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Pericolosità generica: requisiti per la sorveglianza

La Corte di Cassazione ha annullato un provvedimento di sorveglianza speciale, chiarendo i requisiti per la pericolosità generica. Due condanne non definitive per spaccio, distanziate nel tempo, non bastano a provare l’abitualità nel vivere di proventi illeciti, specialmente senza un’analisi del tenore di vita. La Corte ha censurato la motivazione della Corte d’Appello, ritenendola carente sia sulla prova dell’abitualità dei reati-fonte di reddito, sia sulla concreta idoneità delle condotte a minacciare la sicurezza pubblica.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Generica: la Cassazione Fissa Paletti Rigorosi per la Sorveglianza Speciale

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione è intervenuta per delineare con precisione i presupposti necessari per l’applicazione della sorveglianza speciale basata sulla pericolosità generica. La decisione sottolinea come non bastino generiche accuse o un paio di condanne per giustificare una misura così afflittiva, ma sia necessaria una motivazione rigorosa, fondata su prove concrete di abitualità e di effettivo sostentamento da attività illecite. Questo intervento chiarisce i confini tra sospetto e prova, riaffermando i principi di garanzia nel delicato ambito delle misure di prevenzione.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso di un uomo sottoposto dalla Corte di Appello di Napoli alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di un anno e sei mesi. I giudici di merito avevano basato la loro decisione sulla presunta appartenenza del soggetto a due categorie di pericolosità previste dal cosiddetto Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011):

1. Coloro che si ritiene vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose (art. 1, lett. b).
2. Coloro che, per la loro condotta, si ritiene siano dediti a commettere reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica (art. 1, lett. c).

L’interessato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la sussistenza di tali presupposti. In particolare, ha sostenuto che due sole condanne non definitive per spaccio di stupefacenti, peraltro distanziate nel tempo, non potevano dimostrare né la produzione di proventi rilevanti né l’abitualità della condotta. Ha inoltre negato che i reati di resistenza a pubblico ufficiale potessero, nel suo caso, integrare un pericolo concreto per l’ordine pubblico, trattandosi di condotte individuali.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando il decreto della Corte di Appello e rinviando per un nuovo esame. La motivazione della sentenza si concentra sulla carenza probatoria e sull’insufficienza della motivazione del provvedimento impugnato.

I Limiti della Pericolosità Generica da Reddito Illecito

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: per applicare la sorveglianza speciale sulla base della pericolosità generica da reddito, non è sufficiente un mero sospetto. È necessario un giudizio di fatto basato su tre requisiti cumulativi:

1. Abitualità: I delitti devono essere commessi in modo ripetuto e costante in un arco temporale significativo.
2. Profitto: Le attività criminali devono aver effettivamente generato un guadagno.
3. Fonte di reddito: Tali profitti devono costituire l’unica o una rilevante fonte di sostentamento.

Nel caso di specie, la Corte di Appello si era limitata a menzionare due episodi di spaccio, uno del 2019 e l’altro del 2022. La Cassazione ha osservato che la distanza temporale tra i due fatti era già di per sé in contrasto con il concetto di “vivere abitualmente” di reati. Inoltre, la motivazione era vaga, parlando di una “fiorente attività di spaccio” senza fornire elementi concreti. Mancava, soprattutto, un’analisi del tenore di vita del soggetto da confrontare con i presunti proventi illeciti, un accertamento ritenuto indispensabile per valutare l’incidenza del reddito criminale.

La Pericolosità per la Sicurezza Pubblica

Analoghe censure sono state mosse riguardo alla seconda ipotesi di pericolosità. La Cassazione ha precisato che non tutti i reati contro la pubblica amministrazione o la persona integrano automaticamente un pericolo per la sicurezza collettiva. È necessario che la condotta, per le sue modalità concrete, si proietti verso beni giuridici connessi alla preservazione dell’ordine pubblico.

La Corte di Appello si era limitata a un elenco indistinto di precedenti penali e carichi pendenti (resistenza, lesioni, danneggiamento), senza esaminare nel concreto le singole condotte. Mancava totalmente un approfondimento sulla loro idoneità a dimostrare quello specifico tipo di pericolosità sociale richiesto dalla norma, come ad esempio condotte aggressive legate a manifestazioni o incontri pubblici. La mera commissione di reati individuali non è sufficiente.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Cassazione si fonda sul principio che le misure di prevenzione, incidendo sulla libertà personale, richiedono una motivazione particolarmente rigorosa e non apparente. Il giudice non può limitarsi a elencare precedenti penali o a usare formule generiche. Deve, al contrario, ricostruire in modo analitico le condotte materiali del soggetto e dimostrare, con elementi di fatto precisi, come queste integrino i requisiti di legge.

Nel caso analizzato, la motivazione era meramente apparente perché:

* Non provava l’abitualità della condotta criminale come fonte di reddito, basandosi su episodi sporadici e distanti.
* Ometteva qualsiasi accertamento sul tenore di vita del proposto, passaggio cruciale per dimostrare che vivesse dei proventi del reato.
* Non analizzava la specifica offensività dei reati contestati rispetto al bene protetto della sicurezza pubblica, limitandosi a un’elencazione acritica.

In sostanza, i giudici di merito non hanno compiuto quel percorso logico-giuridico necessario a trasformare il sospetto in una valutazione di pericolosità concreta e attuale, come richiesto dalla legge e dalla giurisprudenza costituzionale.

Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un importante monito per i tribunali che si occupano di misure di prevenzione. La lotta alla criminalità non può passare attraverso scorciatoie probatorie o motivazioni stereotipate. La pericolosità generica deve essere accertata attraverso un’indagine approfondita che vada oltre la semplice consultazione del casellario giudiziale. È necessario dimostrare, con fatti e non con presunzioni, che il soggetto ha fatto del crimine la sua stabile fonte di sostentamento o che le sue azioni costituiscono una minaccia reale e specifica per la collettività. In assenza di tale rigore, le misure di prevenzione rischiano di trasformarsi in uno strumento arbitrario, in contrasto con i principi fondamentali dello Stato di diritto.

Quando una persona può essere considerata vivere “abitualmente” di reati ai fini della sorveglianza speciale?
Secondo la sentenza, non sono sufficienti episodi criminali sporadici o distanti nel tempo. È necessaria la prova di una condotta delittuosa ripetuta e costante in un arco temporale significativo, tale da configurare una scelta di vita e una fonte di sostentamento stabile, non occasionale.

È sufficiente dimostrare che una persona commette reati che producono reddito per applicare la misura di prevenzione?
No. Oltre a provare la commissione abituale di reati-fonte di profitto, è indispensabile dimostrare che tali proventi costituiscano l’unica o una componente significativa del reddito del soggetto. La Corte specifica che tale prova richiede un’analisi concreta del tenore di vita, delle spese e dei beni posseduti, da confrontare con le fonti di reddito lecite.

Quali reati giustificano una misura di prevenzione per pericolosità verso la sicurezza pubblica?
Non qualsiasi reato, ma solo quelli la cui offensività si proietta concretamente verso la sicurezza e la tranquillità della collettività. La sentenza chiarisce che il giudice deve esaminare il tipo di condotta e il contesto in cui è avvenuta, senza limitarsi a un elenco di precedenti penali. Ad esempio, reati come la resistenza a pubblico ufficiale devono essere analizzati per capire se manifestano un’aggressività che minaccia l’ordine pubblico in generale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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