Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11749 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11749 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GUARDAVALLE il 02/01/1974
avverso il decreto del 03/07/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con il decreto di cui in epigrafe la corte di appello di Salerno rigettava l’istanza di revocazione delle misure di prevenzione personale e reale disposte nei confronti di NOME NOME con decreto del Tribunale di Catanzaro in data 19.2.2018, divenuto irrevocabile a seguito della sentenza n. 8158 pronunciata dalla Corte di Cassazione in data 18.1.2022.
Avverso il decreto della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il COGNOME, lamentando, con un unico motivo di ricorso, violazione di legge, con riferimento all’art. 4, d.lgs. n. 159 del 2011, e difetto di motivazione o motivazione illogica, in quanto la corte territoriale, dopo avere dato atto dell’assoluzione del COGNOME NOME da tutte le imputazioni riferibili al procedimento penale cd. Itaca-Free Boat, ha considerato irrilevante, ai fini della valutazione della pericolosità sociale del proposto, la sua assoluzione dal reato di estorsione, in ciò modificando, in assenza di adeguata motivazione, il giudizio espresso in primo grado dal tribunale di Catanzaro, che definì, invece, fondamentale, quell’imputazione per la valutazione della pericolosità sociale del COGNOME.
Il ricorrente, premesso che la Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che la mera vicinanza o contiguità a un’associazione a delinquere di stampo mafioso non equivale ad appartenenza, se non in presenza di circostanze significative della funzionalità della vicinanza e della contiguità del soggetto rispetto alle esigenze della cosca, rileva che la corte territoriale ha omesso di indicare le ragioni per le quali, ciò che era stato considerato semplice elemento di contiguità, oggi, a seguito dell’assoluzione dal reato estorsivo e in assenza di ulteriori procedimenti penali a carico del COGNOME, viene elevato a elemento sintomatico di appartenenza al sodalizio mafioso, difettando, inoltre, nel provvedimento impugnato, la motivazione in punto di funzionalità rispetto alle esigenze della cosca, di quegli elementi di fatto, vale a dire le frequentazioni del COGNOME, il pestaggio del Saraco, lo spaccio di sostanza stupefacente denunciato dal COGNOME, ma rimasto indimostrato e mai contestato,
l’avvertimento al sindaco COGNOME, che il tribunale aveva ritenuto sintomatici di semplice contiguità al sodalizio mafioso e non di appartenenza ad esso del COGNOME.
In altri termini, rileva il ricorrente, la denunciata violazione di legge, in presenza della doppia assoluzione del Vitale dalla partecipazione associativa e dall’estorsione con metodo mafioso, è insita nel contenuto del provvedimento impugnato, per avere la corte di appello, non solo elevato al rango di elemento dimostrativo di appartenenza ciò che il tribunale aveva stimato quale elemento di semplice contiguità, ma a tanto si è determinata senza motivare sulla indispensabile funzionalità agli interessi della cosca dei fatti indicati in precedenza.
Con requisitoria scritta del 16.10.2024 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott.ssa NOME COGNOME chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il ricorso va rigettato per le seguenti ragioni.
In via preliminare vanno ribaditi una serie di principi, condivisi dal Collegio, elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in sede di interpretazione delle norme disciplinanti la materia oggetto delle questioni di diritto poste dal ricorrente.
Va, innanzitutto, evidenziato come, in tema di confisca di prevenzione, il sopravvenuto giudicato penale di assoluzione non integra automaticamente la causa di revocazione di cui all’art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n.159, attesa l’autonomia del giudizio di prevenzione da quello penale, con la conseguenza che la misura può essere revocata solo ed esclusivamente se il processo penale abbia accertato, nel merito, l’assoluta estraneità del proposto ai fatti reato sulla base dei quali, essendo stato ritenuto pericoloso, era stata ordinata la confisca (cfr. Sez. 2,. 31549 del 06/06/2019, Rv. 277225).
Occorre, in altri termini, per ritenere fondata l’istanza di revocazione, che il fatto escluso in sede penale sia esattamente lo stesso posto a fondamento del giudizio di pericolosità, non sussistendo altrimenti inconciliabilità di giudicati (cfr. Sez. 2, n. 15650 del 14/02/2019, Rv. 275778).
