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Pericolosità sociale attuale: la detenzione non basta

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto sottoposto a sorveglianza speciale per la sua partecipazione a un’associazione finalizzata al narcotraffico. La difesa sosteneva che la lunga carcerazione preventiva e la buona condotta avessero fatto venir meno la pericolosità sociale attuale. La Suprema Corte ha invece stabilito che né la detenzione, né la concessione di benefici come la liberazione anticipata, sono di per sé sufficienti a escludere un giudizio di pericolosità, specialmente a fronte di un ruolo di rilievo nel contesto criminale. È onere dell’interessato fornire prove concrete del proprio percorso di risocializzazione.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale Attuale: la Detenzione non Basta a Escluderla

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 43773/2024, offre un importante chiarimento su un tema cruciale nelle misure di prevenzione: la valutazione della pericolosità sociale attuale. Il caso analizzato dimostra come il periodo di detenzione preventiva, anche se lungo, e la concessione di benefici penitenziari non siano elementi automaticamente sufficienti a dimostrare che un soggetto abbia cessato di essere un pericolo per la società. La Corte sottolinea la necessità di una valutazione concreta e non presunta del percorso di risocializzazione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un individuo, condannato in via definitiva per la partecipazione a un’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, al quale era stata applicata la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale. La Corte di Appello di Palermo aveva confermato tale misura, ritenendo il soggetto ancora socialmente pericoloso in virtù del suo ruolo centrale e fiduciario all’interno del gruppo criminale.

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando che i giudici di merito non avessero adeguatamente considerato l’attualità della pericolosità. In particolare, si contestava la mancata valorizzazione di elementi ritenuti cruciali, quali:

* Il lungo periodo di carcerazione preventiva scontato.
* Il percorso rieducativo intrapreso, con attività lavorativa svolta in carcere e, successivamente, in regime di arresti domiciliari.
* La concessione di periodi di liberazione anticipata, a riprova della buona condotta.

Secondo la tesi difensiva, questi fattori avrebbero dovuto portare a una riconsiderazione del giudizio di pericolosità, ritenuto non più attuale.

La Valutazione della Pericolosità Sociale Attuale

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nella distinzione tra la mera detenzione e un effettivo e comprovato percorso di risocializzazione. I giudici hanno sottolineato come il ruolo nevralgico ricoperto dal soggetto nell’organizzazione criminale delineasse un grado di pericolosità talmente elevato e radicato da non poter essere neutralizzato semplicemente dal tempo trascorso in carcere.

La Corte ha chiarito che il giudizio sulla pericolosità sociale attuale non può basarsi su automatismi, ma richiede una valutazione caso per caso. Non è sufficiente affermare di aver intrapreso un percorso rieducativo; è necessario dimostrarlo con elementi concreti, che nel caso di specie sono stati ritenuti assenti o meramente generici.

Le Motivazioni della Cassazione

Le motivazioni della Suprema Corte si articolano su tre punti principali:

1. La detenzione preventiva non equivale a risocializzazione: La Corte ha ribadito che la detenzione, specialmente se preventiva (cioè subita prima della condanna definitiva), non implica di per sé il completamento di un percorso di rieducazione. La funzione risocializzante della pena, pur sancita costituzionalmente, è un obiettivo da verificare, non un risultato scontato. Grava sull’interessato l’onere di indicare le circostanze specifiche che dimostrino un’evoluzione positiva della propria attitudine antisociale.

2. L’irrilevanza della liberazione anticipata: Anche la concessione della liberazione anticipata non è stata ritenuta decisiva. Questo beneficio, come precisato dalla giurisprudenza costante, si fonda sulla valutazione della “condotta esteriore” del detenuto e sulla sua adesione al programma di trattamento. Tuttavia, non presuppone una diagnosi di completa risocializzazione già avvenuta, ma solo la partecipazione a un processo “in itinere”. Pertanto, non può da sola escludere un giudizio di persistente pericolosità sociale ai fini delle misure di prevenzione.

3. La gravità dei fatti originari: La Corte ha dato grande peso alla centralità del ruolo del ricorrente nel contesto criminale. Un coinvolgimento così intenso e strutturato è stato considerato un indicatore di una pericolosità radicata, tale da rendere ininfluenti, in assenza di prove contrarie concrete, gli elementi addotti dalla difesa.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida un principio fondamentale in materia di misure di prevenzione: la valutazione della pericolosità sociale deve essere sempre ancorata all’attualità e basata su elementi di fatto concreti. Il tempo trascorso in detenzione o la buona condotta in carcere sono fattori che il giudice deve considerare, ma non creano alcuna presunzione di cessata pericolosità. Per ottenere la revoca o la non applicazione di una misura di prevenzione, è indispensabile fornire la prova tangibile di un reale e profondo cambiamento, che vada oltre il semplice rispetto delle regole carcerarie. Questa decisione riafferma la natura preventiva e non punitiva di tali misure, finalizzate a proteggere la collettività da un rischio concreto e attuale.

La detenzione preventiva subita è sufficiente a dimostrare che una persona non è più socialmente pericolosa?
No, secondo la Corte, la detenzione preventiva non è di per sé una prova della cessata pericolosità. L’interessato ha l’onere di dimostrare, con elementi concreti, l’impatto positivo del periodo di detenzione sulla sua attitudine antisociale.

La concessione della liberazione anticipata incide sulla valutazione della pericolosità sociale attuale ai fini delle misure di prevenzione?
No, la Corte ha ribadito che la liberazione anticipata si basa sulla “condotta esteriore” e sull’adesione a un percorso di reintegrazione, ma non presuppone una diagnosi di risocializzazione già avvenuta. Pertanto, non esclude automaticamente un giudizio di pericolosità sociale.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni della difesa sono state ritenute generiche e basate su un presupposto errato, ovvero che la funzione rieducativa della pena si applichi automaticamente senza una verifica caso per caso. Inoltre, non sono stati forniti elementi concreti a sostegno della tesi della cessata pericolosità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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