritenuto corretto l’inquadramento del proposto nella categoria di pericolosità sociale qualificata di cui all’art. 4, comma 1, lett. a) d Igs. 159 del 2011, in quanto indiziato di appartenere ad associazione mafiosa, rilevando come il medesimo fosse stato condannato, con sentenza non definitiva, per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., commesso dal 2013 in permanenza.
Va quindi innanzitutto rilevato come del tutto aspecifico si appalesi il riferimento contenuto in ricorso (pag. 2) all’art. 4, comma 1, lett. c) d. Igs. 159 del 2011.
Ciò chiarito, osserva il Collegio come la Corte reggina abbia operato una corretta disamina degli elementi posti alla sua valutazione.
In particolare, in ossequio al già citato insegnamento di questa Corte di legittimità in tema di autonomia tra il giudizio di cognizione e quello di prevenzione, la Corte territoriale ha analizzato le risultanze del procedimento penale a carico dell’COGNOME evidenziando come in esso si fosse accertata la partecipazione del prevenuto nell’omonima cosca, nell’ambito della quale egli aveva il compito di gestire le armi, controllare il territorio, intrattenere rapporti con esponenti delle altre cosche.
Le doglianze mosse in ricorso, con specifico riferimento alla dedotta insussistenza della pericolosità sociale in capo all’COGNOME, sono generiche, aspecifiche, e manifestamente infondate. Richiamati i limiti della disamina riservata a questa Corte di legittimità, osserva il Collegio come, in disparte dell’erroneo riferimento a norma di legge non in concreto applicata , il ricorrente si limiti a contestare genericamente i presupposti fondanti la decisione della Corte, in termini meramente confutativi.
Il riferimento alla conversazione n. 1339, che, secondo la difesa, sarebbe stata oggetto di accertamento peritale disposto nel processo di appello (con esito favorevole all’imputato), sconta il difetto di non autosufficienza, non essendo stata allegata al ricorso né la trascrizione disposta a fondamento della decisione di primo grado, né quella effettuata dai periti in appello.
In ogni caso trattasi all’evidenza di argomento non dotato di decisività, atteso che il discorso giustificativo posto dalla Corte a sostegno dell’inquadramento dell’COGNOME come soggetto socialmente pericoloso, era ben più ampio e faceva riferimento a numerosi altri elementi, da soli idonei a sostenere il conclusivo giudizio.
Quanto all’attualità della pericolosità sociale, occorre tener conto del perimetro valutativo del giudice in questo ambito, come disegnato da Sez. U., n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271511, secondo cui, ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso è necessario accertare il requisito della “attualità” della pericolosità e, laddove sussistano elementi sintomatici di una “partecipazione” del proposto al sodalizio mafioso, è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell’accertamento di attualità della pericolosità.
Secondo Sez. 2, n. 24585 del 09/02/2018, PG c. Papalia, Rv. 272937 – 01, ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di un condannato per il reato di associazione di tipo mafioso, qualora sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo tra l’accertamento in sede penale e la formulazione del giudizio di prevenzione, è onere del giudice compiere l’accertamento dell’attualità della pericolosità sociale in rapporto ai tre indicatori fondamentali, costituiti dal livello del coinvolgimento del proposto nella pregressa attività del gruppo criminoso, dalla tendenza del gruppo di riferimento a mantenere intatta la sua capacità operativa nonché dalla manifestazione, in tale intervallo temporale, da parte del proposto di comportamenti denotanti l’abbandono delle logiche criminali in precedenza condivise.
Ebbene, nel caso di specie, la Corte reggina ha fatto corretta applicazione dei succitati principi, avendo evidenziato, innanzitutto, come il lasso temporale intercorso tra l’applicazione della misura e l’accertamento giudiziale penale non fosse rilevante, atteso che la contestazione del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. era stato formulato dal 2013 in forma aperta, e quindi in permanenza.
Inoltre, la Corte ha evidenziato come non fosse emerso alcun elemento tale da far ritenere che COGNOME, che aveva svolto all’interno dell’omonima cosca, un ruolo non marginale, avesse abbandonato le logiche criminali in precedenza condivise.
In definitiva, le censure della Difesa appaiono dirette ad una rivisitazione, da parte di questa Corte, dei medesimi elementi già vagliati, con motivazione non apparente né carente, dai giudici della prevenzione e, dunque, risultano inammissibili in quanto non consentite in sede di legittimità.
NOME Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile; segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma pecuniaria che pare congruo determinare in euro 3.000,00, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24/01/2025