In questa prospettiva si è opportunamente chiarito che, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, nel procedimento di revoca conseguente alla sopravvenuta definitività della sentenza che ha dichiarato l’insussistenza del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., il giudice, in punto di pericolosità sociale, deve compiere un puntuale confronto con la motivazione che, all’esito del processo penale, ha ritenuto gli elementi addotti dall’accusa non sufficienti a provare il reato associativo (cfr. Sez. 1, n. 36878 del 17/05/2023, Rv. 285251).
Sotto altro profilo, si evidenzia che, in tema di misure di prevenzione, l’appartenenza ad una associazione mafiosa integra un’ipotesi di pericolosità sociale qualificata anche quando la condotta del proposto, pur non riconducibile ad una vera e propria partecipazione al gruppo criminale, sia apprezzabile in termini di vicinanza all’associazione tale da risultare, attraverso un contributo fattivo alle attività ed allo sviluppo del sodalizio, funzionale agli interessi della stessa. Nella fattispecie portata alla sua attenzione la Corte, non ravvisando un conflitto di giudicati, ha ritenuto immune da censure la decisione di rigetto dell’istanza di revoca del decreto applicativo di misure di prevenzione personali e reali formulata da un proposto che, pur assolto da addebiti associativi, tuttavia risultava, sulla base di adeguata motivazione, aver tenuto una condotta di “vicinanza funzionale” ad una organizzazione mafiosa, desunta da fatti diversi ed antecedenti rispetto a quelli per i quali era stata pronunciata assoluzione in sede penale (cfr. Sez. 2, n. 27855 del 22/03/2019, Rv. 277402).
In tema di misure di prevenzione, come è stato ulteriormente precisato, il concetto di “appartenenza” a un’associazione mafiosa, rilevante quale condizione di applicabilità della misura, comprende anche condotte non connotate da un vincolo stabile, che si sostanzino in azioni funzionali a circoscritte esigenze associative, con esclusione delle sole situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale. (cfr. Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, Rv. 277438).
Orbene il provvedimento oggetto di ricorso appare del tutto conforme ai principi ora richiamati, sottraendosi alle censure difensive.
Va, innanzitutto, rilevato un dato che il ricorrente non ha preso in considerazione, ma che la corte territoriale ha correttamente evidenziato: all’atto dell’emissione del decreto di prevenzione personale e patrimoniale emesso dal tribunale di Catanzaro in data 21.6.2018 nei confronti di NOME NOMECOGNOME il proposto era già stato assolto dalla corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 22.3.2017, dall’imputazione di partecipazione associativa, mentre la sentenza di condanna veniva confermata per la sola imputazione estorsiva consumata in danno dell’imprenditore COGNOME anche se, limitatamente a tale imputazione sarebbe stata poi annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione.
Nonostante l’intervenuta assoluzione dal reato associativo il tribunale, sulla base dell’autonomia del procedimento di prevenzione da quello di cognizione, in conformità alla nozione di appartenenza ad associazione a delinquere di stampo mafioso rilevante ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione, premesso che l’assoluzione del COGNOME si era fondata sulla ritenuta mancanza di riscontri individualizzanti delle dichiarazioni accusatorie provenienti dal collaboratore di giustizia COGNOME NOME, valorizzava l’attendibilità intrinseca di tali dichiarazioni, che delineavano un ruolo attivo del COGNOME nella compagine mafiosa di riferimento.
Il ricorrente, in particolare, veniva indicato come componente della cosca ‘ndranghetista nota come locale di Gallace di Guardavalle, capeggiata da NOME COGNOME con il ruolo di “azionista”, svolgendo compiti di fiducia per conto di COGNOME NOME, “con considerazione di “persona fidata” da parte dei vertici della cosca”, venendo percepito sul territorio “come referente anche con riferimento alla gestione della struttura portuale di Bodolato e alla gestione anche indiretta di attività economiche”.
Tale percorso argomentativo appare del tutto conforme al condivisibile orientamento affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nel giudizio di prevenzione, considerata l’autonomia del procedimento rispetto al giudizio di merito, la prova indiretta o indiziaria non deve essere dotata dei caratteri prescritti dall’art. 192 cod. proc. pen., né le
I
chiamate in correità o in reità devono essere necessariamente sorrette da riscontri individualizzanti (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 50202 del 08/10/2019, Rv. 278049. Nella specie, la Corte ha escluso che potesse avere effetto preclusivo della configurabilità della pericolosità sociale del proposto la ritenuta esclusione, nel processo di merito, dell’aggravante mafiosa, giustificata non su una verifica negativa di attendibilità di un collaboratore di giustizia, ma sull’assenza di idonei riscontri ex art. 192 cod. proc. pen.).
