Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35694 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35694 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME NOME, nato a NOMErno il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Gioia Tauro il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Cinquefrondi il DATA_NASCITA
avverso il decreto emesso in data 14.07.2023 dalla Corte di appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIOCOGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con il decreto impugnato la Corte di appello di Reggio Calabria ha parzialmente accolto gli appelli proposti dal proposto NOME COGNOME e dai terzi interessati NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il decreto emesso in data 29 febbraio 2021 dal Tribunale di Reggio Calabria, che ha applicato nei confronti di NOME COGNOME la misura di prevenzione speciale di pubblica sicurezza per la durata di tre e ha disposto la confisca di plurimi beni intestati a ricorrenti.
AVV_NOTAIO‘AVV_NOTAIO NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, ricorre avverso tale decreto e ne chiede l’annullamento, deducendo due motivi.
2.1. Il difensore, con il primo motivo di ricorso, denuncia la violazione degli artt. 1 e 4 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 per difetto del presupposto dell’attualità della pericolosità sociale del proposto.
Il giudizio di pericolosità sociale del proposto sarebbe stato, infatti, fondato su procedimenti penali risalenti e sulle sue relazioni familiari e, pertanto, sarebbe stata omessa la motivazione con riferimento all’attualità della pericolosità del proposto.
Il difensore rileva, inoltre, che NOME è stato detenuto in carcere dal novembre 2018 sino all’ottobre 2020 e in tale lasso temporale sarebbe stato sottoposto a trattamenti specificamente volti alla sua risocializzazione.
COGNOME è, peraltro, stato sottoposto ad analoga misura di prevenzione, con riferimento alle risultanze di procedimenti n. 51647/2000 R.G.N.R. D.D.A. c.d. Bosco selvaggio, e n. 10997/00 R.G.N.R. D.D.A., c.d. Catania, per condotte risalenti agli anni 1999-2000, e il Tribunale di Reggio Calabria, con decreto del 9 novembre 2010 lo ha dichiarato socialmente non pericoloso, rigettando la proposta.
Nel procedimento c.d. COGNOME, relativo a condotte poste in essere negli anni 2014-2015, il proposto, inoltre, era stato condannato alla pena di due anni di reclusione, ma come partecipe di una associazione a delinquere e non quale associato ad un sodalizio di tipo mafioso.
La relazione comportamentale del proposto durante il suo percorso carcerario, inoltre, non avrebbe evidenziato condotte censurabili e l’NOME, appena revocata la misura cautelare, nonostante l’emergenza epidemiologica da Covid-19, aveva intrapreso attività lavorativa lecita.
Gli elementi posti a fondamento del giudizio di pericolosità sarebbero, dunque, inidonei a dimostrarne l’attualità della pericolosità sociale del proposto.
La Corte di appello, inoltre, avrebbe illegittimamente applicato l’automatismo
secondo il quale «semel mafioso, semper mafioso».
2.2. Con il secondo motivo il difensore censura l’inosservanza dell’art. 24 del d.lgs. 159 del 2011 in ragione dell’insussistenza degli indici fattuali atti legittimare l’adozione della confisca di prevenzione.
Il difensore premette che la Corte di appello ha disposto la confisca di immobili, conti correnti e somme di danaro dei ricorrenti, ritenendo sussistente la correlazione temporale tra l’epoca degli acquisti dei beni in confisca (2002, 2014, 2015, 2016, 2017 e 2018) e le manifestazioni di pericolosità sociale del preposto.
Difetterebbe, tuttavia, la dimostrazione della provenienza illecita dei beni confiscati.
Il Collegio, muovendo dalla ritenuta prova della pericolosità sociale qualificata del proposto, ha disposto la confisca dei beni ritenuti al medesimo direttamente riconducibili, in quanto ha ravvisato una significativa sproporzione tra i redditi e le entrate vantate dallo stesso, dalla moglie (NOME COGNOME) e dal suo nucleo familiare di origine.
La Corte di appello, tuttavia, non avrebbe considerato le puntuali allegazioni svolte dalla difesa, anche mediante consulenza contabili di parte, per dimostrare come i beni oggetto di confisca fossero entrati nel patrimonio del proposto e dei terzi interessati a mezzo di risorse economiche e finanziarie la cui provenienza lecita sarebbe stata dimostrata «con metodo scientifico».
Non vi sarebbe, dunque, la prova che le acquisizioni patrimoniali costituiscano la diretta derivazione causale della provvista formatasi nel periodo di attività illecita.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 5 giugno 2024, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, NOME AVV_NOTAIOCOGNOME, ha chiesto di dichiarare inammissibili i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Occorre premettere che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno inoltre chiarito come possa 3 GLYPH
dirsi ormai pacifico l’indirizzo giurisprudenziale che, con riguardo a tutti i casi ne quali il ricorso per Cassazione è limitato alla sola «violazione di legge», esclude la sindacabilità dell’illogicità manifesta della motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1, lett. e) cod. proc. pen., in quanto vizio non riconducibile alla tipologia della violazione di legge. Si ritiene infatti che, in queste ipotesi, il controll legittimità non si estenda all’adeguatezza delle linee argomentative ed alla congruenza logica del discorso giustificativo della decisione, potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Cass., Sez. U, 28 maggio 2003 n. 12, Pellegrino): quando essa manchi assolutamente o sia, altresì, del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento (Così, Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710).
