Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 813 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 813 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 22/06/1942
avverso il decreto del 09/05/2024 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il decreto in epigrafe la Corte di appello di Roma confermava quello emesso il 27 febbraio 2023 dal locale Tribunale il quale – accertata, in via incidentale, la pericolosità, generica e qualificata, di NOME COGNOME – aveva ordinato la confisca di prevenzione di determinati beni, mobili e immobili, a lui intestati, o a lui comunque riconducibili, siccome ritenuti di valore sproporzionato ai redditi e alle attività economiche del medesimo e di provenienza lecita esclusa o non giustificata.
La pericolosità generica traeva origine dalle reiterate condotte di usura e di estorsione, risalenti al periodo compreso tra il 2003 e il 2009, da cui COGNOME traeva sostentamento, ex art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, e per le quali aveva riportato condanna, in primo grado, con sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 11 luglio 2019.
La pericolosità qualificata era correlata al reato – coevo ai precedenti e contestato nel medesimo giudizio – di cui all’art. 12-quinquies, comma 1, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, pro-tempore vigente. In ordine a tale reato era stata adottata, nella sentenza di cui sopra, pronuncia dichiarativa dell’intervenuta prescrizione, che la Corte di appello considerava comunque idonea ai fini dell’inquadramento del proposto nella categoria criminologica di cui all’art. 4, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011.
COGNOME ricorre per cassazione, con il ministero del suo difensore di fiducia.
Il ricorso è incentrato su un unico articolato motivo, in cui si deduce violazione di legge e apparenza della motivazione, sia rispetto all’inquadramento del proposto nelle categorie criminologiche indicate dalla legge, sia in ordine alla correlazione temporale tra la manifestazione di pericolosità e gli acquisti operati.
Quanto all’asserita pericolosità qualificata, il ricorrente obietta che la sentenza di primo grado, dichiarativa della prescrizione del reato di cui all’art. 12-quinquies, comma 1, di. n. 306 del 1992, come convertito, non conterrebbe, né avrebbe potuto contenere, alcuna valutazione circa l’integrazione, a suo carico, del contestato reato di trasferimento fraudolento di valori, per il tramite della pletora di società di cui COGNOME era socio di riferimento o amministratore. Il giudice della prevenzione avrebbe dovuto, dunque, autonomamente e compiutamente riscontrare la configurabilità del reato in tutte le sue componenti, incluso l’elemento psicologico, e a tale compito si sarebbe viceversa sottratto. Sarebbe, in realtà, assolutamente mancante nel suo operato l’intento fraudolento, caratteristico del reato in questione. Le ripetute nuove intestazioni societarie
sarebbero, infatti, avvenute «alla luce del sole», allorché non era in tesi affatto prevedibile la futura applicazione al ricorrente di misure di prevenzione patrimoniale.
In ordine alla pericolosità generica, sarebbe totalmente indimostrata – in rapporto alle previsioni di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 – la derivazione, dai reati per cui era intervenuta condanna penale, di redditi illeciti, né sarebbe provata la loro destinazione alle esigenze abituali di vita d& proposto. La condanna sarebbe intervenuta, in prevalenza, in rapporto non già a dazioni usurarie, generatrici di profitto, ma a mere promesse usurarie. Sarebbe inoltre mancata la compiuta ricostruzione del perimetro delle presunte entrate illecite, indispensabile per mantenere la fattispecie in un ambito di compatibilità costituzionale e convenzionale.
Riguardo alla correlazione temporale, sarebbe caduta sotto la misura di rigore una serie di immobili la cui originaria acquisizione era avvenuta in epoca assai precedente all’anno 2003, cui risalirebbe la prima manifestazione della pretesa pericolosità sociale. Tali immobili formerebbero oggetto, a partire dal 2003, di innocue operazioni di ritrasferimento dominicale, dall’una all’altra compagine societaria società a Fornari riconducibile. Sarebbero stati, poi, confiscati rapporti finanziari la cui provvista proverrebbe da investimenti leciti, risalente alla fine degli anni 1990, come illustrato dalla consulenza tecnica di parte. I rilievi difensivi sul punto sarebbero stati totalmente ignorati dal decreto impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei limiti di seguito precisati.
Appaiono fondate, in particolare, le censure mosse al provvedimento impugnato in ordine all’operato rilievo della pericolosità qualificata del ricorrente, correlata – ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 all’evidenziazione di condotte di trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori, punibili ai sensi dell’art. 12-quinquies, comma 1, d.l. n. 306 del 1992, conv. dalla legge n. 356 del 1992 (assorbito, dal 6 aprile 2018, nell’art. 512-bis cod. pen.).
NOME COGNOME è stato tratto a giudizio per rispondere di una tale imputazione e il processo penale si è concluso, in primo grado, con declaratoria di prescrizione del reato.
Ciò posto, occorre ribadire la naturale autonomia del procedimento di prevenzione rispetto al processo penale, costantemente affermata dalla
giurisprudenza di questa Corte; una tale autonomia comporta la legittimità della valutazione, nel primo, degli elementi acquisiti nel processo stesso, anche quando quest’ultimo, a fronte di manifestazioni di pericolosità espresse da condotte criminose, si sia concluso con il proscioglimento dell’imputato a seguito, tuttavia, di accertamento non totalmente liberatorio (Sez. 5, n. 17946 del 15/03/2018, COGNOME, Rv. 273036-01; Sez. 1, n. 20160 del 29/04/2011, COGNOME, Rv. 250278-01; Sez. 1, n. 6613 del 17/01/2008, COGNOME, Rv. 239358-01). La misura di prevenzione costituisce infatti un intervento praeter delictum, finalizzato a colpire fenomeni di pericolosità sociale non necessariamente connessi alla commissione di reati, né ad un accertamento divenuto al riguardo definitivo.