Il tribunale, inoltre, aveva evidenziato che: 1) il COGNOME aveva collocato il proposto “tra coloro i quali erano dediti al narcotraffico dall’Olanda”, nonché “come appartenente al gruppo di fuoco capeggiato da COGNOME NOME“; 2) da una conversazione intercettata in ambientale all’interno dell’autovettura in uso a COGNOME NOME, un imprenditore locale, era emerso che il COGNOME aveva partecipato a un incontro tra il sindaco di Badolato, COGNOME e COGNOME NOME, fratello di NOME, nel corso del quale il COGNOME era stato “pesantemente redarguito” dal COGNOME per farlo desistere dal suo intento di svincolarsi dai legami con le società, che condivideva con i COGNOME; 3) sempre dalle intercettazioni ambientali si era accertato che il COGNOME aveva eseguito su disposizione del COGNOME NOME una spedizione punitiva in danno di COGNOME NOME.
Orbene il decreto di cui si discute risulta divenuto irrevocabile a seguito della sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione n. 3604 del 18.1.2022, sicché deve ormai ritenersi passata in giudicato l’affermazione della pericolosità sociale qualificata del COGNOME, desumibile dall’appartenenza dello stesso al sodalizio mafioso di riferimento sulla base degli evidenziati elementi, presi in debita considerazione dal tribunale di Catanzaro, nonché dalla corte di appello nel provvedimento impugnato in questa sede, confrontandosi con il contenuto della sentenza assolutoria, attraverso un percorso motivazionale, che ha evidenziato come l’assoluzione dal reato associativo non abbia accertato l’assoluta estraneità del proposto rispetto ai fatti storici ritenuti
sintomatici dell’appartenenza del COGNOME alla cosca COGNOME, sulla base della quale erano state disposte le misure di prevenzione a suo carico.
Rimane a questo punto da chiarire se l’intervenuta assoluzione del proposto dall’estorsione in danno dell’imprenditore NOMECOGNOME pronunciata dalla corte di appello di Catanzaro con sentenza del 18.3.2022, divenuta irrevocabile il 14.9.2023, quale giudice del rinvio ex art. 627, cod. proc. pen., dopo l’annullamento disposto dalla Corte di Cassazione per mancata considerazione di specifici motivi dì impugnazione articolati dall’appellante, sia idonea a integrare quella inconciliabilità tra giudicati, costituente la ratio dell’invocata revocazione.
Orbene anche in questo caso la motivazione resa sul punto dalla corte territoriale non può ritenersi in contrasto con disposizioni di legge, né mancante, manifestamente illogica o contraddittoria.
Anzi, muovendosi nel solco già tracciato, la corte territoriale ha evidenziato, con logico argomentare, come l’intervenuta assoluzione per una vicenda per la quale era già stata esclusa la configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 7, I. n. 203 del 1991, “circoscritta e relativa ad un’unica imbarcazione, per la quale comunque si era speso il COGNOME in favore dell’amico COGNOME, scolorisce al rango di periferico elemento subvalente, non in grado minimamente d’intaccare il fondamentale giudizio di appartenenza fondante la misura di prevenzione in atti, basato, ab initio, su indizi di ben altro spessore e certamente non scalfiti dalla recente sentenza assolutoria”, come si è visto nelle pagine precedenti.
Elementi di fatto, va sottolineato, di cui, ancora una volta con motivazione esente da vizi, la corte territoriale ha evidenziato l’oggettiva idoneità a porre in luce come la condotta del ricorrente fosse funzionale alle esigenze della locale ‘ndranghetista di Guardavalle, trattandosi di fatti posti in essere per soddisfare circoscritte esigenze associative, emerse nel contesto di operatività del sodalizio criminale di riferimento.
Va, infine, rilevata l’inammissibilità delle censure articolate dal ricorrente in riferimento alle valutazioni operate dai giudici di merito sugli elementi dimostrativi dell’appartenenza del Vitale all’organizzazione
20 , ) , …’-.· ‘ndranghetista più volte menziorly. non solo perché sul valore di tali elementi si è formato il giudicato, ma anche perché tali censure sono state prospettate come travisamento del fatto, vizio, come è noto, non deducibile in sede di legittimità (cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del , 11/01/2018, Rv. 273217).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 21.11.2024.