Il difensore, con il primo motivo di ricorso, denuncia la violazione degli artt. 1 e 4 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 per difetto del presupposto dell’attualità della pericolosità sociale del proposto.
4. Il motivo è infondato.
4.1. Le Sezioni unite di questa Corte, nell’interpretare l’art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs. del 6 settembre 2011, n. 159, nel testo vigente a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, hanno sancito che il concetto di “appartenenza” ad una associazione mafiosa, rilevante per l’applicazione delle misure di prevenzione, comprende la condotta che, sebbene non riconducibile alla “partecipazione”, si sostanzia in un’azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017 (dep. 2018), COGNOME, Rv. 271512 – 01).
Nella medesima sentenza le Sezioni unite hanno precisato che, ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso è necessario accertare il requisito della “attualità” della pericolosità del proposto.
La Corte in motivazione ha precisato che solo nel caso in cui sussistano elementi sintomatici di una “partecipazione” del proposto al sodalizio mafioso, è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi d fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento
dell’accertamento GLYPH di GLYPH attualità GLYPH della GLYPH pericolosità GLYPH (Sez. GLYPH U, GLYPH n. GLYPH 111 del 30/11/2017 (dep. 2018), COGNOME, Rv. 271512 – 01; conf. Sez. 6, n. 205 del 07/07/2020, COGNOME, Rv. 279306 – 01; Sez. 2, n. 8541 del 14/01/202 COGNOME, Rv. 278526 – 01).
4.2. La Corte di appello di Reggio Calabria ha fatto buon governo di ta consolidati principi, in quanto ha ottemperato all’obbligo di motivazione impo dalla legge, ritenendo comprovata la pericolosità qualificata del ricorrente scorta delle risultanze del procedimento penale COGNOME e di plurime chiamate correità che dimostrano l’intraneità dell’NOME, a livelli apicali e con parentali, nel clan ‘ndranghetistico COGNOME e la sua attività illecita nella del narcotraffico e del gioco e delle scommesse nell’interesse della cosca.
Il proposto 4 7 – peraltro, súlz+ sin dai primi anni 2000 era risultato parteci di due sodalizi criminosi dediti al narcotraffico.
Sulla base di queste risultanze il Tribunale e la Corte di appello ha dunque, ritenuto attuale sia la pericolosità qualificata (art. 4, comma 1, l d.lgs. n. 159 del 2011), che quella generica (art. 4, comma 1, lett. c), d 159 del 2011), del proposto.
La Corte di appello ha, inoltre, rilevato che le deduzioni difensive basate revoca della misura custodiale nel 2020 e l’attività lavorativa di seguito intr non costituiscono indici fattuali determinanti per escludere l’attuale perico sociale del proposto, in quanto non risulta affatto che il ricorrent concretamente dissociato dalle logiche mafiose in cui ha maturato la sua capac a delinquere, né che abbia avviato un percorso di rivalutazione critica del pr operato (pag. 18 del decreto impugnato).
4.3. La motivazione del provvedimento impugnato è, dunque, effettiva e non carente.
Le censure di violazione di legge proposte dai ricorrenti sono, inoltre t manifestamente infondate e inammissibili, nella parte in cui propongono un diversa interpretazione delle risultanze probatorie delineate nel dec impugnato.
Con il secondo motivo il difensore censura l’inosservanza dell’art. 24 d.lgs. 159 del 2011 in ragione dell’insussistenza degli indici fattual legittimare l’adozione della confisca di prevenzione, in quanto difettereb correlazione temporale tra l’epoca degli acquisti dei beni in confisca (2002, 2015, 2016, 2017 e 2018) e le manifestazioni di pericolosità sociale del prepo e della provenienza illecita dei beni confiscati.
Il motivo è inammissibile per aspecificità, in quanto i ricorrenti deduc che la Corte di appello non ha considerato censure proposte alla Corte di appe
senza, tuttavia, indicare in concreto su quale punto della decisione sia ravvisabile l’omessa motivazione.
La Corte di appello ha, peraltro, motivato diffusamente e in termini non apparenti in ordine alla cd. correlazione temporale tra gli acquisti e la pericolosità sociale, in quanto gli acquisti dei beni confiscati (negli anni 2002, 2014, 20152018) erano coevi alle manifestazioni di pericolosità sociale del proposto, che già nei primi anni 2000 era risultato partecipe di due sodalizi criminosi dediti al narcotraffico, tra la Calabria e la Sicilia, dai quali COGNOME aveva tratta rilevanti proventi di natura illecita.
La Corte di appello ha, inoltre, diffusamente motivato in ordine alla significativa sperequazione tra i redditi e le entrate vantate in quel lasso temporale dal proposto, dal coniuge (NOME COGNOME) e dal suo nucleo familiare di origine.
I ricorrenti, peraltro, si sono limitati a richiamare principi di diritto affer dalla giurisprudenza di legittimità in materia di applicazione di misure di prevenzione patrimoniali, senza specificamente riferirli alla motivazione del provvedimento impugnato.
È, del resto, inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di ricorso che risolveva nella mera enunciazione dei principi giurisprudenziali (ex plurimis: Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, Ruci, Rv. 267611), senza riferimenti alla fattispecie concreta, quale risulta dal provvedimento impugnato.
Alla stregua di tali rilievi, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili
I ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2024.