In tali casi, il riconoscimento della pericolosità sociale, in sede di prevenzione, prescindendo apppnto dall’accertamento di responsabilità penale in ordine al reato, può ben fondarsi su elementi dotati di minore efficacia probatoria rispetto a quelli che sarebbero serviti per la condanna, purché si tratti di elementi comunque dotati di adeguata consistenza indiziaria (Sez. 1, n. 3191 del 03/07/1992, COGNOME, Rv. 191752-01), non necessariamente rispondente ai canoni di cui all’art. 192 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 50202 del 08/10/2019, COGNOME, Rv. 278049-01; Sez. 5, n. 49853 del 12/11/2013, L., Rv. 258939-01).
La consistenza indiziaria, quando la pericolosità qualificata si lega alla compiuta integrazione di condotte tipiche di reato, come nel caso in cui venga in gioco la previsione di cui all’art. 4, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, in rapporto al reato di cui all’art. 12-quinquies, comma 1, d.l. n. 306 del 1992, cit., deve ricomprendere gli elementi costitutivi di fattispecie, incluso l’elemento psicologico. La fattispecie in questione è a dolo specifico (tra le molte, Sez. 2, n. 46704 del 09/10/2019, COGNOME, Rv. 277598-01), integrato dal fine di eludere l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali, o di realizzare o agevolare i reati espressamente menzionati nella norma incriminatrice.
E dunque errata, come giustamente osserva il ricorrente, l’affermazione del decreto impugnato, secondo cui, in rapporto al reato previsto dall’art. 12quinquies, cit., non sarebbe «necessaria L.] in sede di prevenzione alcuna particolare connotazione dell’elemento soggettivo del reato (nella specie il dolo specifico), poiché ciò che conta è l’obiettività di condotte di pericolosità sociale qualificata».
Un accertamento, sia pure a livello di configurabilità indiziaria, del reato in questione, esteso alla sua dimensione psicologica che ne costituisce parte integrante, era viceversa indispensabile nella specie e avrebbe dovuto compierlo – a fronte di sentenza di proscioglimento di primo grado, per prescrizione proprio il giudice della prevenzione.
Il decreto impugnato appare viceversa ineccepibile, in ordine all’operato rilievo della pericolosità generica.
Dal provvedimento emerge che COGNOME ha riportato condanna, ancorché non ancora definitiva, per reati di estorsione e di usura ed emerge che questi ultimi sono collegati anche all’erogazione effettiva di prestiti ad un tasso superiore alla soglia di rilievo criminoso. Trattasi dunque di reati generatori, all’evidenza, di profitti illeciti.
La serialità delle condotte riporta plausibilmente, del resto, alla fattispecie indicata dall’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, riferita al soggetto che, «sulla base di elementi di fatto, viv abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose».
Le contestazioni, mosse al riguardo dal ricorrente, debordano a questo punto nel merito, o sono al più riconducibili all’ambito della mera adeguatezza motivazionale, non sconfinante nell’assenza o fittizietà della motivazione stessa.
Si tratta di contestazioni non ammesse in questa sede, giacché nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è consentito soltanto per violazione di legge, sostanziale o processuale, secondo il disposto degli artt. 10 e 27 d.lgs. n. 159 del 2011, e nella seconda nozione rientra soltanto l’evenienza della motivazione formalmente inesistente o meramente apparente (tra le altre: Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246-01; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435-01; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080-01; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 26636501), qui appunto non configurabile.
4. Il decreto impugnato supera il vaglio di legittimità anche in ordine ai profili riguardanti la necessaria correlazione temporale tra i rapporti finanziari attinti da confisca e le manifestazioni di pericolosità sociale generica, come perimetrate nella sentenza penale di condanna, tenuto conto che sono soggetti a confisca di prevenzione anche i beni che costituiscono il reimpiego di utilità derivanti da attività illecite.
L’obiezione del ricorrente, secondo cui detti rapporti costituirebbero il reinvestimento di una lecita provvista risalente agli anni 1999-2000, appare del tutto assertiva, né il riferimento alla consulenza di parte che attesterebbe il dato, non allegata al ricorso, né in esso testualmente riprodotta, serve a dare all’obiezione reale concretezza in questa sede.
In ordine alle confische immobiliari, il riscontro della correlazione temporale è invece strettamente intrecciato alla rivisitazione dei profili esaminati nel § 2 che precede.
La manifestazione di pericolosità qualificata, in connessione con il reato di trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori nel periodo 20032009, se correttamente rilevata, sarebbe cronologicamente combaciante con i trasferimenti dominicali operati nel medesimo periodo (ancorché relativi a beni anteriormente acquistati), il cui oggetto sarebbe confiscabile in quanto frutto diretto di attività illecite.
Le censure al riguardano restano, allo stato, assorbite.
Il decreto impugnato deve essere, di conseguenza, annullato con rinvio in relazione alle censure accolte o assorbite, in vista di una rinnovata valutazione al riguardo ad opera della Corte di appello di Roma in diversa composizione.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma.
Così deciso il 05/12/2024